Carlo Bernardini, con Pietro Greco, il 16 febbraio 2013, alla prima edizione di OrvietoScienza.
Giovedì 21 giugno Carlo Bernardini ci ha lasciato. Era nato a Lecce il 22 aprile 1930. Aveva, dunque, appena compiuto 88 anni. E aveva, soprattutto, una voglia ancora indomita di continuare le sue battaglie ideali. Con la lucidità, la determinazione e l’umanità di sempre.
Forse è persino inutile ricordare chi sia stato, Carlo. Forse non c’è persona che si occupi in qualsiasi modo e ambito di scienza che non lo conosca. Tuttavia non tutti conoscono, forse, tutte le sue facce. Tutti gli ambiti in cui, da intellettuale autentico, si è cimentato.
E, allora, forse è utile ricordarli, tutti questi ambiti, senza pretesa alcuna di completezza.
Carlo Bernardini, fisico
Carlo Bernardini è stato prima di tutto e soprattutto un fisico. Un ottimo fisico, che ha contribuito a ideare e realizzare la “via italiana alle alte energie”. AdA, l’Anello di Accumulazione, non è stato l’unico progetto cui ha partecipato, da fisico teorico ingaggiato in programmi di fisica sperimentale. Tuttavia è stato quello di cui andava maggiormente fiero. Che ricordava con più piacere e anche con più commozione. E allora vale la pena ricordarlo con un minimo di definizione di dettaglio, perché quel progetto è parte della storia culturale del nostro paese.
Siamo alla fine degli anni '40. I fisici italiani organizzati nell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) – un originale modello organizzativo pensato da un grande fisico, omonimo ma non parente di Carlo, Gilberto Bernardini, in stretta collaborazione con Edoardo Amaldi – hanno ormai dimostrato di poter rinverdire la splendida tradizione degli anni ’30, quando intorno a Enrico Fermi si forma a Roma il gruppo leader al mondo in fisica nucleare.
Dopo il disastro conseguente alle leggi razziali del 1938 e, poi, all’entrata in guerra dell’Italia al fianco di Hitler, i fisici della penisola si stanno riprendendo alla grande. Con gli esperimenti di Marcello Conversi, Ettore Pancini e Oreste Piccioni hanno inaugurato la stagione di quella che sarà la fisica dominante della seconda parte del XX secolo: la “fisica delle particelle”. Con una serie di ricercatori formidabili, come Gilberto Bernardini, lo stesso Edoardo Amaldi, Giuseppe “Beppo” Occhialini e tanti altri, hanno un ruolo di primissimo piano nella fisica dei raggi cosmici, inaugurata peraltro da Bruno Rossi. Con Edoardo Amaldi hanno dato l’impulso alla realizzazione del CERN di Ginevra, un grande laboratorio europeo: il primo progetto realizzato dai paesi del Vecchio Continente dopo la lunga guerra civile durata trent’anni che tra il 1914 e il 1945 lo ha dilaniato. Con alla testa Giorgio Salvini, i “giovani leoni” della sezione acceleratori dell’INFN hanno dimostrato di saperci fare. Con l’elettrosincrotrone realizzato a Frascati, l’Italia è ormai in grado di partecipare, in piena autonomia, alla ricerca nel settore della fisica delle alte energie.
Ma ora, alla fine degli anni ’50, dopo la realizzazione della macchina di Frascati, occorre andare avanti e non disperdere queste competenze. Occorre alzare l’asticella, con un nuovo progetto di valore assoluto. Se ne inizia a parlare nel 1959. Alcuni propongono di passare a una macchina in grado di accelerare protoni, per realizzare ricerche di punta nel campo delle interazioni forti. Altri sostengono che bisogna insistere sugli elettroni, le particelle accelerate appunto dall’elettrosincrotrone: ma non basta avere una macchina più potente, occorre un’idea nuova dal punto di vista della fisica.
L’idea vincente viene lanciata da Bruno Touschek, un fisico teorico di origine austriaca che lavora alla Sapienza e che nel 1959 Salvini chiama a Frascati. Bruno ha due idee guida: la fisica che si può fare con gli elettroni anche negli acceleratori è più elegante e più semplice da interpretare della fisica che si fa con quella che definiva la «teppaglia adronica», ovvero i protoni, perché l’interazione elettromagnetica è meno devastante e più fine delle interazioni forti.
L’altra idea è, nella sua semplicità, davvero innovativa: un uovo di Colombo. Finora in tutto il mondo il “lavoro” di un acceleratore consiste nell’accelerare un fascio di particelle fino alla velocità giudicata giusta per bombardare un obiettivo fisso. Touschek sostiene che è molto più vantaggioso accelerare in direzioni opposte due fasci di particelle e al momento giusto farli scontrare frontalmente.
