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È entrato in vigore il 24 agosto il Regolamento sul "dibattito pubblico". L'attuazione dell’articolo 22 (comma 2) del Codice dei contratti pubblici[1] prefigura importanti novità per la partecipazione dei cittadini nel nostro paese, ispirandosi al débat public francese e a molte esperienze già attive in diverse regioni.
Una volta a regime, il decreto si applicherà a diverse opere pubbliche e si può immaginare che, in questo elenco, ci saranno anche opere che preoccupano molto i cittadini per gli impatti sull’ambiente e sulla salute. Si potranno realizzare dibattiti su opere d’interesse pubblico, con tempi certi, modalità ben definite ed esperti dedicati, mettendo attorno a un tavolo tutti gli interessati, i responsabili, il mondo scientifico competente e i progettisti, che alla fine del percorso devono spiegare come terranno conto nel progetto finale di tutti i pareri.
Primo esempio, la Gronda Nord di Genova
Proprio in questi giorni la tragedia del crollo del ponte di Genova ha messo in primo piano il progetto della Gronda di Genova, un percorso alternativo per l’autostrada che oggi è stata interrotta, e che avrebbe dovuto cominciare i lavori di costruzione quest’anno, dopo l’estate, dopo un lungo iter autorizzativo. Ebbene, proprio per la Gronda di Genova è stato fatto il primo dibattito pubblico in Italia, coordinato da Luigi Bobbio, Andrea Mariotto e Paola Pucci, iniziato nel dicembre 2008 e concluso a maggio 2009. Recentemente hanno avuto luogo due dibattiti pubblici, in base alla legge regionale Toscana sulla partecipazione, che hanno avuto ad oggetto opere di ampliamento del porto di Livorno e sul ripristino di cave ambientali a Gavorrano, Grosseto.
Sta iniziando in questi mesi il dibattito pubblico sul nuovo ponte sul fiume Arno tra Lastra A Signa e Signa. Infatti, la legge toscana sulla partecipazione (n. 69, 2007 e poi n. 46, 2013) è stata la prima a sperimentare sul territorio gli strumenti deliberativi e continua a essere un esempio, con la sua struttura, finanziamenti e personale dedicato, così come la Regione Emilia-Romagna, che dopo la legge del 2010 ha di recente ha proposto la “Legge sulla partecipazione all’elaborazione delle politiche pubbliche”. Il Comune di Bolzano fin dal 1995 ha la sua legge sulla partecipazione, quello di Reggio Emilia sta raccogliendo il parere dei cittadini sul Regolamento per l'attuazione degli Istituti di Partecipazione a Reggio Emilia.
Diversi Comuni si sono dotati dei Regolamenti per i beni comuni, che permettono ai cittadini di gestire beni pubblici sulla base del principio di sussidiarietà e partecipazione diretta: da Bologna si sono diffusi in 155 Comuni e sono in corso di definizione in altri 66 in tutta Italia e regolamentano gli strumenti di partecipazione.
I problemi vanno prima posti, poi risolti
Il dibattito pubblico infatti è una sede di problem setting, non di problem solving: non si vota sull’opera, ma si raccolgono quante più voci e punti di vista sul progetto che si discute. Non serve a risolvere un problema, ma, con la sua fisionomia partecipativa tutta particolare, agevola l’adeguato inquadramento del problema oggetto del confronto. Il dibattito pubblico non ha obiettivo di mettere tutti d’accordo: non è una macchina di produzione di accettabilità sociale. Anzi, il dibattito pubblico serve per sollevare problemi, per aprire nuovi scenari, nasce per favorire un approccio interattivo nella costruzione delle decisioni relative alle politiche pubbliche.
Solitamente le istituzioni rifuggono le possibili situazioni di conflitto; invece, con il dibattito pubblico si ha un rovesciamento di paradigma: il disaccordo civile, argomentato può diventare un’occasione preziosa, fonte di sorprese e di innovazione. Il punto di vista dei cittadini deve poter pesare sulla decisione finale, benché questa rimanga deputata a chi è stato eletto in base ai principi della democrazia rappresentativa. Il dibattito pubblico ha senso se riesce a rendere la decisione più legittima, non si riduce ad una forma di semplice consultazione civica ma si attrezza per fare in modo che le persone si parlino e si ascoltino. Inoltre, si deve poter parlare dell’opportunità di lasciare le cose come stanno, cioè dell’opzione zero.
Democrazia deliberativa, non diretta
L’istituto del dibattito pubblico si colloca nell’ambito di una particolare idea di partecipazione, che si rifà alla democrazia deliberativa. Luigi Bobbio ha offerto una importante precisazione: nel caso della democrazia deliberativa, per “deliberazione” non si vuol intendere “decisione”, bensì indicare la fase della discussione che precede la decisione. “Deliberazione” è uno scambio argomentativo, il momento in cui si soppesano i pro e i contro, si esprimono e si valutano le proprie e le altrui “ragioni”, si chiariscono meglio i termini di un problema e di un possibile conflitto, si ricercano soluzioni condivise o reciprocamente accettabili. “Democrazia deliberativa”, dunque, è una visione della democrazia che fonda la legittimità democratica delle decisioni collettive non solo sulla “legalità” delle procedure istituzionali, ma anche sulla legittimazione che deriva da un processo pubblico e inclusivo di formazione e trasformazione delle opinioni e dei giudizi dei cittadini.
