Spreco di cibo - Credit photo: U.S. Department of Agriculture - Licenza: CC BY-SA 2.0.
Sedersi alla mensa scolastica o in un fast-food per il pranzo o accomodarsi in casa o in un ristorante per la cena non fanno certamente pensare a un atto che porta un’offesa o un danno all’ambiente. Eppure, nel lungo viaggio che affronta prima di arrivare sulle nostre tavole - dalla preparazione del terreno alla semina, dalla difesa delle colture dai parassiti e dai patogeni alle altre cure colturali, dalla raccolta in campo al trasporto, dalla trasformazione alla distribuzione - quel cibo non avrà fatto molti favori e cortesie al pianeta. Enormi quantità di acqua, terra, prodotti chimici, carburanti e altre risorse naturali sono impiegati nel sistema agro-alimentare. È noto infatti che il sistema agro-alimentare - soprattutto quando assume forme di intensificazione, concentrazione e specializzazione - è considerato uno dei principali fattori dell’inquinamento e del depauperamento delle risorse idriche, dell’erosione del suolo, dell’inquinamento e dell’acidificazione dei suoli, dell’aumento dell’effetto serra, della perdita di habitat e dell’integrità biologica, della semplificazione del paesaggio e delle condizioni di malessere degli animali allevati. Altri impatti, indiretti e poco “visibili”, riguardano per esempio il degrado degli habitat acquatici, i costi sanitari e quelli associati alla depurazione e al disinquinamento delle acque.
Gli obiettivi di un’agricoltura sostenibile
Uno dei 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile contenuti nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite riguarda la promozione di un’agricoltura sostenibile (Goal 2: porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare e una migliore nutrizione, promuovere l’agricoltura sostenibile), da raggiungere attraverso sistemi di produzione alimentare e implementazione di pratiche agricole resilienti, che risolvano i problemi di denutrizione, malnutrizione e insicurezza alimentare, che valorizzino i piccoli produttori, che aiutino a conservare gli ecosistemi, che rafforzino la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici, alle condizioni meteorologiche estreme, alla siccità, alle inondazioni e ad altri disastri e che migliorino progressivamente la qualità del terreno e del suolo e usino le risorse in maniera efficace.
L’agricoltura biologica e l’agro-ecologia
Alcuni sistemi di produzione agricola, quali l’agricoltura biologica e l’agro-ecologia, possono avere un ruolo positivo nello sviluppo di processi di riduzione dell’inquinamento e di degrado ambientale, e di ripristino della capacità di fornire servizi eco-sistemici, da quello turistico-ricreativo e storico-culturale a quello di regolazione del clima locale e di mitigazione dei cambiamenti climatici globali. Un numero sempre maggiore di aziende sceglie il metodo biologico, sia per le coltivazioni sia per gli allevamenti. L’Italia ha una posizione di capofila europeo del settore, sia per il numero di imprese (oltre 70 mila) sia per l’estensione delle aree biologiche (ormai oltre un decimo della superficie agricola nazionale) e risulta anche tra i primi produttori al mondo di agrumi, olive, frutta bio.
In Italia lo spreco alimentare è al 60%
Ciò che è paradossale è che gli ultimi dati disponibili mostrano una percentuale di spreco nei sistemi alimentari compresa circa tra il 40% nel mondo e il 60% in Italia. Una quantità sbalorditiva, soprattutto se pensiamo che 2 miliardi di persone nel mondo sono in sovrappeso e due terzi soffre di qualche grave problema nutrizionale. Quel cibo potrebbe essere utilizzato per nutrire le centinaia di milioni di affamati e, in prospettiva, la crescente popolazione mondiale, che secondo le Nazioni Unite potrebbe aumentare di circa 3 miliardi di persone entro la fine del secolo, facendo aumentare la pressione sulle risorse necessarie per produrre cibo.
Inoltre, produrre il cibo che noi sprechiamo richiede terra, acqua, manodopera e altre risorse preziose. Per aggiungere la beffa al danno, lo spreco alimentare è una delle principali fonti di gas serra, principalmente sotto forma di metano, un inquinante almeno 25 volte più potente dell'anidride carbonica. Secondo una valutazione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura (FAO), il 7% di tutti i gas serra globali è associato alla produzione di rifiuti alimentari.
