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Un altro obbligo è possibile

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Il ministro della salute Giulia Grillo, al centro dell bufera vaccini.

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Mi accingo a riproporre alcune riflessioni sulla questione vaccini. Lo faccio pieno di dubbi e con minime speranze di poter contribuire a superare una fase in cui la discussione, ormai, ha assunto i toni e le caratteristiche di una vera e propria guerra di religione.

Abbiamo bisogno di una legge in materia?

L’Italia non dispone di una legislazione vaccinale moderna eppure, fino allo scorso anno, legiferare in materia non sembrava una priorità. Escludendo la recente legge sull’obbligo, la normativa nazionale più recente risaliva a più di vent’anni fa e la più antica a più di settanta. Nel corso degli anni le politiche vaccinali sono state decise, a volte, con leggi dello Stato, altre con intese tra lo Stato e le Regioni e, qualche volta, anche solo con circolari ministeriali. Alcune vaccinazioni sono state rese obbligatorie, altre sono rimaste solo raccomandate, altre sono state offerte a prezzo agevolato.

Nonostante l’esistenza di un Piano nazionale di Prevenzione Vaccinale (i cui contenuti sono stati assimilati, fin dal 2001, ai Livelli Essenziali di Assistenza) molte Regioni hanno continuato ad adottare scelte autonome (sia ampliando l’offerta e sia regolando l’obbligo) e questo non ha certo giovato alla coerenza e alla credibilità delle istituzioni sanitarie. Da questo punto di vista l’approvazione di una norma nazionale in tema di obbligatorietà vaccinale ha avuto il pregio di porre fine al fiorire di iniziative legislative regionali scoordinate (e di dubbia efficacia) ma ha generato grandi problemi di applicazione e non ha posto rimedio alle tante inadeguatezze presenti nella normativa.

Gli interventi normativi del passato, in generale, hanno concentrato la loro attenzione principalmente sul versante dell’offerta limitandosi a introdurre nuovi vaccini nei calendari, trascurando di normare aspetti essenziali per il successo della prevenzione vaccinale quali l’organizzazione dei servizi, i sistemi informativi, la comunicazione, ecc.

Inoltre si sono accumulate questioni che richiederebbero una discussione in sede politica prima di una riforma innovativa della materia. Molti infatti sono i punti su cui fare chiarezza.

Uno di questi è il tema del diritto del bambino alla salute e dei corrispettivi diritti-doveri dei genitori alla luce della Carta costituzionale e della Convenzione delle N.U. sui Diritti del Fanciullo. L’evoluzione giuridica e culturale ha, infatti, provocato una profonda revisione critica del concetto di potestà genitoriale sostituendolo gradualmente con quello di responsabilità. Sotto questo profilo andrebbe rivisitata la pratica dell’obiezione vaccinale che i genitori esercitano in qualità di legali rappresentanti e, quindi, nel rispetto del principio del preminente interesse del minore senza influenza di scelte e opinioni personali.

È importante inoltre insistere sulla necessità di dotare il Servizio sanitario nazionale di risorse e strumenti in grado di garantire qualità e uniformità degli interventi di prevenzione vaccinale. Uno di questi è il sistema di regole per valutare i risultati ottenuti e le misure necessarie per migliorare la performance delle Regioni in difficoltà (nel campo della prevenzione la solidarietà e il principio di responsabilità andrebbero sollecitati a livello istituzionale oltre che a livello individuale).

Un capitolo ancora aperto sono anche gli standard di qualità e di funzionalità per i sistemi informativi (le anagrafi, la sorveglianza degli eventi avversi, la sorveglianza delle malattie prevenibili) e per l’attività dei servizi vaccinali, così come l'investimento nell'aggiornamento del personale sanitario e in una reale comunicazione sociale a sostegno della cultura della prevenzione.

Andrebbe inoltre riformata la legge sugli indennizzi ai soggetti danneggiati dalle vaccinazioni obbligatorie integrandola con l’elenco dei danni indennizzabili in quanto associati alla somministrazione di prodotti vaccinali. In analogia con la legislazione di numerosi altri paesi e sull’esempio del “National Vaccine Injury Compensation program” degli Stati Uniti.