In realtà l’idea della collisione frontale tra fasci accelerati di particelle la vera novità. E neppure le gentle collisions, le collisioni gentili tra elettroni. I fisici ci avevano già pensato: per esempio Rolf Wideröe negli anni ’40 e poi ancora negli anni ’50. Il progetto era stato portato avanti a Princeton e Stanford. Touschek ha l’idea di utilizzare un solo anello in cui far viaggiare in direzioni opposte elettroni e positroni, portandoli a una collisione che ha grande interesse anche da un punto di vista fisico, perché l’annichilazione conseguente della particella e della sua antiparticella consente di «depositare energia nel vuoto» in modo estremamente elegante, senza restrizioni derivanti da ulteriori leggi di conservazione, e consente, quindi, l’osservazione del massimo numero possibile di stati finali della reazione.
Nello scontro elettroni e positroni si annichilano e la loro momentanea scomparsa produrrà energia elettromagnetica in grado di attivare il vuoto perché generi nuove particelle. Le particelle neonate, ovviamente, dipendono dall’energia di annichilazione. Per cui ci sono coppie di particelle che saranno create con maggiore probabilità: una nuova coppia elettrone-positrone; ma anche altre coppie di particelle cariche di segno opposto, come mesoni µ, π o K. Naturalmente sarebbero potute comparire anche nuove particelle, inattese.
Gli elettroni e i positroni non sentono l’interazione forte, e quindi i segnali conseguenti alla loro annichilazione sono più puliti. I leptoni, insiste Touschek, «parlano civilmente», senza rumori. Al contrario della «teppaglia adronica». Inoltre una macchina che accelera elettroni e positroni può raggiungere più facilmente le altissime energie. Insomma, l’idea è nuova, pulita ed economica. Aprendo la strada a nuova fisica. A strade mai battute.
I positroni non esistono in natura. Bisogna crearli. E organizzarli in un fascio. Nessuno ha mai realizzato un fascio di positroni e lo ha accelerato. Inoltre c’era da fare un vuoto davvero spinto. E trovare il modo di iniettare nella ciambella elettroni e positroni.
Touschek propone di passare dalle idee ai fatti, utilizzando lo stesso elettrosincrotrone costruito da Salvini e adattandolo. Salvini si oppone. Il compromesso, su proposta di Giorgio Ghigo, è: costruiamo una macchina nuova, un prototipo, ma piccolo – un metro e mezzo di diametro – in cui iniettare elettroni e positroni con un’energia di 250 MeV per provarne la fattibilità.
In breve il progetto AdA (anello di accumulazione) è approvato e finanziato dal CNEN con 20 milioni, grazie anche a quelli che Carlo Bernardini definisce i «buoni riflessi» di Felice Ippolito. Si parte. Nicola Cabibbo e Raoul Gatto nel 1961 elencano le reazioni prevedibili. Il loro lavoro costituisce “la Bibbia” per il gruppo che deve realizzare AdA. La squadra di Bruno Touschek, passata alla storia come il “gruppo del sincrotrone”, è composta da un numero incredibilmente piccolo di persone: Ruggero Querzoli, Gianfranco Corazza, Giorgio Ghigo e Mario Puglisi e, soprattutto, Carlo Bernardini.
Carlo e i suoi colleghi devono risolvere problemi non banali: come garantire una vita media sufficiente ai due fasci di particelle, raggiungere condizioni di vuoto estremamente elevate nella ciambella, iniettare nell’anello positroni ed elettroni con intensità sufficiente. Ma in breve tutti questi problemi sono risolti. E nel giro di un anno e mezzo AdA è già pronto e funzionante. Grazie anche al trasferimento dalla Francia a Frascati di un efficiente acceleratore lineare di positroni realizzato nel laboratorio di Orsay.
AdA è un prototipo. Non ha energia sufficiente per produrre nuova fisica. Ma gli italiani hanno dimostrato che è possibile costruire macchine di concezione nuova, a fasci collidenti. Esiste, dunque, una «via italiana alle alte energie» e questa via mieterà notevoli successi negli anni a venire. In fondo il LEP e poi LHC, i grandi acceleratori costruiti al CERN di Ginevra sono i figli, giganteschi, della minuscola AdA.
Carlo Bernardini parteciperà anche ad altri progetti importanti, primo fra tutti quello denominato ADONE. Ma basta ricordarlo come uno dei protagonisti dell’invenzione della “via italiana alle alte energie” per rendergli merito come fisico di grande classe.
