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Riciclo a rilento per la plastica

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La vita dei prodotti in plastica procede su una linea retta: nascono, vengono utilizzati e poi muoiono. Il report "Improving markets for recycled plastics: trends, prospects and policy responses", pubblicato a fine maggio dall'OCSE, l'organizzazione interazionale per lo studio economico dei paesi sviluppati, segnala che delle centinaia di milioni di tonnellate di materiali in plastica prodotti ogni anno, la maggior parte viene incenerita, bruciata a cielo aperto, abbandonata in discarica o, ancora peggio, nell'ambiente. Si stima che solo una percentuale oscillante tra il 14 e il 18 per cento della plastica prodotta sia raccolta per il riciclaggio. Ma perché è così difficile trasformare la linea retta in cerchio attraverso il riciclo?

Uno nessuno, centomila tipi di plastiche

Parte della risposta sta nella sostanza stessa delle plastiche, polimeri derivati dal petrolio e utilizzati puri o miscelati con additivi che ne influenzano le proprietà. Una delle prime difficoltà del riciclaggio è nel fatto che, appunto, non si parla di un materiale da riciclare, bensì molti diversi tra loro: nelle sole bottigliette di plastica se ne ritrovano due, il polietilene teraftalato (PET), utilizzato per la bottiglia vera e propria, e il polipropilene (PP), impiegato invece per il tappo. I diversi materiali devono essere separati e hanno bisogno di trattamenti differenti per poter essere rigenerati. I tassi di riciclo, in questo senso, variano molto: se il totale è intorno al 15 per cento delle plastiche prodotte (con notevoli differenze tra l’Unione Europea, il cui tasso è al 30 per cento, e gli Stati Uniti, al 10 per cento), si nota una sostanziale differenza tra i tassi di riciclo dei diversi tipi di plastica. I valori più alti sono quelli del riciclo del già citato PET e quelli del polietilene ad alta densità (HDPE), mentre in fondo alla classifica si trovano il polivinilcloruro o PVC (quello dei dischi in vinile) e il polipropilene.

Tassi di riciclo della plastica In Europa, USA, Australia e Giappone secondo PlasticsEurope, ed EPA.

A ciò si aggiunge un ulteriore problema tecnico, rappresentato dai diversi additivi utilizzati nella produzione delle plastiche, come i ritardanti di fiamma che si ritrovano nelle mascherine delle prese elettriche per impedire che prendano fuoco. Queste sostanze sono spesso tossiche e devono essere rimosse per evitare che permangano nel prodotto riciclato. E ancora, ci può essere una contaminazione post-utilizzo delle plastiche: basta pensare ai contenitori per alimenti, che si sporcano di olio e altre sostanze che devono essere eliminate prima di poter mettere mano al polimero.

Barriere economiche

Come si può intuire da quanto detto fin qui, il riciclo della plastica è innanzitutto costoso. E se questo è uno svantaggio di per sé, lo è ancora di più rapportato al basso costo della produzione delle plastiche primarie, che è determinato da quello della loro materia prima, il petrolio. Se il prezzo di quest'ultimo diminuisce, diminuirà anche quello della plastica; per contro, resterà inalterato quello del riciclo. Inoltre, le industrie di riciclaggio nei paesi a più alta produzione di plastiche (soprattutto Europa e Nord America) sono piccole, frammentate e fragili di fronte ai mastodontici produttori. Ciò le rende particolarmente vulnerabili alle oscillazioni del mercato, e i paesi produttori sono facilmente messi in difficoltà dalle restrizioni delle importazioni nei paesi con le principali infrastrutture per il riciclo, come è successo all'inizio di quest’anno, quando la Cina ha chiuso le frontiere dei rifiuti riciclabili.

Proposte e dati positivi

Il report dell’OCSE chiede che i governi prendano misure urgenti per incentivare un riciclo “maggiore e migliore”. Tra queste, più investimenti nelle infrastrutture per il riciclaggio e per lo sviluppo di tecniche che rendano più semplice la rimozione di contaminanti e additivi. L’OCSE propone l’introduzione di etichette che indichino con chiarezza se si tratta di un prodotto riciclato, così da aiutare il consumatore a fare una scelta consapevole. Suggerisce anche un aumento delle tasse per la produzione di plastiche primarie.

Parte di queste misure sono già state anticipate dall’Unione Europea, che ha introdotto a fine maggio una serie di norme che vanno dal bando a prodotti monouso come bastoncini cotonati, piatti e posate di plastica all’obbligo per i produttori di contribuire ai costi di gestione e bonifica dei rifiuti, uniti a incentivi per la produzione di alternative meno inquinanti. Per quanto riguarda l’Italia, dati incoraggianti vengono dal Corepla, il consorzio nazionale senza scopo di lucro per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi di plastica. In un comunicato stampa che tira le somme del 2017, Corepla segnala una crescita continua della raccolta differenziata e del riciclo, in particolare degli imballaggi: 986 mila tonnellate di rifiuti di imballaggi di plastica riciclati, 324 mila delle quali utilizzate per la produzione di energia al posto dei carburanti fossili.

 


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