Rappresentazione pittorica della sonda Mars Express in azione intorno a Marte. Nella parte superiore dell’immagine è riportato il segnale radar acquisito da MARSIS che rileva la risposta della superficie del pianeta (in alto), degli gli strati ghiacciati della calotta polare (zona intermedia) e l’intensa discontinuità (colorata in azzurro) riconducibile ai depositi di acqua salmastra. Crediti: ESA/INAF/Davide Coero Borga-Media INAF
La possibilità che vi potesse essere acqua allo stato liquido su Marte era già stata ventilata almeno tre decenni fa. Non c’era nessuna prova concreta, ma considerazioni termodinamiche avevano portato Stephen Clifford (Lunar and Planetary Institute) a suggerire nell’agosto 1987 che al di sotto delle regioni polari del Pianeta rosso si potessero nascondere bacini di acqua liquida. Ora le prove le abbiamo e le dobbiamo alle osservazioni di MARSIS (Mars Advanced Radar for Subsurface and Ionosphere Sounding), il radar multifrequenza di progettazione e costruzione italiana ospitato a bordo della sonda europea Mars Express.
Il progetto di questo radar subsuperficiale, di cui ha la responsabilità l'Agenzia Spaziale Italiana, venne infatti affidato a Thales Alenia Space Italia e ad alcune Università italiane in collaborazione con il JPL della NASA. Ideatore, sostenitore e responsabile della costruzione dello strumento fu Giovanni Picardi (Università La Sapienza), scomparso nell’agosto di tre anni fa ma fino all’ultimo Principal Investigator dell’esperimento MARSIS.
Lo studio che annuncia la clamorosa scoperta, probabilmente una delle più importanti degli ultimi anni, è stato pubblicato sull’ultimo numero di Science e vede come autori una ventina di ricercatori italiani coordinati da Roberto Orosei, ricercatore INAF a Bologna (Istituto di Radioastronomia) e co-investigator dell'esperimento MARSIS.
Obiettivo acqua
Il compito specifico del radar a bordo della Mars Express è proprio quello di andare a caccia dell’acqua nascosta nel sottosuolo di Marte. Praticamente, MARSIS invia verso la superficie del pianeta una serie di impulsi e raccoglie la loro eco grazie alle sue due antenne di 20 metri, una tecnica impiegata con successo anche per lo studio dei laghi sub-glaciali in Antartide e Groenlandia.
Nel dicembre 2008, in occasione del meeting autunnale dell’American Geophysical Union tenutosi a San Francisco, veniva presentata l’individuazione di echi interessanti, ma il problema era che quei segnali non erano stati più rilevati nei passaggi successivi. Si è poi scoperto che all’origine di tali rilevazioni così altalenanti vi era una non adeguata elaborazione dei dati raccolti dallo strumento, un processo che veniva effettuato a bordo della Mars Express prima di inviare i dati a Terra per l’elaborazione conclusiva. Praticamente, il software incaricato di quel processo finiva con l’appiattire gran parte degli echi e solo occasionalmente se ne rilevava la presenza.
Una volta che gli ingegneri del progetto, con un lavoro lungo e delicato conclusosi nel 2010, hanno preparato e caricato la nuova versione del software ed è stato possibile analizzare direttamente i dati di MARSIS, i ricercatori hanno potuto rilevare con chiarezza che in alcune zone del pianeta gli echi si ripetevano a ogni passaggio.
A partire dal maggio 2012, Orosei e collaboratori hanno messo nel mirino di MARSIS il Planum Australe, una regione di 200 chilometri in corrispondenza del Polo Sud di Marte. La regione, una piatta distesa di depositi di ghiaccio mescolato con polvere, non mostra nessun segno di particolare interesse se non il sospetto che, nascosta nel sottosuolo, ci possa essere quell’acqua ipotizzata trent’anni fa. Il campionamento si è protratto fino al dicembre 2015 e ha consegnato ai ricercatori una serie di 29 profili radar che si spingono nel sottosuolo fino a una profondità di un chilometro e mezzo.