Il decreto Lorenzin non ha affrontato questi punti adottando un approccio “riduzionista”. Si è limitata, in altre parole, a indicare l’obbligatorietà vaccinale come strumento risolutivo dei nostri problemi vaccinali, primo tra tutti il calo delle coperture.

Le ragioni dell’obbligo

Io credo che il calo delle coperture e il rifiuto delle vaccinazioni siano due fenomeni distinti e che identificare l’uno come conseguenza dell’altro non aiuti la ricerca delle soluzioni. I dati sulle coperture vaccinali nel nostro paese segnalano alcune tendenze:

  • Un calo generalizzato che interessa, però, in modo differenziato i diversi vaccini e che mostra ampia variabilità nel tempo, nei luoghi e nei gruppi di popolazione.
  • Una crescita delle mancate vaccinazioni connotato sia da rifiuti motivati da diffidenza e dal timore degli effetti collaterali sia da rifiuti di tipo ideologico a priori.
  • Un aggravarsi delle differenze tra le varie aree geografiche del paese

Questa situazione avrebbe richiesto, almeno, un’analisi approfondita per:

  • riconoscere la natura complessa e multidimensionale del problema e l’esigenza di adottare iniziative adeguate a tale complessità
  • ammettere che, accanto al crescere del rifiuto, è cresciuta la difficoltà organizzativa in cui operano i servizi vaccinali di gran parte del paese che faticano a far fronte alle continue modifiche del calendario vaccinale
  • evidenziare i limiti di un approccio di politica vaccinale basato esclusivamente sul potenziamento dell’offerta senza attenzione agli aspetti culturali e senza comprensione delle motivazioni che stanno alla base della mancata adesione
  • cogliere la presenza di errori, insufficienze e limiti nelle azioni di comunicazione sul tema, continuamente oscillante tra eccessi di allarme e di rassicurazione e spesso minata da palesi contraddizioni tra gli annunci e i comportamenti reali

Basterebbe ammettere la complessità del fenomeno e dei suoi determinanti per comprendere i limiti dell’introduzione dell’obbligo vaccinale come strumento unico per contrastare il calo delle coperture.

Il calo delle coperture vaccinali contiene, anche, un segnale di allarme per la capacità organizzativa del SSN e per la credibilità delle nostre istituzioni sanitarie. Io credo che sia urgente indagare i motivi di questa crisi anziché semplificare il problema attribuendolo solo alla irragionevolezza dei movimenti antivaccinali. Se i gruppi contrari alla vaccinazione sono in tutto meno dell’1% della popolazione, come dimostra lo studio realizzato da ISS[1], penso che sia irragionevole attribuire tutte le colpe solo a questa sparuta minoranza.

Come affermato proprio dall’OMS[2], per affrontare il problema della diffidenza vaccinale in un Paese occorre comprendere le dimensioni e il contesto del problema, diagnosticarne le cause, mettere in atto strategie di contrasto basate su prove scientifiche, monitorarne e valutarne gli impatti per verificare se la situazione migliora oppure se esiste il rischio di una ripresa del rifiuto. Non esiste una singola strategia sufficiente per affrontare tutti gli aspetti del problema.

Il nostro Paese sembra non aver seguito nessuna delle raccomandazioni contenute nel documento del SAGE, nelle cui pagine abbondano gli inviti alla formazione, alla informazione, alla ricerca della adesione consapevole mentre l’obbligatorietà viene citata solo per ammonire gli Stati contro i rischi di politiche coercitive.

In assenza di una chiara analisi del problema e di una precisa strategia di applicazione la decisione di contrastare il calo delle coperture solo con lo strumento dell’obbligo vaccinale rischia il fallimento.

