fbpx Premio Bassoli quest'anno sulla razza | Scienza in Rete

Premio Bassoli quest'anno sulla razza

@Depositphotos.

Read time: 6 mins

La nuova edizione del Premio Bassoli, voluto in maniera congiunta dalla SISSA (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati), dall’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) e sostenuto dall’agenzia Zadig nell’ambito del progetto Memorie di scienza quest’anno ha un tema antico eppure straordinariamente attuale: la razza. Il bando scade il 31 luglio 2018, qui il regolamento.

Il premio è dedicato a Romeo Bassoli, indimenticato e indimenticabile maestro di giornalismo scientifico che per la storia della scienza in particolare e per la storia in generale aveva una speciale attenzione. Soprattutto quando i temi del passato ritornano con prepotenza nel presente. È il caso, appunto, della parola razza. Che, come dice il bando, ha un significato diverso dalla parola razzismo. I due concetti sono affatto diversi, ancorché non del tutto indipendenti. La razza è un concetto biologico, privo ormai di fondamento, il cui uso non comporta necessariamente discriminazioni di tipo razziale. Quanto al razzismo, può esistere – e, infatti, esiste – anche a prescindere dal concetto di razza umana. La scienza ha dimostrato che le razze umane non esistono. Ma non per questo il razzismo ha cessato di esistere. Il problema potrebbe sembrare pertanto di scarsa pertinenza scientifica. Ma, bisogna dire, quasi sempre i razzisti nella storia – è il caso del fascismo – hanno cercato una giustificazione scientifica, di tipo biologico e/o culturale. E ancora oggi, in maniera più o meno diretta, chi teorizza e pratica il razzismo cerca un aggancio nelle scienze.

È per questo che da alcuni anni – come i lettori di Scienzainrete ben sanno – su iniziativa di due antropologi, Olga Rickards e Gianfranco Biondi, è nato un movimento di intellettuali, formato da scienziati naturali e scienziati sociali, che chiede di togliere dalla Costituzione la parola razza che compare all’articolo 3.

Ed è per questo che lo scorso 22 gennaio le associazioni e le società scientifiche sia degli antropologi fisici sia degli antropologi culturali hanno sottoscritto un documento comune per riaffermare nella maniera più netta possibile che le razze umane non esistono. E per condannare «qualsiasi uso strumentale di categorie che sono al tempo stesso prive di fondatezza dal punto di vista genetico e potenzialmente discriminatorie, quali le “razze umane” e le “culture essenzializzate” (ovvero intese come unità definite e rigide), nel discorso scientifico, in quello pubblico e nelle pratiche sociali».

Il documento non contiene alcuna novità scientifica: che il concetto di razza non ha fondamento alcuno se applicato alla specie Homo sapiens, la nostra specie, lo si sa ormai da tempo. Già Charles Darwin aveva argomentato contro l’esistenza di razze umane. Ma la dimostrazione definitiva la si è avuta con gli studi genetici. Tra i primi, quelli di un grande genetista italiano, Luigi Luca Cavalli Sforza e di alcuni suoi collaboratori, come Paolo Menozzi e Alberto Piazza. I tre sono autori di un libro illuminante: Storia e geografia dei geni umani. Ma occorre ricordare anche gli studi e le pubbliche battaglie intellettuali di due biologi americani, Richard Lewontin e Stephen Jay Gould.

Sono dunque alcuni decenni che ogni teoria scientifica sull’esistenza delle razze umane è stata falsificata. Dunque, a muovere a inizio 2018 gli antropologi italiani, fisici e culturali per una volta uniti, non è stata un’urgenza scientifica, ma un’urgenza culturale, sociale e politica. L’emergenza di una “questione razziale” in Italia, ottant’anni dopo l’emanazione delle famigerate leggi volute da Benito Mussolini e dal regime fascista.

Dunque a motivare gli antropologi è la paura che il concetto scientifico di razza, ancorché privo di ogni fondamento, possa essere utilizzato come base per un nuovo o vecchio razzismo. Non ha forse un eminente uomo politico italiano evocato una minaccia per la “razza bianca” da sventare?

È per questo che lo scorso il 15 febbraio, l’antropologo fisico Giovanni Destro Bisol (Sapienza Università di Roma) e due biologi culturali – Alessandro Lupo (Sapienza Università di Roma) e Stefano Allovio (Università Statale di Milano) – interpretando il pensiero dell’intera comunità hanno sentito il bisogno di indire una conferenza stampa presso la Camera dei Deputati per lanciare un: «Appello per un’informazione scientifica contro i razzismi».