Lo spreco alimentare problema ambientale e socio-economico
Per queste ragioni è urgente affrontare la questione dello spreco alimentare, emerso ormai come uno dei principali problemi ambientali e socio-economici che l’umanità si trova ad affrontare. Come dice chiaramente l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, non si può immaginare di affrontare i grandi temi globali come la fame, la giustizia sociale, i cambiamenti climatici e la perdita di integrità biologica del pianeta, senza affrontare contemporaneamente la questione delle perdite e dello spreco degli alimenti.
In considerazione della dimensione ambientale delle perdite e dello spreco degli alimenti, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) ha deciso di porre attenzione al tema, che ha prodotto una serie di risultati, tra cui un rapporto in cui sono presentati nuovi dati su varie forme di spreco alimentare e che approfondisce la necessità di ‘prevenzione strutturale’ dello spreco.
Finora l’approccio per mitigare il problema si è concentrato prevalentemente sul destino dei rifiuti alimentari, producendo risultati anche significativi in questo senso, inclusa una legge nazionale ad hoc, una maggiore consapevolezza da parte dei cittadini e una grande quantità di iniziative positive sul territorio nazionale, sul lato della ricerca, del monitoraggio, dello sviluppo di iniziative e di coinvolgimento di diversi attori e portatori di interesse, della comunicazione e informazione.
Definizione dello spreco alimentare
Secondo l’ISPRA lo spreco è la parte di produzione che eccede i fabbisogni nutrizionali e le capacità ecologiche. Così, oltre ai rifiuti alimentari, esso include anche: “mancate produzioni”, perdite prima dei raccolti, perdite di prodotti commestibili usati in allevamenti o per usi industriali ed energetici, sovralimentazione nel consumo, perdita di qualità nutrizionale e potrebbe includere anche le perdite di acqua potabile. I dati in energia alimentare (kcal) procapite sprecata sono i più significativi e utili per i confronti con gli obiettivi internazionali e i riferimenti nutrizionali. In Italia i soli rifiuti alimentari rappresentano circa il 25% dei prodotti iniziali (960 kcal procapite al giorno). Considerando anche la sovralimentazione e gli allevamenti, lo “spreco sistemico” potrebbe essere in Italia almeno il 60% della produzione iniziale (3.700 kcal pro capite al giorno).
Inefficienza, sovralimentazione ed eccessi di produzione
L’inefficienza delle filiere animali è intorno al 77%, mentre la sovralimentazione rappresenta in media il 16% circa del consumo. Gli effetti ambientali dello spreco sono associati soprattutto alle fasi produttive agro-alimentari più che alle fasi di smaltimento dei rifiuti e anche per questo è importante concentrarsi sulla prevenzione a monte. Lo spreco è associato infatti a gravissime alterazioni della biodiversità, dei cicli dell’azoto e del fosforo, al consumo di suolo fertile, al cambiamenti climatico e all’uso eccessivo delle risorse idriche. Lo studio ISPRA indica che in Italia l’impronta ecologica dello spreco alimentare “sistemico” impiega circa il 50% della bio-capacità del paese (ossia la sua capacità di rigenerare le risorse naturali impiegate e di assorbire i rifiuti), una capacità che potrebbe nutrire fino a ulteriori 90 milioni di persone.
Effetti ambientali, costi economici e disuguaglianze
Altri dati sugli effetti ambientali riferiti ai soli rifiuti alimentari in Italia indicano dimensioni di vasta portata: 24,5 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente, 3% del consumo di energia, 1,2 miliardi di m3 di acqua dolce sprecata, 230.000 tonnellate di azoto immesso nell’ambiente. Il costo economico di questo spreco è stimato in 13-16 miliardi di euro.
La tendenza globale suggerisce che a lievi aumenti del fabbisogno medio si risponde con eccessi di produzione, fornitura e consumi, generando aumenti significativi dello spreco (32 volte quello del fabbisogno). Laddove produzione e forniture calano anche gli sprechi scendono. Ciò mostra che tra le cause principali di spreco vi sono gli eccessi di produzione, di offerta e di consumo. Le tendenze in Italia e in Europa sembrano indicare un aumento degli sprechi nelle fasi precedenti le forniture commerciali, una diminuzione degli sprechi nella fornitura e nei consumi, una crescita molto sostenuta della sovralimentazione, una riduzione dello spreco per allevamenti (per il calo dei consumi di derivati animali). I dati medi coprono le fortissime differenze tra i paesi e all’interno dello stesso paese. In Italia le condizioni di malnutrizione e obesità sono in rapido aumento, così come le condizioni di difficoltà di accesso al cibo e le disuguaglianze nell’accesso.
