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Gioseffo Zarlino e l’armonia del mondo

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Suonatore di liuto Caravaggio, dettaglio partiture

Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, "Suonatore di liuto" (particolare), olio su tela (1596 ca) - Ermitage, San Pietroburgo.

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Sono trascorsi poco più di cinquecento anni dal 1517, anno di nascita di Gioseffo Zarlino, musicista e teorico musicale, maestro di cappella di san Marco a Venezia e grande intellettuale del Rinascimento, con interessi e pubblicazioni nei più diversi ambiti del sapere. Ciò che oggi soprattutto si ricorda di lui è la sua opera come teorico musicale. Egli cercò instancabilmente di accordare la pratica musicale con l’armonia pitagorica del mondo, purtroppo irrimediabilmente lontana da ciò che i musicisti e i liutai sapevano e facevano.

L'armonia pitagorica e la musica delle sfere celesti

Fin dall’antichità, grazie appunto alla scuola pitagorica, erano state codificate le consonanze musicali (cioè le coppie di suoni gradevoli all’orecchio) in funzione della lunghezza delle corde rispettive (a parità di materiale, spessore e tensione). Tali consonanze erano soltanto tre, e corrispondevano rispettivamente ai rapporti 1/2, 2/3 e 3/4, ottenuti a partire dai primi quattro numeri naturali. Se la musica si fosse limitata a utilizzare le quattro note implicate in questi rapporti (anche scegliendo a piacere la prima), quella che i teorici medioevali chiamarono la musica instrumentalis avrebbe trasportato sulla terra un’immagine fedele della musica mundana, di quella musica delle sfere celesti che anche Platone riteneva originata da queste semplici proporzioni aritmetiche.

Dalle 4 note pitagoriche all'invenzione delle 7 note

Ma fin dai tempi di Pitagora i teorici dovettero arrendersi al fatto che la pratica musicale aveva inventato anche altre note, e si sforzarono di farle rientrare nello schema armonioso e semplice dell’armonia del mondo. Nacque allora la scala di sette note che ancora oggi usiamo, nell’ambito della quale (in notazione moderna, e partendo dal Do) la nota corrispondente al rapporto 1/2 tra le lunghezze delle corde, l’ottava, ha lo stesso nome Do, la nota corrispondente al rapporto 2/3 tra le lunghezze delle corde è la quinta e si chiama Sol, e la nota corrispondente al rapporto 3/4 tra le lunghezze delle corde è la quarta e si chiama Fa. Le altre note erano costruite attraverso rapporti semplici con queste: il Re attraverso il rapporto 2/3 rispetto al Sol, e così via per il La, il Mi e il Si. Anche l’accordatura degli strumenti risultava abbastanza semplice da realizzare a orecchio, perché richiedeva la ricerca di consonanze perfette variando la lunghezza delle corde.

Theodoor Rombouts, "Il suonatore di liuto", olio su tela (1620 ca), Philadelphia Museum of Art.

In questa scala, gli intervalli tra le note consecutive (intesi come rapporto tra le lunghezze delle corde) non sono però tutti uguali. Alcuni sono più grandi e altri (Mi-Fa e Si-Do) sono più piccoli. La pratica musicale sentì ben presto il bisogno di suddividere gli intervalli più grandi, in modo da disporre di un numero ancora maggiore di note. Per far questo, il modo più immediato è quello di iterare il procedimento pitagorico, costruendo innanzitutto la nota intermedia tra Fa e Sol come quinta del Si, e così via. Ma purtroppo questa sequenza di quinte, questo “circolo delle quinte” non si richiude esattamente sul Do, ma lascia una differenza chiaramente avvertibile. La corrispondenza tra l’armonia celeste e l’armonia della musica umana, dunque, si era incrinata, e per di più era diventato assai difficile accordare gli strumenti, perché il procedimento pitagorico non era più immediatamente applicabile. Il problema risultò particolarmente grave per gli strumenti ad accordatura fissa, come l’organo della chiesa di san Marco, o una spinetta, o un flauto, anche perché si moltiplicavano le procedure di accordatura, col risultato di ottenere strumenti in disaccordo tra loro. Per di più, i cantanti e i violinisti tendevano (e tendono tuttora) a intonare quinte e quarte perfette, mettendo a disagio i loro accompagnatori su strumenti ad accordatura fissa.

La pratica empirica dell'accordatura del liuto

Ecco un primo campo in cui Gioseffo Zarlino operò instancabilmente: trovare procedure di accordatura tali da approssimare nel miglior modo possibile l’armonia pitagorica. In questo campo si cimentava anche uno dei suoi allievi, Vincenzio Galilei, mercante di lana per mantenere la famiglia ma soprattutto suonatore di liuto, quotidianamente alle prese con l’accordatura dei suoi strumenti. Il liuto, a differenza della chitarra, non ha lungo il manico sbarrette metalliche (“tasti”) per definire con precisione le lunghezze delle corde per produrre le diverse note, ma ha dei legacci facilmente spostabili. Per Vincenzio era dunque facile eseguire prove, cambiare, spostare, annotare i suoi risultati, verificare le regole empiriche di accordatura in uso presso i musicisti e i fabbricanti di strumenti.