L’appello era diretto alla comunità politica: ma aveva (e ha ancora) una serie di valenze generali. La prima, niente affatto retorica, è quella di unirsi per formare un fronte culturale comune sia contro l’uso del tutto infondato della parola razza sia, soprattutto, contro ogni forma di razzismo.

Una seconda richiesta è di tipo programmatico. Gli antropologi chiedevano e tuttora chiedono alle forze politiche e ai futuri eletti di «promuovere, in Parlamento e nei ruoli di governo che si andranno eventualmente a ricoprire, politiche e iniziative (in primis nella scuola) per una informazione scientifica sulla diversità biologica e culturale, efficace strumento contro i razzismi». In altri termini l’appello è ad adoperarsi per iniziare a costruire una solida cultura antirazzista.

È auspicabile che un appello di tale natura venga sottoscritto e rilanciato da tutte le forze politiche nel corso di questa nuova legislatura. Ma, occorre dire, la sua stessa esistenza è un segnale positivo. Quando nei primi lustri del Novecento venne montando in Europa una cultura razzista diffusa, che poi trovò una sintesi tragica nelle leggi razziali del1933 in Germania e nel 1938 in Italia e molti altri paesi con governi fascisti, le comunità scientifiche furono piuttosto silenti. Non reagirono. Non pochi scienziati, al contrario, aderirono allo spirito ormai egemone e diedero un supporto (pseudo)scientifico sia al concetto di razza biologica e/o culturale (la stirpe italiana, di fascistica memoria) sia alle politiche razziali.

Come andò a finire, anche per la scienza europea, lo sappiamo tutti.

Oggi le cose sembrano andare in maniera diversa. Molti uomini di scienza e persino intere comunità scientifiche decidono, con lungimiranza storica oltre che con onestà intellettuale, di scendere in campo. Di assumersi le loro responsabilità sociali. Tutto ciò non garantisce la sconfitta del razzismo. Ma pone degli argini significativi.

È di grande significato, persino al di là della possibilità di raggiungere l’obiettivo, che si discuta – come è stato fatto, per esempio, ad aprile all’Accademia della Crusca – la proposta di togliere dalla Costituzione la parola razza. Non è una scelta semplice. Ed esistono due scuole di pensiero. C’è chi sostiene chi il termine razza è stato messo in Costituzione, a pochi anni dalle leggi razziali e dall’Olocausto, nel terzo articolo, per vietare solennemente ogni discriminazione in base al sesso, alla religione e, appunto, alla razza, tra gli esseri umani. Ha dunque una funzione positiva. E anche se oggi non ha alcun fondamento scientifico deve restare lì a imperitura memoria per evitare nuove leggi della vergogna. Inoltre, si sostiene, modificare la Costituzione nella sua prima parte può essere un precedente pericoloso.

L’altra scuola di pensiero sostiene invece che la Costituzione, anche la prima parte, non è un testo sacro e dunque immodificabile. Ma una carta dinamica, capace di adeguarsi alle conoscenze scientifiche e alle sensibilità che via via si vanno stabilendo nel tempo. Togliere la parola razza altro non è un modo di dimostrare la natura dinamica della Costituzione. Inoltre toglie ogni appiglio a chi, con un ragionamento privo di logica, sostiene che se la parola razza è presente in Costituzione, allora le razze umane esistono.

Tutti, però, convengono che è il caso di parlarne. Perché è solo discutendo che costruiamo un rapporto dialogico con la Costituzione e costruiamo insieme una nuova e più matura cultura antirazzista.

Ecco, il tema del Premio Bassoli di quest’anno, con il suo progetto di ricostruire la storia orale intorno alla parola razza a ottant’anni dalle leggi razziali del fascismo, si inserisce in questo processo di recupero della memoria e di acquisizione di una nuova e più forte consapevolezza contro ogni tipo di discriminazione tra gli esseri umani.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Approved the law for the restoration of European nature, but it's a half victory

On November 9, the European Council approved the Nature Restoration Law, a regulation for the restoration of ecosystems. A much-hoped-for victory that leaves a bitter taste: the adopted regulation emerges from more than a year of negotiations that have significantly weakened it in substance. The risk is that the objectives lose their concreteness in implementation.

Crediti foto Boris Smokrovic su Unsplash

On November 9, the European Council, the body defining the EU's policy directions, approved the Nature Restoration Law, one of the four main pillars of the European biodiversity strategy for 2030. A great achievement, yet leaving a bit of bitterness, considering the approved regulation was significantly weakened compared to the original.