Crediti: TcfkaPanairjdde/Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 3.0
Può esserci un momento nella storia di una grande istituzione in cui si verifica una svolta eclatante, un passaggio che ne modifica la natura e compromette il procedere del proprio sviluppo. Al Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) sta succedendo qualcosa di simile. E sta succedendo sostanzialmente nella generale indifferenza.
E’ bene qui sottolineare come il CNR sia la più grande e per certi versi la più rilevante istituzione scientifica del Paese. Anche considerando come la “missione” di questo ente si estenda ben oltre i confini tradizionali della ricerca, prevedendone una parte tanto nel promuovere l’innovazione del sistema industriale italiano, quanto nell’internazionalizzare la ricerca pubblica, fino allo svolgimento del ruolo di “Consiglio” per le istituzioni pubbliche. Dove la forza di questa missione allargata sta anche nella natura di frontiera, multi e interdisciplinare che questo ente è in grado di realizzare.
Per la prima volta il Fondo ordinario (FOE) che lo Stato metterà a disposizione, per il 2019, di questa prestigiosa istituzione scientifica risulterà gravemente insufficiente (con un deficit di circa 100 milioni).
Cerchiamo allora di comprendere in cosa consista quel passaggio potenzialmente stravolgente sopra richiamato. Il CNR infatti, data l’assenza di fondi ordinari per lo svolgimento di attività di ricerca, ha sviluppato ormai da tempo una notevole capacità di acquisizione di fondi straordinari, quelli messi a bando sul mercato internazionale, europeo e nazionale. Questa capacità (che dipende da ricercatori, tecnologi, gruppi di ricerca, loro strutture di supporto) può essere quantificata in una cifra corrispondente a circa la metà del budget predisposto dallo Stato (la media degli ultimi quattro anni corrisponde a circa il 52%).
Questi fondi acquisiti dal mercato sono i soli realmente disponibili per svolgere attività di ricerca, dato che il FOE copre gli stipendi del personale a tempo indeterminato e parte dei costi di funzionamento (guardiania, pulizie, affitti, mutui, acqua, luce, gas, etc.). Insomma, il FOE riesce a malapena a finanziare il CNR nelle condizioni di cosiddetto “uomo fermo”. Ossia, come ben si intuisce dalla semantica della perifrasi, senza fornire quelle risorse aggiuntive (strumentazione, materiali per la sperimentazione, fondi per alcuni supporti essenziali, e così via) che permettono di passare dall’uomo fermo al “ricercatore attivo”.
Se allora si pianifica di requisire parte dei fondi di ricerca per utilizzarli in sostituzione della parte di FOE che non viene erogata (ossia per pagare stipendi del personale a tempo indeterminato e funzionamento generale), si determina quella svolta richiamata all’inizio del nostro articolo.
I rischi sono altissimi e non consistono solo nell’impatto che subiranno le attività di ricerca immediatamente private di questi fondi ma anche nella psicologia e nelle pratiche comportamentali del personale di ricerca (si pensi al crollo della motivazione nel promuovere e gestire progetti internazionali - attività molto impegnativa - da parte dei ricercatori che potrebbero vedere decurtati questi fondi per essere destinati a spese non coerenti con la funzione progettuale specifica). Da non escludere inoltre le dinamiche conflittuali nella relazione tra gli istituti, i luoghi dove si svolgono le attività, e gli organi centrali.
La questione si complica ancor più se si considera che parte dei fondi recuperati dal mercato debbono essere già parzialmente utilizzati nelle sedi periferiche (gli istituti) per pagare quei costi di funzionamento che non sono centralizzati (e coperti dal FOE) e che restano a carico locale (telefoni, stampanti, materiali per i servizi igienici e altro, manutenzione ordinaria, strumentazione e materiali di base per amministrativi e tecnici, etc.). Per non parlare della possibilità da parte degli istituti di finanziare quelle ricerche che sul mercato non trovano risorse in quanto non valorizzate nella loro natura strategica.
E’ per questa ragione che lo scorso 25 ottobre i 100 direttori degli istituti scientifici del Consiglio Nazionale delle Ricerche hanno sottoscritto, come primi firmatari, e poi pubblicato sulla rete un “Manifesto per salvare il CNR e rilanciare il futuro del Paese”. Al momento la sottoscrizione del Manifesto da parte del personale del CNR ha raggiunto le 3800 unità. Gli stessi direttori hanno quindi inviato lettere al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte e al Ministro IUR Marco Bussetti, per sollecitare un loro intervento risolutivo1.
