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Glifosato: dalla scienza al tribunale (e ritorno)

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Macchina irroratrice della compagnia Chafer Machinery che spruzza glifosato su una coltivazione nel North Yorkshire in un soleggiato giorno di dicembre del 2014. Credits: Chafer Machinery / Flickr. Licenza:CC BY 2.0.

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Il processo mediatico era stato celebrato a giugno del 2017 sui giornali di mezzo mondo, partendo dalle due inchieste pubblicate da Le Monde (qui e qui) sui cosiddetti Monsanto Papers. Il primo atto del processo ufficiale si è concluso invece lo scorso 10 agosto, quando il giudice Suzanne Ramos Bolanos della Corte Suprema della California ha condannato in primo grado l'azienda agrochimica Monsanto al pagamento di 289 milioni di dollari di risarcimento a Dewayne Johnson, un ex giardiniere di 46 anni colpito da una forma terminale di linfoma della pelle. La giuria ha stabilito che è stato il glifosato contenuto nell'erbicida Round Up, commercializzato dall'azienda fin dagli anni '70, a causare la malattia di Johnson, a cui restano ormai pochi mesi di vita.

La sentenza incoraggia gli altri circa 4.000 querelanti sparpagliati negli Stati Uniti che hanno fatto causa alla compagnia e che attendono di andare a processo (il prossimo è previsto per l'inizio del 2019 a St.Louis, Missouri). Le cause intentate dai cittadini americani hanno avuto origine anche dalla monografia pubblicata nel 2015 dalla International Agency for Research on Cancer (IARC) che ha classificato il glifosato come probabile cancerogeno per gli esseri umani in seguito alla revisione degli studi scientifici condotti a riguardo.

Ed è stata proprio la monografia IARC a costituire uno dei due argomenti portati in aula dagli avvocati di Johnson. L'altro è invece costituito dai documenti e dalle comunicazioni interne all'azienda raccolti e resi pubblici durante l'istruzione del processo, i Monsanto Papers appunto, utilizzati per dimostrare che Monsanto sapeva da decenni degli effetti dannosi del glifosato per la salute umana ma ha agito per nascondere le prove scientifiche e assoldare scienziati che producessero studi compiacenti facendoli apparire indipendenti e dunque affidabili.

La Monsanto, da giugno una divisione della tedesca Bayer che la acquisita per 62,5 miliardi di dollari, promette di ricorrere in appello affermando che la sentenza ignora una grande mole di studi che smentiscono le conclusioni raggiunte dal gruppo di esperti autori della monografia IARC.

Il metodo IARC

Non è certo la prima occasione in cui IARC e i suoi metodi di analisi vengono criticati. Per stabilire la cancerogenicità di una sostanza, IARC considera tre tipi di dati: quelli provenienti da studi epidemiologici sugli esseri umani, quelli degli esperimenti sugli animali e i risultati dei test su cellule isolate in vitro. Una volta selezionati gli studi rilevanti, che devono essere necessariamente stati pubblicati su riviste sottoposte a peer-review, il gruppo di esperti assegna la sostanza a una di cinque categorie: gruppo 1 (cancerogeno per gli esseri umani), gruppo 2A (probabile cancerogeno), gruppo 2B (possibile cancerogeno), gruppo 3 (non classificabile come cancerogeno), gruppo 4 (probabilmente non cancerogeno). Il glifosato è stato assegnato al gruppo 2A, cui appartengono circa un'ottantina di altre sostanze, tra cui le carni rosse processate. Gli scienziati hanno raggiunto questo accordo poiché, pur ritenendo le prove di cancerogenicità derivanti dagli studi epidemiologici "limitate", hanno considerato "sufficienti" quelle ottenute dagli esperimenti su animali e cellule isolate.

Proprio Scienza in Rete aveva ospitato un dibattito (qui, qui e qui) sulla metodologia utilizzata da IARC. Una delle critiche principali, mosse dalla Senatrice Elena Cattaneo sulle pagine di Repubblica, riguardava la scelta di IARC di non considerare i livelli di esposizione alle sostanze, e dunque di non stabilire una soglia al di sotto della quale si può considerare trascurabile il rischio di sviluppare malattie.

Soglia o non soglia?