Gli sprechi dalla fattoria al piatto
A livello globale, circa la metà dei rifiuti alimentari viene creata prima della fornitura, mentre l'altra metà si verifica durante la fornitura e il consumo. Nei paesi in via di sviluppo, la maggior parte degli sprechi si verifica nell'azienda agricola, mentre nei paesi sviluppati il modello si inverte, con più sprechi a livello di vendita al dettaglio e di consumo. Gli sprechi alimentari avvengono in ogni fase, dalla fattoria al piatto, con proporzioni variabili da regione a regione, ad esempio per lo scarso accesso a una corretta refrigerazione o per etichette alimentari che incoraggiano cattivi comportamenti. Lo spreco alimentare non è un problema solo dei paesi ricchi. Ad esso contribuiscono ad esempio la scarsa possibilità di accesso a ciò che viene prodotto o la dipendenza regionale da colture specifiche, rendendo lo spreco alimentare un problema veramente globale.
Lo studio ISPRA evidenzia la necessità di perseguire la strategia dell’autonomia alimentare al fine di evitare gli effetti complessi che legano lo spreco agro-industriale all’insicurezza alimentare nei paesi in sviluppo e nelle fasce a minor reddito degli stessi paesi sviluppati. Bisogna infatti notare che l’Italia si trova in condizioni di "non autosufficienza" alimentare: con un consumo di suolo agricolo/naturale e un abbandono rurale in continuo aumento, un deficit di suolo agricolo che è il quinto più grande nel mondo, la conseguenza è un tasso di auto-approvvigionamento alimentare inferiore all’80% e per alcune produzioni anche sotto il 50-60%.
La maggiore efficienza delle filiere corte, locali, biologiche
Nello studio si indagano in dettaglio cause e condizionamenti lungo le filiere: emerge che lo spreco è in larga parte determinato dalla struttura caratteristica delle filiere e dal basso valore degli alimenti che non considera i costi ambientali e sociali. Nelle filiere corte, locali e biologiche (vendita in azienda, mercati e negozi degli agricoltori) lo spreco è mediamente 3 volte inferiore a quello dei sistemi convenzionali; in reti alimentari ancor più capillari, su base ecologica, locale, solidale e di piccola scala, lo spreco arriva a essere circa 8 volte inferiore. È quindi necessario facilitare la diffusione di queste innovazioni come principale misura di prevenzione dello spreco. Si tratta in particolare delle produzioni agro-ecologiche di piccola scala (più durevoli e che forniscono più nutrienti), dell’agricoltura contadina connessa ai mercati del territorio, delle reti solidali e cooperative tra produttori e consumatori. Anche per via dei minori sprechi, questi sistemi hanno prestazioni ambientali e sociali indubbiamente superiori.
Efficienza tecnologica, recupero e riciclo sono utili per evitare la formazione di rifiuti e sviluppare una bio-economia circolare sostenibile. D’altra parte ISPRA individua la principale priorità nella prevenzione strutturale per ridurre a monte la formazione di eccedenze, i conseguenti sprechi alimentari e gli impatti negativi, anche per evitare effetti complessi di sostituzione, rimbalzo (paradosso di Jevons), copertura e ritardo che possono rinforzare la produzione di eccedenze.
Obiettivo Nazioni Unite: dimezzare lo spreco entro il 2030
L’Obiettivo 12.3 per lo sviluppo sostenibile invita tutte le nazioni a dimezzare gli sprechi alimentari e ridurre la perdita di cibo entro il 2030. Data l'entità del fenomeno a livello globale, lo studio raccomanda a stati, città e imprese coinvolte nei sistemi alimentari di muoversi rapidamente per fissare obiettivi di riduzione, misurare i progressi e agire per ridurre strutturalmente la perdita e lo spreco di cibo.
La Giornata nazionale per la prevenzione dello spreco alimentare indetta per il 5 febbraio è stata un’occasione per riflettere sui nostri comportamenti e cercare di modificarli. Non solo per risparmiare nel quotidiano, ma anche per salvaguardare il nostro pianeta.