Proprio a quella profondità i dati hanno messo in evidenza un’importante e improvvisa discontinuità che si estende orizzontalmente per una ventina di chilometri ed è circondata da aree molto meno riflettenti.
L’accurata e delicata analisi quantitativa dei segnali radar compiuta da Orosei e dal suo team ha messo in luce che le caratteristiche di quest’eco così luminosa potevano corrispondere a quelle tipiche dei materiali contenenti acqua. Scartata ogni altra possibile spiegazione, per esempio depositi di ghiaccio d’acqua o anidride carbonica ghiacciata, l’unica che rimaneva era quella di trovarsi in presenza di un deposito sotterraneo d’acqua liquida.
Uno dei 29 profili radar della regione di studio (200x200 km nella regione del Polo Sud di Marte). La fascia brillante superiore corrisponde alla superficie ghiacciata di Marte, al di sotto della quale si individuano gli strati dei depositi di ghiaccio e polvere del Polo Sud fino a una profondità di circa 1,5 km. Al di sotto di queste stratificazioni vi è lo strato che ha attirato i ricercatori, in alcune aree piuttosto diffuso, ma in altre molto più luminoso degli stessi riflessi di superficie. Crediti: ESA/NASA/JPL/ASI/Università di Roma
Acqua gelida e salmastra
Impossibile, dai dati radar, saperne di più di quel lago sotterraneo, ma questo non ha impedito ai ricercatori di ipotizzarne importanti caratteristiche. Anzitutto, tenendo conto della sensibilità del radar, bisogna mettere in conto che la profondità del bacino debba essere almeno di un metro, altrimenti non sarebbe stato rilevato dallo strumento. Non ci troviamo, dunque, in presenza dei sottili strati liquidi che si formano alla base dei ghiacciai per effetto dello scivolamento dei ghiacci, ma di una raccolta d’acqua importante e stabile dal punto di vista termodinamico.
Da chiarire, inoltre, come possa sopravvivere un deposito di acqua allo stato liquido nel sottosuolo di Marte. Secondo alcune stime, infatti, la temperatura alla base dei depositi polari marziani potrebbe aggirarsi intorno ai 205 K (circa 68 gradi sotto lo zero), il che renderebbe praticamente automatico il congelamento di ogni bacino d’acqua. Bisogna però fare i conti con i sali (perclorati di magnesio e di calcio) comuni sulla superficie di Marte e dunque ragionevolmente presenti anche alla base dei depositi polari. Sali pericolosi per i futuri colonizzatori del Pianeta rosso, ma che in questo caso, disciolti nell’acqua, agirebbero da efficace antigelo permettendo all’acqua salmastra di rimanere allo stato liquido anche a quelle rigide temperature. Molto probabile, come sottolineano gli stessi ricercatori, che l’acqua salata interagisca e si mescoli con il fondo fangoso, rendendo il lago sotterraneo un acquitrino melmoso e incredibilmente salato. Insomma, qualcosa di molto differente da quelle pozze d’acqua pura che potrebbero far comodo ai futuri colonizzatori di Marte.
Benché ci troviamo in presenza di un ambiente davvero estremo, non è fantasia ipotizzare che in simili condizioni possa prosperare qualche forma di vita. Impossibile dai dati attuali avere qualche prova concreta a tal proposito, ma la recente scoperta che in Antartide un lago nascosto sotto 800 metri di ghiaccio ospiti forme microbiche rende l’idea particolarmente intrigante.
In fondo, quel lago sotto la superficie di Marte ha tutte le qualità necessarie per ospitare la vita: come in ogni promettente nicchia biologica, infatti, c’è acqua liquida, è un ambiente salino, è protetto dalla radiazione cosmica e può esistere da molto tempo. Una scoperta particolarmente importante anche per chi si occupa di astrobiologia, insomma.
Per approfondire: Intervista di Media INAF a Roberto Orosei