fbpx Le grandi pulizie durante il sonno | Science in the net

Le grandi pulizie durante il sonno

Primary tabs

Tamara de Lempicka (1898-1980), "The Sleeping Girl (Kizette)", circa 1933.

Tempo di lettura: 8 mins

Sul perché periodicamente non possiamo fare a meno di ritirarci dal mondo abbandonando momentaneamente la coscienza sul nostro caro materasso tarda ancora ad arrivare una risposta definitiva. Di una sola cosa abbiamo la certezza: la privazione assoluta del sonno dopo un certo tempo porta alla morte: e non solo noi, anche gli animali. Di questo argomento Scienza in Rete si era già occupata due anni fa, grazie al lavoro di Gottfried Schatz. Fu una delle ultime cose che scrisse per noi, poiché venne a mancare due mesi dopo. Era un grande scienziato e un grande grande divulgatore scientifico, e ha scritto per Scienza in Rete sin dagli inizi, invariabilmente su argomenti di grande interesse: i suoi contributi erano sempre tra i più seguiti, anche perché scriveva in modo impareggiabile. Ritorniamo ora sull’argomento “sonno”, dato che sul tema qualcosa di importante si sta muovendo, anche per ricordare il nostro grande collaboratore.

Ipotesi sul sonno

1. La detossificazione

Nel nostro cervello e in quello dei topi, che sono i modelli animali più utilizzati per questo tipo di studi, il sonno è di gran lunga più efficace di qualunque dieta disintossicante (le tanto in voga diete detox): mentre dormiamo l’espulsione di sostanze tossiche dal tessuto nervoso è molto più attiva che durante la veglia. Avviene senza che noi ce ne preoccupiamo minimamente. Aggiungiamo subito, per poi approfondire il tema più avanti, che una corretta “igiene del sonno” potrebbe svolgere una certa azione “neuroprotettiva” (in certe malattie neurodegenerative). Vediamo perché.

Il tessuto cerebrale non possiede, a differenza del resto del corpo, un sistema linfatico che si occupi, per così dire, delle pulizie di casa. Al posto di questo vi è un sistema di “tubature idrauliche” che corrono attorno ai vasi sanguigni cerebrali in cui scorre il liquido cerebrospinale, il quale entra negli spazi inter-cellulari raccogliendo i rifiuti prodotti dalle cellule. Una raccolta porta a porta, in sostanza. Questo sistema viene chiamato glinfatico, poiché al suo funzionamento collaborano cellule cerebrali della glia, gli astrociti. Il sistema glinfatico, come si è visto recentemente, si collega a quello linfatico soltanto nelle meningi (Louveau et al. 2015). Il sistema glinfatico è stato scoperto dalla neuroscienziata Maiken Nedergaard e i suoi colleghi dell’università di Rochester negli Stati Uniti. Essi hanno poi dimostrato che questo spazio inter-cellulare aumenta di molto durante il sonno, agevolando le operazioni di pulizia (Xie et al. 2013). Un po’ come accade nelle città con il lavoro degli spazzini: avviene di notte, quando c’è meno traffico nelle strade. L’ipotesi del gruppo della Nedergaard è che il sonno abbia il compito di smaltire tutta la produzione di prodotti cerebrali di scarto potenzialmente tossici, e che l’accumulo di questi durante la veglia possa scatenare il bisogno di dormire. Sonno detox, insomma.