A differenza del suo maestro, Vincenzio (proprio per il tipo di strumento di cui era virtuoso) aveva dunque un approccio più sperimentale: era molto più interessato alla gradevolezza dei risultati, all’efficacia delle pratiche di accordatura piuttosto che alla loro coerenza con i dettati pitagorici. I due musicisti ebbero frequenti e aspre polemiche, che però risultano piuttosto difficili da ricostruire leggendo i loro trattati, irti di cifre, di tabelle, di rapporti. Ma si può semplificare la ragione di queste contese attribuendola alla irriducibile differenza tra un uomo del rinascimento, profondamente legato all’eredità pitagorica e platonica, e un uomo sulla soglia di un’epoca nuova: “Mi sia lecito” - scriveva Vincenzio - “interrogare alla libera”, cioè senza sottostare all’autorità dei maestri del passato.

La nascita della polifonia

Un altro tema musicologico - tra molti altri - suscitò l’appassionato interesse di Gioseffo Zarlino. Con la musica del Rinascimento era nata la polifonia, e molte voci si trovavano a volte a tenere contemporaneamente note lunghe. E’ in questi momenti che la consonanza e la dissonanza si avvertono come profondamente diverse. Ma se ci si limita alle consonanze pitagoriche diventa presto impossibile attribuire note diverse alle diverse voci. Si può dividere l’ottava introducendo una quinta o una quarta, ma non quinta e quarta contemporaneamente, perché esse non possono stare insieme senza produrre una forte dissonanza. La pratica musicale aveva già risolto il problema introducendo gli intervalli di terza (come Do-Mi) e gli intervalli di sesta (come Do-La). Ma come giustificare, nel quadro della musica instrumentalis come specchio della musica mundana, questi intervalli, che non rientrano tra quelli pitagorici? Gioseffo Zarlino risolse brillantemente il problema ponendo se stesso, in qualche modo, come un nuovo Pitagora. Ampliando la tetraktis pitagorica, costituita dai primi quattro numeri naturali, egli introdusse il senario, cioè l’insieme dei primi sei numeri naturali. In questo ambito, le nuove consonanze divenivano legittime (ad esempio, l’intervallo Do-Mi corrisponde al rapporto 5/4 tra le lunghezze delle corde).

Dal cielo alla terra, dai numeri ai suoni: l'approccio "sperimentale" di Vincenzio Galilei 

Ma questi tentativi di ricongiungersi all’armonia del mondo, che qualche decennio più tardi avrebbero appassionato anche uno scienziato come Johannes Kepler, non erano condivisi da Vincenzio Galilei. Egli si volse piuttosto a una prospettiva diversa, che riprendeva un filone della cultura greca oscurato dalla fama di Platone: la prospettiva di partire dalla terra e non dal cielo, dal suono e non dai numeri. Non nel senso di trascurare la dimensione quantitativa, ma piuttosto nel senso di considerare i numeri come risultati di misure, piuttosto che come prescrizioni astratte a cui adeguarsi.

Si spiega così perché egli - a partire dal 1585 - si dedicò alle misure, agli esperimenti sulle corde. E interpretò i risultati mettendo in primo piano la variabile più significativa: la frequenza di vibrazione, che riassume in sé la dipendenza dalla lunghezza delle corde e da altri parametri (dal materiale, dallo spessore, dalla tensione). Purtroppo egli non era in grado di misurare le frequenze: solo parecchi anni dopo questa misura divenne possibile. Ma il fatto stesso di mettere al centro le frequenze gli permise di attribuire ai battimenti (cioè alla differenze tra le frequenze di due corde) l’origine delle dissonanze. Non, cioè, alla deviazione da un astratto rapporto numerico, ma a fenomeni interpretabili in termini di materia e movimento, secondo i canoni della nascente rivoluzione scientifica.

Il giovane Galileo e la nascita della nuova scienza dalla musica

Lo aiutava nelle sue misure un suo allievo di liuto poco più che ventenne, destinato alla professione medica ma studente svogliato alla ricerca della propria strada: il figlio Galileo, che quasi cinquant’anni dopo, nei suoi Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove scienze raccontò per la prima volta queste avventure sperimentali insieme al padre. Chissà, forse, come afferma lo storico della scienza Stillman Drake, la rivoluzione scientifica, in quegli anni di fine Cinquecento, è nata proprio dalla musica...

E Gioseffo Zarlino? Anch’egli era pur sempre un musicista, e non solo un teorico musicale: era quindi appassionato di musica instrumentalis, oltre che di musica mundana. Nel campo della musica pratica, egli codificò i modi maggiore e minore ancora oggi in uso, e rivolse la sua attenzione agli accordi di tre note sovrapposte, o triadi (come Do, Mi, Sol), riconoscendo in esse la radice, la sostanza delle composizioni musicali. Solo nel Seicento divenne chiaro anche teoricamente che questa centralità degli accordi è espressione della struttura armonica dei suoni musicali. Ma l’orecchio musicale di Zarlino lo aveva già intuito. Come Johannes Kepler, egli si collocava sul confine tra due mondi: tra la cultura rinascimentale e la rivoluzione scientifica, tra l’olimpica semplicità matematica e le risposte della natura alle domande poste dagli esperimenti. Ma l’amore per la bellezza della musica e dell’universo era ciò che univa profondamente questi due mondi, che legava Gioseffo Zarlino a Vincenzio Galilei e Johannes Kepler a Galileo.

Per approfondire:
P. Gozza (a cura di), La musica nella rivoluzione scientifica del Seicento, Il Mulino, Bologna, 1989.
G. Zanarini, Invenzioni a due voci, Dialoghi tra musica e scienza, Carocci, Roma, 2016.

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