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Chimica, un patrimonio culturale da preservare

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Lo scorso 28 agosto, a Liverpool in Inghilterra, durante il congresso di chimica più grande d’Europa, il meeting annuale dell'European Chemical Society (EuChemS), si è svolto un interessante evento, aperto al pubblico, dal titolo “Cultural Heritage of Chemistry” (Public Lecture – The cultural heritage of chemistry). L’idea che la chimica sia parte integrante del patrimonio culturale non è così diffusa e il fatto che l’associazione di chimici più numerosa d’Europa abbia inserito un evento di questo tipo nel ricco programma di sessioni scientifiche parallele dedicate alle ricerche di punta nei vari settori della chimica è segno di un cambiamento di sensibilità della comunità dei chimici.

A riprova di questa maggiore attenzione al rapporto tra Chimica e Società, l’EuChemS ha istituito alcuni gruppi di lavoro, come il Working Party of the History of Chemistry e il Working Party on Chemistry for Cultural Heritage, che hanno, tra gli altri, lo scopo dichiarato di ‘rafforzare il senso di appartenenza della comunità dei chimici europei’ e ‘diffondere nel pubblico generico l’idea che la chimica è parte integrante del patrimonio culturale e della storia di ogni cittadino europeo’. Tra i programmi messi in atto dall’EuChemS, l’Historical Landmarks Programme si propone di individuare e di rendere ben identificabili e fruibili al pubblico, località e siti, su tutto il territorio europeo, che siano associati a scoperte significative della scienza chimica, a chimici importanti che hanno vissuto o lavorato in un luogo oppure ad attività industriali che hanno caratterizzato la storia di un territorio e dei suoi abitanti.

Tutto questo prevede la collaborazione delle società chimiche nazionali, ma anche delle comunità locali, per segnalare i siti alla commissione europea, e per valorizzarli, anche dal punto di vista turistico. A coordinare il programma, che prevede anche un premio annuale (l'EuChemS Historical Landmarks Award), è la storica della scienza Brigitte Van Tiggelen, nonché direttrice della sezione europea del Chemical Heritage Foundation, che ha la sua sede centrale a Philadelphia, USA.

L’evento pubblico organizzato a Liverpool e coordinato proprio da Brigitte Van Tiggelen ha toccato vari temi, come quello dell’importanza della storia della chimica e del ruolo dei musei nella diffusione del valore culturale della chimica, grazie ai due interventi magistrali di Robert Anderson, attuale direttore del Science History Institute di Philadelphia e già direttore del British Museum di Londra, e di Rupert Cole, curatore della sezione di chimica dello Science Museum di Londra.

Riconoscere la chimica come patrimonio culturale

Come sottolineato da Cole, la presenza della chimica nelle collezioni scientifiche di valore storico è ancora troppo limitata: solo l’1 per cento degli oggetti associati alla scienza chimica sono esposti al pubblico in uno dei più grandi musei della scienza, come lo Science Museum di Londra. Dall’esigenza di rendere fruibili a tutti i moltissimi oggetti presenti nei magazzini e negli archivi, sono nati recentemente alcuni progetti, che prevedono la partecipazione attiva dei visitatori e l’uso dei social network, come il programma #chemglass. Una foto di un oggetto di vetreria chimica non ancora ben catalogato viene postata sul blog del museo e diffusa attraverso i social network, chiedendo a chiunque voglia partecipare di fornire informazioni sull’uso, sulla storia e sull’origine dell’oggetto “senza nome”. Oltre a far conoscere la ricchezza e il valore degli innumerevoli oggetti in vetro che i chimici hanno fabbricato, spesso nel proprio laboratorio, soprattutto a partire dal diciottesimo secolo, il progetto #chemglass rappresenta un esempio di partecipazione pubblica ad un progetto scientifico (citizen science).

Sulla stessa scia, l’assegnazione dell’EuChemS Historical Landmarks Award 2018 ha visto la partecipazione di associazioni locali che hanno segnalato, attraverso le rispettive società chimiche nazionali, siti di rilevanza storica associati alla chimica. Il premio di quest’anno è andato a due siti: la miniera di Ytterby in Svezia, che ha dato il nome ad un elemento chimico appartenente al gruppo delle terre rare, l’Itterbio, estratto proprio da questo sito minerario, e il complesso industriale di ABEA in Grecia, nato nel 1889 per lavorare e processare le olive per ricavarne prodotti, come l’olio di oliva, fondamentali per l’economia del paese. In entrambi casi, la chimica si intreccia alla storia del territorio, la cui conoscenza può rappresentare un elemento di identità e un riconoscimento della chimica come patrimonio culturale di un paese e, come auspicato dall’EuChemS, dell’Europa.

I musei di Chimica in Italia

Quando si parla di patrimonio culturale della chimica non possiamo certo escludere i musei e le collezioni, in particolare quelle legate alla chimica, sparse in tutto il territorio europeo. Anche in Italia, esistono molti esempi di strutture museali, spesso associate a facoltà universitarie, istituti tecnici industriali e licei scientifici, che contengono oggetti di grande valore storico. Strumenti scientifici, oggetti di vetreria, reagentari, lettere e appunti di laboratorio sono spesso conservati in bacheche e armadi, anch’essi storici e non sempre di facile accesso al pubblico, rivelando storie, a volte poco note, ma fondamentali per comprendere il complesso processo della scienza chimica.

E’ proprio per cercare di far conoscere queste realtà e renderle maggiormente fruibili al pubblico, che la Società Chimica Italiana (SCI) ha messo su un gruppo di lavoro per istituire una rete dei musei di chimica, riattivata in questi mesi grazie all’impegno del gruppo senior della SCI. Come primo obiettivo, la rete dei musei di chimica si propone quello di aggiornare il censimento di queste strutture, che includono i più noti Museo di Chimica dell’Università La Sapienza di Roma, il Museo di Chimica dell’Università di Genova, oltre alle preziose collezioni di archivi storici scientifici, come l’ASTUT dell’Università di Torino o la Collezione Shiff dell’Università di Firenze.

Mettere in rete queste strutture a livello nazionale, oltre ad avere vantaggi pratici, aumentandone la visibilità e consentendo un più facile reperimento dei finanziamenti, potrebbe contribuire a creare una maggiore consapevolezza nell’opinione pubblica del patrimonio culturale della chimica, in linea con i programmi dell’EuChemS. Tra gli obiettivi della rete dei musei di chimica c’è anche quello di amplificare le relazioni e i contatti tra queste strutture museali e le scuole. Non dobbiamo, infatti, dimenticare il grande valore didattico ed educativo che questi luoghi possiedono in virtù della storia, e delle storie, che possono raccontare ai visitatori, giovani e meno giovani, che possono così approcciarsi alla chimica con modalità diverse da quelle tipicamente formali che si incontrano a scuola.

Il ruolo dei musei e delle collezioni di chimica può diventare centrale anche nell’ottica di un nuovo modello di insegnamento della chimica, chiamato modello tetraedrico, introdotto di recente dal chimico Peter Mahaffy, che sottolinea l’importanza di insegnare i concetti fondamentali della chimica inserendoli in un contesto, indicato genericamente “elemento umano”. In questo senso, l’apprendimento della chimica può essere facilitato se la chimica è insegnata non in modo astratto, ma collegandola all’uomo, ovvero alla vita quotidiana, alle problematiche del rapporto tra la chimica e la società, e, non ultimo, alla storia della chimica. Anche per questo, i musei di chimica potrebbero acquistare un ruolo davvero centrale nella creazione di una nuova, migliore, immagine pubblica della chimica.


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