L'obbligo non basta

Tra l’altro l’esperienza di alcune Regioni in materia aveva insegnato che, presenza dell’obbligo e impiego delle sanzioni amministrative, possono addirittura favorire la crescita di iniziative di opposizione col risultato di aggravare il carico amministrativo e favorire il proselitismo dei gruppi no-vax. Questo aveva portato numerose realtà regionali a sospendere le sanzioni e adottare strategie di promozione delle vaccinazioni basate sull’informazione e sul dialogo piuttosto che sul contenzioso legale.

Se, schematicamente, si possono indicare tre grandi gruppi di determinanti della mancata adesione alle vaccinazioni:

  • Il mancato accesso all’offerta (per problemi organizzativi e logistici)
  • La diffidenza vaccinale (per problemi di informazione)
  • Il rifiuto ideologico (non motivato)

l’adozione di strumenti coercitivi potrebbe avere effetti sulla terza componente mentre lascerebbe immodificati, o non affrontati, gli altri aspetti problematici.

Occorre anche ricordare che la storia delle politiche vaccinali del nostro paese ha seguito, negli ultimi 20 anni[3], percorsi culturali e tecnici opposti a quello imboccato lo scorso anno. In coerenza con le indicazioni e le raccomandazioni delle autorità sanitarie europee si è promossa l’adesione volontaria e consapevole alle pratiche preventive (vaccinazioni comprese) coerentemente con la programmazione nazionale che concepisce la salute come valore positivo da promuovere e sviluppare all’interno di comunità composte da persone informate e partecipi.

"L’obbligatorietà ha funzionato, perché renderla flessibile?"

Oggi registriamo importanti avanzamenti sul piano delle coperture vaccinali che sono sicuramente un risultato del recente decreto sull’obbligo. I risultati più significativi si sono avuti nelle prime fasce d’età (dove l’attenzione dei genitori è sempre molto elevata e dove il decreto adotta la sanzione dell’esclusione scolastica). Il recupero delle mancate vaccinazioni nelle altre classi d’età è, invece, ancora piuttosto deludente.

Soprattutto preoccupante resta il divario esistente tra diverse aree del paese che non è diminuito. Per il vaccino esavalente (coperture a 24 mesi) ci sono circa 12 punti percentuali di differenza tra la prima e l’ultima regione, mentre per il morbillo (prima dose) il divario supera i 20 punti percentuali;

La copertura vaccinale necessaria per ottenere l’immunità di gruppo riguarda l’intera popolazione, non bastano la generazione dei nuovi nati e le regioni più performanti per raggiungere il traguardo. Per eliminare il morbillo, ad esempio, occorre riuscire a coprire tutto il territorio nazionale e proteggere anche i giovani adulti.

Quindi: il decreto ha avuto successo ma il suo impatto su questa epidemia sarà, purtroppo, solo marginale. Continuo a credere che per ottenere progressi veri e duraturi, probabilmente, l’obbligatorietà non basta.

Vaccini e vaccinazioni, due cose distinte

Per uscire da questo “tunnel dell’obbligatorietà” in cui ci troviamo penso, ancora una volta, sia necessaria un po’ di analisi e qualche precisazione. Intanto: i vaccini e le vaccinazioni sono due concetti distinti:

  • i vaccini sono prodotti concepiti per la difesa contro le infezioni e costituiscono, pertanto, un fondamentale strumento di prevenzione
  • le vaccinazioni sono interventi di sanità pubblica nei quali l’offerta di un vaccino a gruppi di popolazione viene motivata dall’esistenza di condizioni di rischio attuale o potenziale in quella popolazione.

Tutti i vaccini sono utili ma non tutte le vaccinazioni sono ugualmente necessarie in tutte le popolazioni. Non si può discutere di vaccinazioni (e di obbligo vaccinale) in modo astratto, senza contestualizzare l’uso dei diversi vaccini nelle specifiche popolazioni.