Come si afferma nel Manifesto, le ragioni principali per cui si è giunti a questa assai grave situazione risiedono in quattro eventi scatenanti, non essendo state previste le ovvie compensazioni finanziarie:
- negli ultimi anni un costante de-finanziamento del FOE, a scapito dei naturali incrementi dei costi e delle spese di personale;
- una decina di anni fa lo scorporo dal FOE di una quota, circa 70 milioni, fittiziamente vincolata a progetti di ricerca, ma in realtà rientrata in buona parte negli anni successivi nel calderone delle spese di funzionamento e oggi non più utilizzabile in questo modo in quanto vincolata alle nuove assunzioni;
- aggiornamento contrattuale fermo da vari anni
- assunzione di oltre mille di unità di personale da troppo tempo precario
I direttori hanno immediatamente rilevato come alcune di queste cause, in particolare l’aggiornamento contrattuale e la stabilizzazione del personale precario, siano di fatto entrambi elementi attesi con grande favore da tempo. Fattori che muovono nella giusta direzione di un adeguamento del Paese verso l’orizzonte dello sviluppo. Sottolineando come i numeri di queste dimensioni (numeri di ricercatori e retribuzioni del personale specializzato in questo ambito) siano nettamente al di sotto delle medie dei Paesi omologhi al nostro. Il problema è quindi nel finanziare questo valore aggiunto!
I direttori hanno quindi convocato una conferenza stampa lo scorso 14 novembre e hanno deciso di abbinarle due simbolici eventi:
- IL SANGUE PER LA RICERCA: la mattina del 14, prima della conferenza stampa, sulla rampa dell’edificio ospitante la sede centrale del CNR in Piazzale Aldo Moro, in coordinazione con l’AVIS di Roma, i direttori e altri dipendenti del CNR hanno deciso di realizzare una donazione di sangue. Un atto di impegno civico che torna alla società esattamente come torna allo sviluppo civile, sociale, economico e tecnologico del Paese, il finanziamento della ricerca
- IL RISCHIO DI PERDERE PEZZI DI RICERCA: durante la Conferenza Stampa in aula Marconi, ciascun direttore o suo delegato ha “riconsegnato” simbolicamente un oggetto rappresentante un ambito di ricerca che quell’istituto sviluppa. Per evidenziare come, senza i 100 milioni aggiuntivi al budget attuale, non sarà possibile conservare la stessa capacità ed efficacia che il CNR realizza nei propri ambiti: qualche parte delle proprie attività rischierà di perdersi e con esse importanti avanzamenti di conoscenze e di ricadute per la competitività del sistema Paese
La maggior parte di quanti stanno leggendo questa nota si accorgeranno di non avere avuto alcuna informazione su questo rilevante problema del CNR, né dei due eventi che hanno accompagnato la conferenza stampa (certamente di non averne vista alcuna immagine sulle TV). Eppure i comunicati stampa sono partiti in tutte le direzioni, sono state allertate stampa e televisioni. A nessun giornalista è però venuto in mente di rilevare con la giusta considerazione quel gesto di straordinaria denuncia costruttiva; quell'offerta, pratica e al tempo stesso simbolica, alla società di uno dei beni essenziali per la vita degli umani: il proprio sangue.
Con l’intento di far comprendere che una società può dividersi sulle strategie e sugli obiettivi che intende perseguire, ma non può trascurare la linfa essenziale che la tiene in vita. Senza di essa non ci sarà neppure l’opportunità di combattere per indicare percorsi e mete differenti. Deve essere chiaro che l’esigenza che sta alla base del Manifesto non è la difesa di una corporazione o di un ente divenuto fine a sé stesso; bensì la valorizzazione dell'eccellenza italiana, della sua competitività e sviluppo.
La conoscenza, e la ricerca che continuamente l’aggiorna e la vivifica, come il sangue per gli individui, rappresenta il carburante che ci mette nelle condizioni di produrre sviluppo, ricchezza e civiltà. Se la ricerca nel nostro Paese si indebolisce, e il CNR è il principale ente di ricerca pubblico italiano, sarà un danno che tutti subiremo e i direttori CNR nella loro, anche qui simbolica, riconsegna degli strumenti ne hanno testimoniato alcuni degli ambiti e delle problematiche.
Due gesti simbolici, perlopiù ignorati da chi della attualità ama raccontare tutta la possibile superficie rifrangente, trascurando ciò che matura e si sviluppa negli strati articolati del tessuto profondo e che determina l’evoluzione e le dinamiche del corpo e delle infrastrutture sociali. I sottoscrittori di questo Manifesto pur sapendo di perseguire obiettivi la cui rilevanza è di difficile percezione e comprensione, ritengono sia necessario continuare ad esercitare uno sforzo di evidenza per aprire un dialogo costruttivo con l’opinione pubblica e con la politica. Convinti che la meta finale non sia il privilegio di una categoria, per quanto meritoria e produttiva, o di una parte della società a discapito di un’altra, ma il bene per il futuro del Paese.