Carlo Bernardini, docente
Carlo Bernardini ha avuto come costante punto di riferimento soprattutto due maestri, Edoardo Amaldi ed Enrico Persico. Ma, poi, è stato a sua volta maestro di svariate generazione di fisici. Avendo insegnato prima Fisica generale all’Università Federico II di Napoli (per due anni) e poi all’Università La Sapienza (oggi Sapienza, Università di Roma) ha tenuto il corso di Modelli e metodi matematici della fisica. Ma sulle sue capacità didattiche lasciamo la parola a un suo prestigioso allievo, Fernando Ferroni, attuale presidente dell’INFN: «Carlo Bernardini, al di là del suo grande contributo all’INFN e in particolare ai Laboratori di Frascati, è stato un docente straordinario alla Sapienza, ha appassionato intere generazioni di studenti alla Fisica delle Alte Energie. Ricordo ancora i suoi corsi che ebbi la fortuna di frequentare da studente, e che mi resero chiara sia la bellezza che avrei potuto incontrare sul mio cammino, sia le difficoltà che avrei sicuramente incontrato e che avrebbero richiesto un impegno senza compromessi. Un grande professore, uno spirito profondo».
Un professore che sapeva andare oltre le formule ed entrare nel vivo dei contenuti della fisica. Proprio perché aveva profonde conoscenze della storia e della filosofia della sua materia.
Carlo Bernardini, storico
No, non era uno storico della fisica di professione. Anche se in molti saggi, in molti articoli, in molte conferenze ha scritto e parlato di storia della fisica e di storia della scienza. Ha dato una mano a organizzare l’Archivio Amaldi, il cuore della storia della fisica italiana del dopoguerra. Ma la sua è una figura di storico anche e soprattutto perché molto più di tanti suoi colleghi aveva ben presente l’idea che le conoscenze in fisica, anche le più attuali, non vengono su dal nulla. Sono frutto di un percorso, storico appunto. E che lo studio della storia ha due obiettivi principali: ricostruire il percorso delle idee e ricostruire la vita degli uomini che hanno “fatto” la fisica. Questa memoria lucida della creatività del passato consente di avere un presente più lucido e più creativo.
Negli ultimi anni era piuttosto amareggiato per non essere riuscito a creare un settore stabile e riconosciuto di storia della fisica in Italia.
Carlo Bernardini, filosofo
Carlo aveva una profonda conoscenza dell’epistemologia: del modo in cui si produce conoscenza scientifica. Aveva anche posizioni molto precise, talvolta critiche verso le correnti di pensiero in fisica teorica che privilegiano la matematica più astratta. Occorre partire dai fenomeni, diceva. E in questo si richiamava a Enrico Fermi.
Ecco, Carlo Bernardini era un fisico teorico che, come Fermi, amava privilegiare i fatti concreti e tangibili del mondo fisico. Era un fisico teorico che non temeva anzi amava “sporcarsi le mani” con la fisica sperimentale.
Era un pensatore assolutamente libero. Indipendente dalle umane passioni. Se posso aggiungere un ricordo personale: Carlo aveva enorme rispetto per Bruno Pontecorvo, un altro che era al medesimo tempo fisico teorico e sperimentale. Quando Pontecorvo veniva a Roma dall’Unione Sovietica, era ospite nel suo ufficio. Ma non credo, mi diceva Carlo, nella sua teoria dell’oscillazione dei neutrini.
Carlo Bernardini era un razionalista illuminista. E questa sua visione del mondo la trasmetteva non solo all’interno della comunità dei fisici, ma anche nel resto della società. Con cui aveva un rapporto strettissimo ma mai accomodante.
Il razionalista illuminista Bernardini era dotato anche di una limpida onestà intellettuale. Anche nelle battaglie culturali più aspre – e ne ha fatte tante – riconosceva il valore scientifico e intellettuale dei suoi avversari. Quando c’era, ovviamente.
Carlo Bernardini, fisico per la pace
Nella sua ricchissima dimensione pubblica, uno spazio particolare Carlo lo ha sempre ritagliato per quella che considerava una battaglia prioritaria: la pace. E, in particolare, il disarmo nucleare. Aveva contribuito a fondare e ne era poi uno degli animatori principali l’USPID (l’Unione Scienziati per il Disarmo). Memorabili erano e sono ancora gli incontri ad altissimo livello che Carlo Bernardini e l’USPID hanno organizzato ogni due anni a Castiglioncello, in Toscana.
In questa azione incessante, il razionalismo illuminista di Carlo Bernardini raggiungeva un apice.