La natura delle vaccinazioni indicate come obbligatorie nella nostra legislazione attuale non è omogenea. Ci sono, infatti:

  • Vaccinazioni finalizzate al controllo di malattie infettive previste da programmi internazionali di eradicazione (es. poliomielite)
  • Vaccinazioni finalizzate alla eliminazione di malattie infettive circolanti sul territorio nazionale (es. morbillo e varicella)
  • Vaccinazioni finalizzate a proteggere gli individui da infezioni che costituiscono un rischio epidemiologico attuale (es. meningiti e tetano)

La mancata adesione a una vaccinazione finalizzata al controllo o all’eliminazione di malattie infettive (ad esempio poliomielite, morbillo) comporta rischi per l’intera popolazione e chiama in causa i doveri della responsabilità e della solidarietà sociale. La mancata adesione a una vaccinazione protettiva (tetano, meningite) comporta rischi solo per il soggetto non vaccinato e chiama in causa solo i doveri della responsabilità genitoriale.

L’introduzione indiscriminata dell’obbligatorietà per questi diversi scopi della vaccinazione non appare ugualmente e coerentemente giustificabile. Soprattutto non appare possibile riconoscere per tutte le diverse malattie di riferimento uno stato di “emergenza sanitaria” tale da richiedere l’adozione immediata di misure preventive di tipo coercitivo.

Ci dev'essere proporzione fra misure da adottare e gravità del pericolo da affrontare

Il tema, però, non è quello di rendere flessibile l’obbligatorietà delle vaccinazioni. L’“obbligo flessibile” è solo una delle tante sintesi giornalistiche che sarebbe meglio evitare. Si tratta, in primo luogo, di riassegnare all’obbligo il suo giusto ruolo: quello di strumento. Uno tra i tanti strumenti di cui la sanità pubblica può avvalersi quando le condizioni di rischio per la salute lo giustificano e lo rendono necessario.

Il dibattito in corso ha assunto toni enfatici e ha conferito all’obbligo vaccinale un significato assoluto: una sorta di “imperativo categorico” cui i cittadini non possono sottrarsi se non tradendo i valori della solidarietà e della responsabilità sociale. Io credo, invece, che ci debba essere proporzione tra la perentorietà dell’obbligo e la gravità del pericolo che l’obbligo intende contrastare.

Nessun risultato senza una chiara politica sanitaria

In secondo luogo, si tratta di affidare l’uso di questo strumento alla responsabilità del Servizio Sanitario Nazionale (lo Stato e le Regioni insieme) che potrà utilizzarlo per rendere efficaci i piani straordinari di intervento da adottare quando ci sono situazioni che lo richiedono (come il Piano di eliminazione del morbillo e della rosolia congenita che, nel nostro paese, nonostante l’epidemia in corso non è stato rinnovato dopo il 2015). Piani organici capaci di integrare l’uso dell’obbligo con il complesso delle azioni organizzative, formative, informative, comunicative senza le quali l’obbligo rischia di non essere efficace.

In sanità pubblica misure coercitive sono state (e sono ancora) utilizzate con successo in interventi di prevenzione rivolti a vere e proprie piaghe sociali: l’uso delle cinture di sicurezza e il divieto di fumo nei luoghi pubblici, tanto per fare due esempi. Come ci ha ricordato Marco Geddes in un suo recente intervento sul tema[4] i diversi scopi per cui vengono utilizzati i vaccini già oggi offrono esempi di impiego differenziato e modulato (nel tempo, nello spazio e nei gruppi di persone). Non vedo perché anche lo strumento dell’obbligatorietà non possa essere suscettibile di un analogo impiego motivato e ragionevole.

In campo vaccinale, ad esempio, non si intende certo promuovere un “federalismo dell’obbligatorietà” con tutte le regioni che marciano in ordine sparso. Le differenze di comportamento tra le regioni, lo abbiamo visto, indeboliscono l’efficacia delle politiche di prevenzione. Però sarà probabilmente necessario mantenere (ed estenderla oltre il contesto delle scuole d’infanzia) l’obbligatorietà per arrivare in tempi ragionevoli a eliminare il morbillo. E bisognerà pensare a quelle aree del paese dove le coperture vaccinali sono molto basse e dove il numero dei soggetti suscettibili rende possibile l’insorgere di epidemie.

