fbpx Che artisti quei Neandertal! | Science in the net

Che artisti quei Neandertal!

Primary tabs

Passante Neandertal che osserva i sapiens... al Neanderthal museum in Renania Vestfalia.

Tempo di lettura: 5 mins

A una decina di chilometri a est di Düsseldorf, in Renania Settentrionale-Vestfalia, si trova la cosiddetta valle (in tedesco: tal) di Neander. Al giorno d’oggi della vallata è difficile scorgere le tracce, ma un tempo alte pareti calcaree, pazientemente cavate - e ormai demolite - dall’uomo, si ergevano ai fianchi del torrente Düssel, l’affluente del Reno che vi scorre. È proprio grazie all’intensa attività estrattiva che qui fu scoperto, nel 1856, il primo fossile dell’uomo di Neandertal (Homo neanderthalensis), il più studiato tra gli ominini estinti.

Sin dalla loro prima scoperta, questi nostri “cugini” sono stati un po’ bistrattati, con ricostruzioni fuorvianti della loro natura. Dotati di corporatura massiccia, con arti robusti e muscolatura possente, avevano un cranio basso e allungato, occupato da un voluminoso cervello. Sul loro profilo spiccava una vistosa visiera ossea, naso e bocca erano protesi in avanti, il mento sfuggente. Per lungo tempo furono ingiustamente dipinti come rozzi cavernicoli, un po’ stupidi e incapaci di competere con il parente “colto”, Homo sapiens appunto.

Un museo neandertalizzante

Oggi non è più così. A poche centinaia di metri dal luogo del primo ritrovamento si trova il Neanderthal museum, un’esposizione permanente dedicata alla storia di questa specie e alle sue straordinarie somiglianze con la nostra. Affacciato a una delle balconate interne del moderno edificio che ospita il museo c’è un distinto signore in completo grigio che “osserva” pensoso i visitatori: è una ricostruzione di come apparirebbe un uomo di Neandertal di mezz’età se potesse mescolarsi a noi sapiens.

Difficile notare le differenze. All’ingresso del museo una cabina per fototessere in pochi minuti restituisce a chi lo desidera la propria immagine neandertalizzata: nel profilo scompare il mento, si alza il toro sopraorbitale e si nota una nuca sporgente, ma la persona è ancora perfettamente riconoscibile. Le originali idee dei curatori del Neanderthal museum per rendere più “umani” i neandertaliani potrebbero ora essere coadiuvate dalle recenti scoperte, pubblicate sul numero 359 di Science dello scorso 23 febbraio. Nel titolo si trova già la notizia: nuove tecniche di datazione portano a pensare che siano stati i Neandertal a dipingere alcune note grotte spagnole, studiate per le pitture preistoriche. Nel mondo dell’arte sarebbe come dire: abbiamo scoperto che la Cappella degli Scrovegni non fu affrescata da Giotto, ma da un suo cugino imbianchino.

La mappa della Penisola Iberica. I punti indicano le tre grotte (1: La Pasiega, 2: Maltravieso, 3: Ardales).

Non solo cacciatori e artigiani

Sebbene riabilitati e parzialmente inseriti tra i nostri antenati (nel genoma di alcuni uomini moderni si trovano tracce di sporadiche ibridazioni dei nostri progenitori con i neandertaliani), fino a ora era un azzardo ipotizzare che gli uomini di Neandertal avessero prodotto opere d’arte. Abili cacciatori, persone capaci di collaborare con intelligenza all’interno del gruppo, artigiani di qualità, ma non artisti. Si pensava che la raffinatezza di pensiero, capace di produrre capolavori come i dipinti di Lascaux, la “cappella Sistina” dell’arte paleolitica (risalente a 18mila anni fa circa), fosse comunque esclusiva di Homo sapiens. E invece gli autori dell’articolo, paleoantropologi e archeologi spagnoli, inglesi e tedeschi, attribuiscono proprio ai cugini neandertaliani la paternità di alcune pitture ritrovate in tre diversi siti spagnoli, studiati da tempo.

La Pasiega C, motivo rettangolare scalariforme con figure zoomorfe incomplete e punti rossi. Sinistra: foto dei motivi. Destra Disegni di Breuil.

L’attribuzione dipende dalla nuova datazione: grazie a tecniche elaborate di recente gli scienziati sono giunti alla conclusione che queste siano le più antiche pitture in grotta mai individuate. Nel loro insieme le opere avrebbero un’età minima di circa 64.000 anni, vale a dire risalirebbero ad almeno 20.000 anni prima del presunto arrivo di Homo sapiens nella penisola iberica. La datazione è stata effettuata su colate calcaree con una metodologia molto sensibile che rileva l’abbondanza relativa di Uranio e Torio (prodotto dal decadimento radioattivo dell’Uranio) nei minerali che insieme al carbonato di calcio formano le colate stesse. Poiché tali concrezioni hanno nei millenni ricoperto le pitture, queste ultime devono essere state prodotte prima che l’acqua le depositasse, scorrendo come un velo sulle pareti. È come se un sipario roccioso fosse calato sui dipinti, preservandoli, per essere risollevato dopo decine di migliaia di anni. E dal momento che non esistono tracce della presenza di Homo sapiens in Europa antecedenti i 40.000 anni fa, mentre quella dei Neandertal è ben documentata, l’attribuzione delle pitture a questi ultimi viene di conseguenza.

Mani, animali, linee, punti enigmatici

Alcune di queste opere sono enigmatiche, altre meno. Ci sono impronte di mani in negativo, parti di animali stilizzate, ma anche lunghe linee e insiemi di punti che formano misteriosi disegni geometrici di difficile interpretazione, anche per gli studiosi. C’è dunque ancora molto da scoprire e da capire su questi “europei” di lunga data. Sappiamo che furono capaci di affrontare le glaciazioni, come attestano le informazioni sul clima del vecchio continente nel periodo in cui vi vissero; che seppero cacciare mammut, bisonti e renne, grazie a strumenti lavorati con abilità; che raccoglievano vegetali spontanei; che si agghindavano con monili fatti di conchiglie e penne d’uccello; che curavano malattie e traumi, come scopriamo dai loro scheletri. Ora pare che la loro capacità creativa non fosse solo dedicata a produrre oggetti di utilità pratica, o per ornare il corpo, ma che servisse anche a inventare immagini dal significato simbolico, magari rituale.

Stencil di mano, nella grotta Maltravieso. La figura in alto rappresenta la scena originale, la foto in basso la stessa immagine dopo applicazione di DStretch.

Umani in tutto e per tutto, insomma, in modo diverso, ma non “inferiore”. Poco dopo l’insediamento in Europa dell’uomo moderno, una cultura multiforme e sofisticata, parallela se non antecedente alla nostra, si è dunque estinta insieme ai suoi depositari. Homo sapiens è sì la sola specie umana rimasta, ma non la solasapiente” esistita.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

The epistemic consequences of bibliometrics-based evaluation

Until a few years ago, most Italian scientists had hardly heard of things like the impact factor of a journal or the h-index of a researcher; nowadays these seem to be their everyday concern. What are they about? They are some of the parameters introduced with the aim of quantitatively assessing the outcome of scientific research, giving rise to a new discipline called scientometrics, and in particular bibliometrics for what concerns the scientific publications.