Carlo Bernardini e la scuola
Da intellettuale a tutto campo, qual era, Carlo Bernardini considerava la scuola una delle colonne fondamentali della società. Ma questa sua attenzione per la scuola non era, ancora una volta, avulsa da una concreta attività. Ancora una volta univa teoria e pratica. Così, ha diretto con Lucio Lombardo Radice la rivista Riforma della Scuola. Ma si è impegnato anche in attività sperimentali, sul campo, di didattica della fisica. Da questo punto di vista è stato un punto di riferimento costante degli insegnanti di fisica – e non solo di fisica – delle scuole primarie e secondarie.
La sua attenzione era anche al linguaggio. E il suo lavoro, corredato da grande amicizia, con Tullio De Mauro sul linguaggio della fisica è un’altra perla della sua vita culturale.
Carlo Bernardini e la comunicazione
Carlo Bernardini era uno scienziato consapevole della necessità di un rapporto con la società. E nel tempo ha costruito un rapporto molto stretto, anche se, come abbiamo già ricordato, mai accomodante. Un rapporto, per così dire, schietto. La sua attività di comunicatore è stata davvero intensa. Ha diretto per anni Sapere, la più antica rivista di divulgazione scientifica che abbiamo in Italia. È stato editorialista di importanti quotidiani e riviste. Partecipava volentieri a trasmissioni radiofoniche e, forse un po’ meno, televisive. Ha scritto libri tanto profondi quanto godibili.
Ecco, la sua scrittura era quella del grande scrittore.
Leggera e profonda. Innervata di riferimenti culturali, ma proposti senza arroganza, con estrema naturalezza, spesso con umiltà. Al fondo c’era sempre una sottile ironia. Che, talvolta, poteva diventare irridente sarcasmo. Soprattutto quando oggetto dei suoi strali erano colleghi che non lo convincevano o, comunque, potenti. Senza dubbio Carlo Bernardini è stato uno dei protagonisti più versatili e importanti della comunicazione della scienza dell’ultimo mezzo secolo.
Carlo Bernardini, politico
Non ci riferiamo solo al suo passaggio in parlamento, eletto al Senato nel 1976 come indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano. E neppure solo alla sua battaglia a favore del nucleare civile (su queste posizioni il vostro cronista era distante da qual grande maestro). Ci riferiamo soprattutto alle sue battaglie per una politica della ricerca italiana. La sua lucidità di pensiero era invidiabile. Già all’inizio degli anni ’90, quando la crisi italiana era già evidente ma pochi ne individuavano le cause, Carlo Bernardini (con il modesto contributo di chi scrive) organizzò un convegno dal titolo: L’Italia è ancora un paese industrializzato?
Chiara l’analisi. La nostra crisi deriva dal fatto che il sistema produttivo italiano ha scelto un “modello senza ricerca”. Se vogliamo uscire dalla crisi abbiamo un’unica opzione: puntare sulla ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico.
Questa analisi e questa ricetta è oggi più che mai valida. Ma ancora le classi dirigenti italiane – politiche, economiche, intellettuali – non se ne sono accorte. Questa insipienza del paese lo amareggiava. Era fonte di una sofferta frustrazione. Ma ciò non gli ha impedito per anni, per decenni di continuare a indicare la via ritenuta giusta. In ogni occasione – dalle assise nazionali più alte agli interventi nelle scuole dei paesini più sconosciuti.
L’umanità di Carlo Bernardini
Vorrei chiudere con un ricordo personale. Perché ho avuto l’onore e il piacere di essergli amico. Le prime volte che l’ho incontrato, verso la fine degli anni ’80, ne ero come intimorito. Riconoscevo la sua stratordinaria cultura, di diverse spanne superiore alla mia di povero cronista. E conoscevo anche la severità dei suoi giudizi. Per cui quando scrivevo un articolo, il mio primo pensiero era: chissà cosa ne penserà Carlo. Ecco questo mi ha molto aiutato a crescere professionalmente: ho sempre cercato di scrivere, in piena indipendenza e talvolta su posizioni diverse, in modo che Carlo Bernardini non avesse nulla da rimproverarmi in fatto di grammatica e sintassi scientifica.
Ci siamo trovati in tantissime situazioni dalla medesima parte. A Sapere, nella didattica della comunicazione della scienza, nelle battaglie per una sana politica della ricerca e in quelle per il disarmo e per un’Europa sempre più unita.
Ebbene, in tutti questi anni il timore reverenziale nei confronti della sua immensa cultura non si è eroso. Ma ho imparato a conoscere sempre meglio la profonda umanità di Carlo.
In ultima analisi: era una persona perbene. E lo dimostrava.