La democrazia deliberativa si oppone dunque alle visioni “plebiscitarie” e “tecnocratiche” della democrazia, ma anche alle ricorrenti illusioni su un possibile ritorno alla democrazia “diretta”. La qualità di una democrazia si fonda sulla possibilità che i cittadini si formino un giudizio riflessivo, ponderato e informato, e che questo avvenga attraverso un dialogo pubblico. Non basta fare “quel che dice o vuole la gente”: occorre che ciò che i cittadini “vogliono” sia il frutto anche di una trasformazione riflessiva delle loro opinioni immediate.
Autostrade, porti, elettrodotti
A quali opere si applica il decreto? I parametri delle soglie dimensionali delle opere che fanno “scattare” l’obbligatorietà del dibattito pubblico sono le seguenti:
- Autostrade, strade extraurbane e tronchi ferroviari con valore di investimento pari o superiore a 500 milioni di euro
- Aeroporti e porti, sopra i 200 milioni di euro
- Interventi per la difesa di mare e coste, sopra i 50 milioni di euro
- Piattaforme di lavaggio delle acque di zavorra delle navi, sopra i 150 milioni di euro
- Interporti e infrastrutture sopra i 300 milioni di euro
- Elettrodotti aerei e impianti destinati a trattenere, regolare o accumulare le acque in modo durevole (a seconda delle dimensioni)
- Infrastrutture ad uso sociale, culturale, sportivo, scientifico o turistico, impianti industriali e infrastrutture energetiche sopra i 300 milioni di euro
Ci sono però specifiche per gli appalti se si svolgono in zone protette dall’UNESCO e in aree parco. Oltre a questi casi obbligatori, l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore possono comunque indire su propria iniziativa il dibattito pubblico quando ne rilevano l’opportunità. Ci sono poi specifiche per la richiesta diretta di dibattito pubblico, tra cui la richiesta di un Consiglio Regionale, la firma di 50 mila cittadini, consigli comunali associati, ecc. hanno la possibilità di richiederlo. Questo punto determina la possibilità che si realizzino dibattiti pubblici anche fuori dalle condizioni previste per legge, ma lega questa possibilità a valutazioni diverse, di tipo politico, di contesto culturale e sociale.
Il dibattito pubblico prima della costruzione di una grande infrastruttura prevede che i cittadini siano informati con uno specifico dossier sulla progettazione in corso (progetti di fattibilità, o documenti di fattibilità delle alternative progettuali delle opere) e che le loro osservazioni possano influenzare il proponente.
Come si svolge il dibattito
Il dibattito pubblico, della durata massima di quattro mesi, viene normato nei dettagli dal regolamento, sia per individuare il soggetto che può indire il processo, sia nello stabilire i compiti e il profilo del coordinatore del dibattito, così come della commissione nazionale (che verrà insediata per metà settembre 2018)[2] che ne monitora il corretto svolgimento, il rispetto della partecipazione del pubblico, più una serie di altri compiti[3].
Il dibattito deve essere promosso, pubblicizzato e “consiste in incontri di informazione, approfondimento, discussione e gestione dei conflitti, in particolare nei territori direttamente interessati, e nella raccolta di proposte e posizioni da parte di cittadini, associazioni, istituzioni”.
Nei trenta giorni successivi al termine del dibattito, il coordinatore presenta una relazione sull’andamento dell’intera procedura[4]. L’amministrazione o l’ente aggiudicatore entro due mesi presenta il proprio dossier finale, che chiude l’iter del dibattito pubblico e che viene incluso nell’istanza di valutazione di impatto ambientale.
Un impegnativo esercizio di ascolto e maieutica
Con il dibattito pubblico si può cercare di disinnescare i meccanismi di contenzioso che rappresentano spesso un costo sociale evitabile, ma è necessaria la disponibilità a condividere alcune decisioni politiche sulla gestione del territorio.
Molteplici sono le possibili finalità di un dibattito pubblico: dare voce alle comunità locali e alle loro critiche e perplessità verso l’opera in oggetto; migliorare la qualità del progetto dell’opera a seguito del confronto che si innesca; garantire l’accelerazione dei tempi della costruzione dell’opera. In sintesi, come dicono in Francia, lo scopo del dibattito pubblico può essere sintetizzato nel faire le tour des arguments, facendo emergere tutte le possibili argomentazioni relative all’opera in questione.
La figura del coordinatore e la cultura che si potrà sviluppare attorno a questo strumento sono molto importanti: il coordinatore del dibattito pubblico deve essere equidistante, o meglio equivicino (come ripeteva Luigi Bobbio) a tutte le posizioni in campo.
Deve poter essere ma anche apparire come “terzo” e avere nel suo bagaglio professionale alcune qualità che non si improvvisano[5]: saper osservare, ascoltare, capire i contesti, essere accogliente, aperto, empatico, preparato, dotato di ironia e senso dell’umorismo. Deve mettere a proprio agio i partecipanti, fare la sintesi trovando minimi comun denominatori, pur nel rispetto delle differenze di posizione; deve far rispettare tempi e regole, accompagnare nell’arena deliberativa le persone disabituate a confrontarsi pubblicamente, stimolare tutti i punti di vista, tradurre linguaggi (scritti, parlati, grafici, corporei, etc); deve possedere padronanza delle metodologie che favoriscono lo scambio dialogico[6].
C’è molto da fare, da far circolare le esperienze già maturate in Italia e da imparare dai vicini francesi guardando comunque con fiducia critica verso questo nuovo strumento di coinvolgimento civico sulle grandi scelte di politica pubblica.