2. La “potatura”

La seconda cosa che nel cervello accade in modo ottimale mentre dormiamo è l’operazione di potatura delle sinapsi. Sembra che, oltre agli spazzini, nel cervello siano attivi pure i giardinieri. Tononi e Cirelli (2014) ne spiegano l’azione ricorrendo alla teoria dell’omeostasi sinaptica (SHY: synaptic homeostasis hypothesis). L’operazione riguarderebbe la maggior parte delle sinapsi, che sono più deboli ma più plastiche, risparmiandone una parte minore, che sarebbe più forte e meno plastica ma responsabile di ciò che noi non dimentichiamo mai (a meno, naturalmente, che non intervenga la demenza). La manutenzione delle sinapsi, oltre che per le necessità energetiche delle cellule, riguarda anche la loro capacità di gestire informazioni. Le sinapsi “sparano” segnali ai neuroni, e quanto più sparano, tanto più è probabile che l’informazione che trasmettono sia interessante (ad esempio l’informazione su un oggetto che permane un certo tempo davanti alla nostra vista). Questo intenso via vai di informazioni determina la forza sinaptica (e il consumo energetico). La teoria SHY prevede che questa forza sinaptica venga ri-equilibrata durante il sonno. Le sinapsi che devono rimanere, cioè quelle consolidate che si prestano a importanti compiti, vengono attivate in modo consistente anche durante il sonno, le altre vengono depresse o eliminate. Tutto ciò avviene nel sonno perché in tal modo sarebbero indipendenti dalle attività cognitive della veglia, sicché il lavoro avverrebbe in modo indisturbato. D’altra parte, anche le piante, di solito, si potano quando entrano in riposo vegetativo e non in piena fioritura. In pratica, grazie al sonno potenziamo facoltà quali l’apprendimento e la memoria. Anche dimenticare è però fondamentale, per lasciare spazio e risorse a nuovi stimoli più salienti. In sostanza, la salute della mente passa anche per l’eliminazione di dati futili e di sostanze potenzialmente tossiche. Ma quali sono questi potenziali rifiuti nocivi?

Smaltimento rifiuti e malattie neurodegenerative

Una delle sostanze incriminate è l’amiloide-beta (Aβ). Si è visto che il suo accumulo incrementa durante la veglia, peggiorando con la privazione di sonno e con la somministrazione di una sostanza, l’orexina, secreta dall’ipotalamo che consente di rimanere svegli (Kang et al. 2009). Il problema è che l’Aβ che si accumula nello spazio extracellulare è un evento critico per la patogenesi della malattia di Alzheimer. Kang e collaboratori hanno provato che nei topi la somministrazione di un antagonista dell’orexina impedisce l’accumulo di placche di Aβ, ed hanno quindi ipotizzato che l’ottimizzazione del sonno possa prevenirne l’accumulo e, quantomeno, rallentare la progressione dell’Alzheimer. Un altro studio (Sprecher et. al 2017) ha dimostrato che in pazienti con maggiori problemi di sonno notturno e sonnolenza diurna aumentano sostanze legate alla malattia di Alzheimer, come la proteina tau e l’amiloide. Aumentano anche le cellule nervose danneggiate e infiammate, rispetto ai controlli non insonni. Si tratta di ricerche che dovranno essere confermate, prima di poter concludere se l’insonnia possa essere un sintomo precoce di Alzheimer o addirittura un potenziale fattore scatenante. Nel dubbio, è forse meglio cercare di curare la nostra igiene del sonno…

Ma perché dormiamo? Un’ipotesi evolutiva

Finora gli studi citati sono molto convincenti nel dirci cosa succede mentre dormiamo, ma non rispondono alla domanda: perché dormiamo? Ampliare l’indagine ad altri settori di studio potrebbe essere illuminante.

