fbpx Un'altra provocazione del neutrino? | Science in the net

Un'altra provocazione del neutrino?

Primary tabs

I fisici Wolfgang Pauli e Niels Bohr all'inaugurazione del nuovo Istituto di Fisica di Lund, in Svezia. Credit: Erik Gustafson. Da Wikipedia Commons, the free media repository. Licenza: PD in Svezia, US PD-1996

Read time: 7 mins

Sembra un deja vu: una prima anomalia, poi una seconda e una terza, risultati contraddittori, teorie che sembrano spiegare tutto avanzando ipotesi intriganti e foriere di nuova fisica, nuovi esperimenti pensati per risolvere l’enigma ma che invece portano a ulteriori dubbi... Ancora una volta il neutrino torna a turbare il sonno dei fisici. Ma procediamo con ordine e ripercorriamo brevemente le tappe di quella che alla fine sarà l’ennesima lezione impartita dalla fantomatica particella o forse la porta verso un fantastico risultato scientifico.

I primi segnali che qualcosa non andasse come si pensava arrivarono verso la metà degli anni ’90 quando gli esperimenti sotterranei SAGE e GALLEX (quest’ultimo al laboratorio del Gran Sasso) studiavano i neutrini dell’elettrone (νe) provenienti dal Sole. Entrambi gli esperimenti usavano come bersaglio per i neutrini il gallio, che permette la rivelazione della predominante componente di bassa energia del flusso di neutrini solari attraverso la seguente reazione:

νe + 71Ga → e+ 71Ge

I due rivelatori avevano bisogno di una calibrazione in energia che fu condotta utilizzando sorgenti radioattive di cromo e argon in grado di produrre neutrini di energia nota e simile a quella dei neutrini solari. La calibrazione funzionò bene, a parte il dettaglio che il flusso rivelato proveniente dalle sorgenti risultava minore delle attese di circa il 10%, per una significanza statistica di circa due deviazioni standard. Niente di preoccupante, ma comunque un indizio. Si ricorderà che proprio gli indizi di “riduzione” del flusso misurato dei neutrini d’origine solare e atmosferica, rispetto alle predizioni teoriche, furono le “crepe nella diga” dei modelli che avrebbero poi portato alla clamorosa scoperta delle oscillazioni di neutrino, postulate dal nostro Bruno Pontecorvo negli anni ‘50.

Lo scenario si complica

Un segnale molto più significativo dell’esistenza di un qualche problema arrivò pochi anni dopo con l’esperimento LSND a Los Alamos, che cercava le oscillazioni mediante un acceleratore che produceva antineutrini. L’esperimento trovava un eccesso di positroni rispetto alle attese, che lasciava come ipotesi interpretativa l’oscillazione degli antineutrini muonici del fascio in antineutrini elettronici, dalla cui successiva interazione con i protoni del rivelatore composto di liquido scintillante si producono positroni, accompagnati da neutroni:

νμ → ν… ν+ p→ e+ n

Il fatto che un esperimento analogo, KARMEN in Inghilterra, non osservasse lo stesso segnale, contribuì a complicare oltremodo lo scenario investigativo.

L’ipotesi dei colleghi di LSND era comunque rivoluzionaria. Noi sappiamo che i tre autostati di sapore νe , νμ e ντ  si mescolano (mixing) con quelli di massa ν1 , ν2 e ν3 dando luogo alle oscillazioni di neutrino, effettivamente rivelate con neutrino solari e atmosferici e comprovate da esperimenti condotti con acceleratori e con reattori nucleari. Questo implica a sua volta l’esistenza di due parametri che descrivono l’oscillazione, Δ1 e Δ2corrispondenti alle differenze al quadrato tra coppie di autostati di massa m1, m2 e m3. Il risultato di LSND sembrava indicare un terzo valore dei parametri di oscillazione (Δ3) oltre a quelli già noti, portando a uno scenario non compatibile con tre soli neutrini in Natura. D’altra parte, se un quarto neutrino “convenzionale” fosse esistito, esso avrebbe dovuto ragionevolmente accoppiarsi con un leptone carico, come fanno νe , νμ e ντ , associati rispettivamente all’elettrone, al muone e al tau. Ma di un ipotetico quarto leptone non vi era alcuna evidenza sperimentale.

I neutrini sterili

L’unica soluzione fu quindi di invocare l’esistenza di neutrini “sterili”. Questi furono ipotizzati, manco a dirlo, da Pontecorvo nel lontano 1967. La loro principale caratteristica, oltre a quella di possedere una massa è di non interagire con la materia, da cui il nome, ma di potersi “mescolare” ai fratelli νe , νμ e ντ  partecipando anch’essi al meccanismo dell’oscillazione. La matrice di mixing quindi si complica, passando da 3×3 a 4×4, con una fenomenologia di canali di oscillazione e parametri di mescolamento molto più ricca.

Un successivo esperimento condotto al Fermilab, MiniBooNE, realizzato per tagliare la testa al toro sul controverso risultato di LSND/KARMEN, ahimè non ha fatto altro che confondere ulteriormente lo scenario, osservando un altro segnale di oscillazione, con parametri analoghi a quelli di LSND sia nell’apparizione di neutrini elettronici (eccesso di elettroni) sia nella sparizione di neutrini muonici.