A proposito dell’argomento della soglia, sull’ultimo numero di Epidemiologia & Prevenzione l’epidemiologo Rodolfo Saracci, in un editoriale dedicato alle nuove regole che l’amministrazione Trump sta imponendo all’Environmental Protection Agency (EPA), spiega: «L’esistenza di una soglia è uno degli approcci preferiti per negare in pratica il valore dell’hazard identification (come quella che il programma delle monografie dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro fa per i cancerogeni): se anche un composto ha un dimostrato effetto tossico, basta che ci sia una soglia e al di sotto di questa, oplà! Il composto non è più tossico. E la moltiplicazione delle analisi di studi osservazionali con una varietà di modelli e di assunzioni, empiriche, meccanicistiche, qualitative e quantitative può quasi sempre produrre almeno un’analisi che non permette di escludere con confidenza l’esistenza di una soglia. Più in generale, la ricchezza delle analisi oggi possibili grazie alla potenza di calcolo disponibile può ugualmente risultare, dipendentemente dalle capacità, interessi, attitudini dei ricercatori e dal contesto scientifico, professionale, tecnico e sociale in cui operano, in un aumento di conoscenza e diminuzione dell’incertezza o, all’opposto, in un incremento di confusione e incertezza».

Conflitto di pareri

A mettere in discussione nel merito la monografia IARC sul glifosato erano state poi le analisi condotte da altre autorevoli agenzie, come EFSA, ECHA, WHO e FAO, che hanno stabilito che non ci sono evidenze sufficienti che il glifosato sia cancerogeno e anzi che gli studi più recenti non mostrano un aumento significativo del rischio. L'ultimo di questi studi è l'Agricultural Health Study, i cui risultati sono stati pubblicati a novembre del 2017 sul Journal of the National Cancer Institute. Nel frattempo l'EPA, l'agenzia per la protenzione ambientale statunitense, ha diffuso una bozza del suo risk assessment sul glifosato che afferma che molto probabilmente la sostanza non è cancerogena, mentre a fine luglio è stata pubblicata sulla rivista Carcinogenesis una nuova review che prende in considerazione meccanismi finora ignorati dagli studi tossicologici, come gli effetti sul microbioma e sul sistema endocrino. Infine IARC è stata accusata da Kate Kelland, giornalista Reuters, di aver modificato i pareri degli scienziati sugli studi condotti sugli animali nell'ultima versione della monografia. È probabile dunque che i legali Monsanto baseranno la loro linea su queste presunte debolezze della monografia IARC durante il processo di appello.

Una bella grana per Bayer

Il primo effetto della sentenza è stato finanziario: le azioni Bayer hanno perso l'11% del loro valore in un giorno di contrattazioni. Se la sentenza di primo grado venisse confermata nei successivi gradi di giudizio, le prospettive sono tutt'altro che promettenti e rischiano di far rivevere all'azienda farmaceutica tedesca vecchi incubi. Nel 2001 Bayer fu costretta a ritirare dal mercato il farmaco anti-colesterolo Baycol (nome commerciale della cerivastatina) poiché ritenuto responsabile di 31 morti, pagando 4,2 miliardi di dollari di risarcimento. La posta in gioco è enorme se si considera che il glifosato è il pesticida più utilizzato nel mondo: 826 milioni di kg all'anno per un fatturato di 4,8 miliardi di dollari nel 2015.

Silenzio, entra la Corte

Un ultimo aspetto su cui riflettere e il compito delle giurie nel valutare i risultati degli studi epidemiologici. Nel processo Johnson contro Monsanto la giuria ha dovuto rispondere a una serie di domande, una delle quali riguardava il nesso di causa-effetto tra l'esposizione di Johnson all'erbicida Round Up Pro (una versione concentrata del Round Up) durante il suo lavoro di giardiniere in una scuola della Bay Area: "Was the Round Up Pro or Ranger Pro design a substantial factor in causing harm to Mr Johnson?" In questo articolo, pubblicato su The Conversation poco prima della sentenza, Richard G. Stevens, epidemiologo presso la University of Connecticut, riflette su come la scienza può stabilire un nesso di causalità tra esposizione a una sostanza e insorgenza di una malattia. Analogamente a quanto è accaduto con il fumo di sigaretta, non sono mai stati condotti studi clinici randomizzati sugli effetti del glifosato, ma piuttosto studi osservazionali (di coorte o caso-controllo) volti a stabilire se a una maggiore esposizione corrisponde un rischio aumentato. I risultati di questi studi sono stati completati da esperimenti nei ratti e conoscenze dei meccanisimi biologici di base. Ma, di fatto, conclude Stevens, l'ultima parola è affidata a un gruppo di esperti opportunamente selezionato che valuta l'intero corpo degli studi accumulati fino a quel momento. In maniera analoga i giurati del processo Johsnon sono stati chiamati a valutare l'affidabilità degli studi presentati dall'accusa e degli esperti che hanno testimoniato in aula.


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