Che fare allora per sostenere le vaccinazioni?

Intanto bisogna dedicare ai diversi problemi l’attenzione che meritano. Ricordiamoci sempre che la stragrande maggioranza degli italiani vaccina i propri bambini e crede nelle vaccinazioni. Dobbiamo soprattutto consolidare questo capitale umano e, se possibile, limitare la diffusione della sfiducia o della diffidenza verso i vaccini.

Occorre confermare, in tutti i contesti e in tutte le occasioni, il valore positivo della salute, l’importanza della prevenzione e l’utilità, in questo ambito, delle vaccinazioni. Occorre che questa “cultura della prevenzione” sia diffusa, anzitutto, nel servizio sanitario nazionale e trovi adeguati e coerenti conferme anche nel comportamento delle altre istituzioni (la scuola prima di tutto).

Da questo punto di vista l’obbligatorietà deve essere “ridimensionata”. Se davvero la salute è una cosa buona (e giusta) non dovrebbe essere necessario imporla con un obbligo!

Anche l’importanza relativa delle vaccinazioni deve essere giustamente collocata: la nostra popolazione oggi si ammala e muore soprattutto perché mangia troppo e si muove troppo poco. La quota di salute che si può promuovere con le vaccinazioni è importante ma è marginale rispetto a quella che si potrebbe promuovere agendo sugli stili di vita inadeguati.

Esistono interventi di prevenzione e promozione efficaci, tanto e più delle vaccinazioni, che non giungono neppure all’attenzione del pubblico e ai quali il dibattito politico non ha riservato alcuno spazio. Alcuni di questi interventi richiedono anche il ricorso all’obbligo e alla coercizione (contenuto nutrizionale di alcuni alimenti, quantità di zucchero nelle bibite, la pubblicità del gioco d’azzardo, ecc.) e hanno dimostrato la loro efficacia in altri contesti nazionali.

Questo si intende per “gradualità dell’obbligo”: declassare l’obbligo da dovere morale a strumento di prevenzione da utilizzare solo quando è necessario o quando non esistono alternative.

Ricreiamo un clima favorevole, e che ciascuno faccia la propria parte

Lo scorso anno, il decreto, ha bruscamente prodotto contrapposizioni frontali e chiusure cui è corrisposta una crescita d’iniziativa dei movimenti di opposizione che hanno, così, ottenuto una notevole visibilità. Questo “effetto secondario” del decreto è stato molto rilevante e ha impattato sulla comunicazione (soprattutto sui social media) e messo a dura prova la capacità organizzativa dei servizi vaccinali.

Oggi si rischia l’eccesso opposto con iniziative, movimenti e petizioni, a sostegno delle vaccinazioni sulle cui motivazioni sono un po’ perplesso. Anche in questo caso la contrapposizione è totale e le evidenze scientifiche insufficienti (magari bastassero i vaccini a scuola per assicurare la protezione dei soggetti fragili dalle tante infezioni che li minacciano).

Forse è il caso di tornare a un clima meno invelenito. È necessario capire le ragioni del dissenso per poter distinguere tra chi si oppone per principio (che difficilmente cambierà la propria opinione) da chi, invece, si oppone per diffidenza o per carenza di informazione che, invece, è necessario mettere in condizioni di scegliere motivatamente.

Non bisogna poi dimenticare che una parte delle mancate vaccinazioni non deriva dal rifiuto dei genitori ma da difetti di organizzazione: per informare in modo adeguato ci vuole tempo e professionalità. Due risorse non sempre disponibili nei nostri servizi vaccinali che hanno visto, negli ultimi anni, crescere (solo e molto) il numero di vaccini da offrire e non altrettanto il personale e le risorse per la sua formazione.

È necessario un ripensamento, innanzitutto culturale, e un grande sforzo per semplificare e migliorare la comunicazione. Le incertezze e le incomprensioni vengono, anche, favorite dalla incoerenza e dall’opacità dei messaggi comunicativi che hanno accompagnato e seguito l’introduzione dell’obbligatorietà.