La ciliegina sulla torta è arrivata di recente con la cosiddetta anomalia degli antineutrini da reattore. Quasi tutti gli esperimenti di fisica del neutrino condotti con reattori nucleari evidenziano un deficit del flusso degli antineutrini che comincia ad avere una significanza statistica diciamo “preoccupante”. Il risultato è ancora una volta controverso e forse spiegabile con fisica “nota”; ma laddove si invochino anche in questo caso i neutrini sterili, esso sembra essere compatibile con i parametri degli esperimenti sopra menzionati: un mescolamento a 4 neutrini interpretabile con l’esistenza di un neutrino sterile di massa pari a qualche elettronvolt.

Nuovi esperimenti per scoprire l'arcano

La reazione a tutto questo non si è fatta attendere. Come sempre nella fisica c’è un solo modo per risolvere un enigma: realizzare esperimenti ad alta sensibilità in grado di verificare o falsificare i risultati ottenuti in precedenza. Parlando poi di un nuovo tipo di neutrino, del quale non avevamo sentito il bisogno, ci fa cadere nella situazione di dover provare che “l’asino che vola” non esiste… La comunità sembra dividersi tra quelli che ottimisticamente pensano a nuova fisica dietro l’angolo e quelli che prudentemente ritengono che dei fondi sperimentali sconosciuti o mal stimati possano aver cospirato (in tutti gli esperimenti discussi sopra) per ingannare i fisici sperimentali e permettere a quelli teorici di sbizzarrirsi con le loro nuove teorie.

In questo contesto, ciascuno deve fare la sua parte. In particolare, la comunità dei fisici del neutrino con acceleratori di particelle si è unita nel proporre il progetto SBN al Fermilab negli USA, il secondo maggiore laboratorio di fisica delle particelle al mondo dopo il CERN. Il ragionamento dei fisici è stato il seguente. Entrambi i rivelatori LSND e MiniBooNE identificano elettroni o positroni mediante la rivelazione di segnali luminosi prodotti all’atto dell’interazione dei neutrini nello scintillatore liquido. Purtroppo, la loro capacità di identificare le particelle responsabili del segnale sono relativamente limitate. Nello specifico, c’è il rischio di “credere” che il segnale osservato sia dovuto a un elettrone primario (frutto del processo di oscillazione) e non più prosaicamente da un fotone di alta energia (raggio gamma) proveniente da un processo noto e genericamente di fondo. Per risolvere l’arcano è necessario un cambio di paradigma e, lasciando inalterato il fascio di neutrini, cambiare drasticamente la tecnica di rivelazione, per avere una discriminazione chiara tra un potenziale segnale e le tante sorgenti di fondo sperimentale.

La tecnica con argon liquido porta un po' di luce

La soluzione che abbiamo adottato è stata un po’ l’uovo di Colombo. La nuova tecnica di rivelazione è quelle delle camere a proiezione temporale ad argon liquido (LAr TPC), un nome che punta a qualcosa di incomprensibile e verosimilmente complesso, ma che nasconde un’idea concettualmente semplice di rivelazione. Il concetto originario delle TPC ad argon liquido risale all’inizio degli anni ’80 e fu proposto al CERN da Carlo Rubbia. Da allora la tecnologia si è raffinata, soprattutto in Italia e in Svizzera, ed è stata poi esportata con successo negli Stai Uniti. Si tratta di grandi contenitori del liquido criogenico (l’argon liquefatto), un ottimo bersaglio per i neutrini. Le particelle prodotte a seguito dell’interazione lasciano sottili tracce di ionizzazione nel volume del rivelatore. Queste, opportunamente guidate da intensi campi elettrici, raggiungono degli elettrodi dove rilasciano un segnale che poi è opportunamente acquisito e processato da computer. Il risultato è davvero spettacolare: gli eventi di neutrino appaiono chiarissimi rispetto a quanto fatto dai rivelatori a liquido scintillante: proprio come una persona molto miope che osservi la stessa scena con o senza gli occhiali.

Tutto può accadere a chi sa attendere

Tre rivelatori separati, ciascuno con il suo compito specifico, sono posti uno dopo l’altro lungo la linea di fascio del precedente esperimento MiniBooNE, tutti e tre basati sulla tecnologia delle LAr TPC: MicroBooNE, SBND e ICARUS, quest’ultimo è il rivelatore che ha già funzionato negli anni passati al Gran Sasso e ora in trasferta negli USA. MicroBooNE sta già prendendo dati da un paio d’anni: il suo compito primario è di comprendere se l’eventuale eccesso di eventi sia dovuto a elettroni o fotoni. Nel primo caso entreranno in azione (a partire dal 2020) gli altri due rivelatori: se si trattasse effettivamente di neutrini sterili, SBND, molto vicino alla sorgente del fascio, non dovrebbe rivelare nulla di anomalo, mentre ICARUS, con la sua grande massa di 600 tonnellate e sufficientemente lontano da essere sensibile alle oscillazioni, dovrebbe osservare un grande segnale. Viceversa, se MicroBooNE troverà un eccesso di fotoni, la combinazione dei tre apparati porterebbe a comprendere con esattezza la natura del fondo che per tanti anni ha cospirato contro i fisici. Come disse Wolfgang Pauli quando 25 anni dopo la sua ipotesi del neutrino gli annunciarono l’effettiva scoperta della particella: Tutto può accadere a chi sa attendere…

Affaire a suivre, quindi.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

"We did not do a good job in explaining how flexible biology can be," interview with Frans de Waal

Frans de Waal

Eva Benelli and Anna Romano interview Fran de Waal about his latest book, Different. Gender issues seen through the eyes of a primatologist.

Photo of Catherine Marin

After reviewing Different. Gender issues seen through the eyes of a primatologist, we wanted to have a chat with the author, the primatologist Frans de Waal, to find out what motivated him to deal with gender issues and to get his opinion on research in this and other fields of ethology. Here is our interview.