L’ipotesi detox del gruppo della Nedergaard ha colpito un’altra neuroscienziata: Suzana Herculano-Houzel, dell’Università Vanderbilt negli Stati Uniti. Se il dormire consente le operazioni di smaltimento scorie dal nostro cervello, ha pensato la ricercatrice, allora il sonno deve svolgere la stessa funzione anche nelle varie specie animali. Come si spiega, allora, l’enorme varietà di ore di sonno necessarie nel mondo animale? Perché un elefante dorme tre ore e un pipistrello venti? Cosa cambia nel cervello dei due? Il primo elemento che viene in mente è la stazza, che però spiega solo in parte il bisogno di dormire. Un elefante spende circa diciotto ore al giorno per mangiare (e inevitabilmente avrà meno tempo per dormire), dato che questo è necessario per mantenere la sua enorme massa corporea. Tuttavia, ci sono animali di grandi dimensioni che invece dormono molto, come ad esempio i leoni. La Herculano ha pensato di studiare i cervelli di quante più specie possibili e ha trovato che la densità neuronale per unità di superficie di corteccia è strettamente collegata alle ore di sonno. In pratica, negli animali con maggiore densità neuronale, le ore di sonno sono maggiori, perché maggiore sarà la quota di prodotti di scarto prodotti. Maggiore densità di neuroni significa maggiore densità di rifiuti, quindi richiede più tempo per eliminarli, vale a dire maggior durata del sonno. La densità neuronale varia da specie a specie, ma anche all’interno della singola specie nel corso dello sviluppo evolutivo. Sappiamo tutti che i neonati dormono la maggior parte del tempo, e che man mano che crescono passano più tempo svegli, diminuendo le ore di sonno fino al termine dello sviluppo. Parallelamente, sempre in età evolutiva, si verifica anche il cambiamento della densità neuronale: è molto alta nei neonati e va poi decrescendo con la crescita della superficie cerebrale e del resto del corpo (mentre il numero dei neuroni non aumenta, semmai ne perdiamo). Può la variazione di ore di sonno da specie a specie contenere la risposta sul perché dormiamo? Secondo questa visione, dormiamo tanto quanto necessario per eliminare i rifiuti cerebrali, e per farlo in modo efficiente ed esaustivo. Naturalmente occorrono ancora molti dati, non sempre facili da acquisire, sul mondo animale, per dare peso conclusivo all’ipotesi. Dal confronto sono comunque emersi due dati interessanti: gli umani sono i primati che hanno bisogno di meno ore di sonno e la fase REM (sonno associato ai rapidi movimenti oculari, durante il quale spesso sogniamo) è più abbondante negli umani che negli altri animali. Questo potrebbe voler dire che il cervello umano ha subìto un perfezionamento nei tempi e nei modi di “fare pulizia” durante il sonno, ma sul come in noi si sia concessa tale prerogativa sono possibili solo ipotesi. Forse, alcune abilità sul versante cognitivo possono aver influito su questi processi creando una specie di circolo virtuoso. Ad esempio, l’aver potuto, fin dagli albori del genere Homo, costruire dei giacigli protetti dai predatori, può aver agevolato l’efficienza del sonno (Sampson e Nunn 2015). Oppure, il fatto di aver “scoperto” il fuoco e aver iniziato a cuocere il cibo ci ha garantito la possibilità di un sostanzioso apporto nutritivo in tempi più ridotti. O forse ancora, dopo che è stato perfezionato il sonno, si è reso disponibile del tempo per sviluppare abilità come la difesa dai predatori e l’approvvigionamento e consumo di cibi. Solo ipotesi, naturalmente, ma gli studi neuro-evolutivi tentano di fare luce proprio su queste possibilità. Nel frattempo, visto l’intenso lavorio dei nostri neuroni, ci è venuto sonno e dunque vi dobbiamo forzatamente salutare, ma non prima di avervi augurato un dolce dormire…

 

Bibliografia:
Louveau et al., Structural and functional features of central nervous system lymphatic vessels. Nature, 2015 Jul 16;523(7560):337-41. doi: 10.1038/nature14432.
Xie et al. Sleep drives metabolite clearance from the adult brain. Science, 2013 Oct 18;342(6156):373-7. doi: 10.1126/science.1241224.
Tononi e Cirelli. Sleep and the price of plasticity: from synaptic and cellular homeostasis to memory consolidation and integration. Neuron. 2014 Jan 8;81(1):12-34. doi: 10.1016/j.neuron.2013.12.025.
Kang et al. Amyloid-β Dynamics are Regulated by Orexin and the Sleep-Wake Cycle. Published online 2009 Sep 24. doi: 10.1126/science.1180962
Sprecher et. al Neurology. 2017 Aug 1;89(5):445-453. doi: 10.1212/WNL.0000000000004171. Epub 2017 Jul 5.
Sampson and Nunn 2015 Sleep intensity and the evolution of human cognition. Full publication history november 2015 DOI: 10.1002/evan.21464. 
Herculano-Houzel S. Decreasing sleep requirement with increasing numbers of neurons as a driver for bigger brains and bodies in mammalian evolution. Proceedings of the royal society biological science. 2015 23 September. DOI: 10.1098/rspb.2015.1853.

 

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

The Indi Gregory case: some questions for reflection

"The 'Indi Gregory Case' encompasses various levels of reflection (medical, ethical, legal, and political) that are interconnected but often confused in media debates. The philosopher of science and bioethicist Giovanni Boniolo analyzes them through a series of questions, the answers to which may also help us in similar cases that may arise in the future. Image: Twilight, by Dilma Freddi.

There has been, and continues to be, much talk about the "Indi Gregory Case." Indi was an eight-month-old baby suffering from a severe, and so far fatal, rare disease. More specifically, Indi was affected by D,L-2-hydroxyglutaric aciduria: a genetic disease with autosomal recessive inheritance caused by defects in the SLC25A1 gene.