Poniamocia qualche domanda: secondo voi, negli ultimi dieci anni:

  • Quanti presidi/rettori hanno sollecitato la vaccinazione contro il morbillo al momento dell’iscrizione alle scuole superiori o all’università?
  • Quanti dirigenti sportivi hanno invitato alla vaccinazione i clienti delle loro palestre o delle loro piscine?
  • Quante famiglie hanno ricevuto una visita domiciliare per verificare lo stato vaccinale dei propri figli?
  • Quanti insegnanti sono stati invitati dal dirigente a valutare il proprio stato vaccinale?
  • Quanti medici e infermieri hanno chiesto l’anamnesi per il morbillo e invitato alla vaccinazione durante la loro attività di routine?
  • Quante campagne di comunicazione nazionali sono state organizzate dal Ministero della Salute su questo tema?
  • Quanti giornalisti hanno ricevuto informazioni sul Piano Morbillo, sullo stato di avanzamento e hanno deciso di darne notizia sui loro giornali?

Io credo, sinceramente, molto pochi e, comunque, non abbastanza visto che l’epidemia è ancora attiva. Eppure queste azioni (e moltissime altre) sono, da oltre quindici anni, quelle contenute nel piano straordinario per l’eliminazione del morbillo e della rosolia congenita (intesta Stato-Regioni del marzo 2011), che prevede una serie articolata di interventi basata sull’impegno e sull’intervento di numerosi soggetti e istituzioni, dentro e fuori il perimetro del servizio sanitario nazionale. Probabilmente i richiami e le “bacchettate” arrivate all’Italia da parte degli organismi sanitari internazionali per via del morbillo non fossero rivolte solo ai nostri genitori no-vax. Penso che venisse invitata tutta l’Italia a reagire e darsi da fare per eliminare il morbillo.

Penso che in questo dibattito acceso e strumentale sull’obbligo ci sia, addirittura, il rischio, additando solo la responsabilità sociale dei singoli, di trascurare la responsabilità sociale di soggetti e istituzioni che non hanno brillato per il loro impegno in questo campo. Lo stesso rischio, temo, si corre anche discutendo di fiducia nella scienza e attribuendo all’irrazionalità di alcuni (sparuti) gruppi e movimenti la responsabilità di una crisi che, forse, ha radici più profonde e responsabilità più distribuite.

Basta ricordare come la scienza sia stata, ancora di recente, trascurata nei tribunali (le sentenze sull’autismo e sulla prevedibilità dei terremoti) o dalle istituzioni sanitarie e scientifiche (quando hanno finanziato e ospitato Stamina, per esempio) per ammettere che esistano responsabilità più ampie.

Lo stesso vale per le politiche vaccinali dove anni di incoerenze e tentennamenti, di federalismi regionali, di allarmi risultati infondati e di scelte talora discutibili[5] hanno eroso una reputazione che si potrà recuperare solo con altrettanti anni di impegno, coerenza e sobrietà di comportamento.

 

Note
1. Giambi C et al. Parental vaccine hesitancy in Italy – Results from a national survey. Vaccine (2018), https://doi.org/ 10.1016/j.vaccine.2017.12.074
2. WHO. Report of the SAGE working group on vaccine hesitancy. Geneve 2014 (pages 59-63).
3. Il penultimo Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (PNPV) nel 2013 indicava, addirittura, un percorso per giungere al superamento dell’obbligo. Ancora all’inizio del 2017, l’ultimo PNPV, disegnava tutt’altra prospettiva per cercare di innalzare le coperture vaccinali in calo e non indicava l’obbligatorietà delle vaccinazioni tra le priorità e gli strumenti da utilizzare.
4. Marco Geddes. La lunga estate vax. http://www.saluteinternazionale.info/2018/09/la-lunga-estate-vax/#more-13237 (3 settembre 2018)
5. V Demicheli. Vaccini che pasticcio! Epidemiologia e Prevenzione 2015; 30(1):7-9

 


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