Uno studio ISPRA con varie proposte di prevenzione degli sprechi
Non ci sono soluzioni semplici contro lo spreco: queste possono infatti far parte di un approccio complesso ed essere diversificate a seconda delle caratteristiche dello spreco. Nello studio ISPRA sono trattate varie proposte di prevenzione strutturale: pianificazione di modelli alimentari sostenibili di produzione, distribuzione e consumo; acquisti pubblici “verdi”; politiche alimentari locali sistemiche e partecipate; educazione alimentare e nutrizionale; supporto alle reti alimentari locali, di piccola scala, ecologiche, solidali; tutela dell’agricoltura contadina e accesso alla terra; agro-ecologia in aree rurali e naturali, valorizzazione dell’agro-biodiversità; sviluppo dell’agricoltura sociale, urbana e in aree soggette ad abbandono; contrasto agli illeciti nell’agroalimentare; approfondimenti sul campo delle ricerche; ruolo attivo dei cittadini per comunità resilienti e in rete.
I dati indicano che per rientrare nelle capacità ecologiche e sociali è necessario ridurre strutturalmente gli sprechi alimentari sistemici ad almeno un terzo dell’attuale nel mondo, un quarto in Italia, intorno al 15%. Fondamentale è avvicinare produttori e consumatori, riconoscendo il diritto al cibo come bene comune inalienabile e un suo maggior valore culturale, sociale ed economico, evitando spettacolarizzazioni perverse ed eccessi commerciali che creano spreco e disuguaglianze, garantendo così condizioni condivise, eque e sostenibili di produzione e di accesso al cibo.
Approcci collaborativi per cambiare la struttura dei sistemi alimentari
Al fine di prevenire gli sprechi, i governi, le agenzie e le organizzazioni pubbliche devono mettere in campo approcci collaborativi per trasformare la struttura dei sistemi alimentari e aiutare a cambiare la mentalità delle persone, scoraggiando le pratiche che portano allo spreco e favorendo le buone pratiche da parte di agricoltori, imprese e cittadini.
Alcuni segnali sono promettenti. I Paesi che hanno fissato obiettivi specifici di prevenzione e riduzione dello spreco coprono circa il 28% della popolazione mondiale. Allo stesso tempo, quasi il 60% delle 50 più grandi aziende alimentari del mondo ha fissato degli obiettivi per ridurre le perdite e gli sprechi alimentari. Oltre il 10% delle 50 maggiori aziende ha ora programmi attivi per sprecare meno cibo. Inoltre sta aumentando sempre più la diffusione dei sistemi alimentari locali, ecologici, solidali e di piccola scala. Nel frattempo, le iniziative sono decollate nell'Unione Europea, negli Stati Uniti, in Giappone e in altri paesi dove aumentano le collaborazioni pubblico-privato-società civile, le politiche governative e le campagne volte a ridurre gli sprechi alimentari. Viceversa solo pochi Paesi, che rappresentano il 7% della popolazione mondiale, attualmente misurano e riportano pubblicamente dati e informazioni su quanto cibo è sprecato all'interno dei propri confini.
Misurare gli sprechi, coinvolgere i produttori, educare i cittadini
Queste ultime cifre sollevano la domanda: il mondo può davvero dimezzare lo spreco di cibo entro il 2030? La risposta può essere positiva, ma solo se molti altri governi e aziende stabiliscono obiettivi ambiziosi, misurano lo spreco e intervengono per prevenirlo e ridurlo. È molto importante l'impegno dei cittadini. Aiutare le persone a cambiare le loro abitudini richiede tempo e una serie di approcci diversi: ad esempio cambiare modi di fornitura, ridurre i fabbisogni complessivi o seguire diete con meno derivati animali, grassi insalubri, sali, zuccheri. È anche fondamentale avere l’impegno dei produttori e di molti altri portatori di interesse. Ciò avendo presente comunque che è particolarmente difficile rendere questo cambiamento sostenibile e duraturo. Trovare nuovi modi per coinvolgere i cittadini a sostenere sistemi che sprecano meno cibo è anche un’opportunità per aiutare le persone ad aumentare il benessere reale, individuale e sociale.
Ciò che risulta evidente dai dati e dalle informazioni disponibili, dagli sforzi, dalle politiche e misure messe in campo e dai risultati finora conseguiti è che sarà difficile dimezzare lo spreco di cibo, ma è possibile. Ci sono già stati alcuni risultati notevoli e sono stati compiuti buoni progressi. Ora è il momento di riconoscere che abbiamo una responsabilità collettiva di agire e che ognuno di noi è e deve essere parte della soluzione.