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Editing genomico: maneggiare con cura

Crediti: Elias Sch./Pixabay. Licenza: Pixabay License

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Qualche settimana fa, su questa rubrica abbiamo pensato di discutere l’annuncio fatto dal ricercatore cinese He Jankui di aver editato embrioni umani mediante la tecnica CRISPR e, più in generale, la possibilità di alterare genoma, comportamento e capacità dell’essere umano. Dopo la nostra introduzione, sono intervenuti i professori Remuzzi, Corbellini e Panzica per offrire i loro punti di vista; e le svariate migliaia di letture che la nostra introduzione e i loro contributi hanno raccolto testimoniano il vivo interesse che questi temi hanno per il pubblico. Crediamo sia giunto il momento di chiudere (almeno temporaneamente) questa interessante discussione con alcune considerazioni finali.

Abbandonare la pretesa di una moratoria assoluta

Partiamo da una questione generale, in linea con quanto scritto da Corbellini: le moratorie e le barriere etiche autoimposte non servono a impedire che ciò che è scientificamente realizzabile prima o poi sia realizzato da qualcuno. L’etica prescrittiva è un prodotto della cultura e del modo di vedere di alcuni gruppi in un determinato momento storico, ed è ben difficile che riesca a essere riconosciuta come universalmente valida; figuriamoci in un settore come quello della ricerca scientifica, in cui si tendono a riconoscere come vincolanti solo i limiti della nostra immaginazione e dei nostri metodi, e dove è facile contrapporre ai valori morali prodotti in un certo contesto – per esempio quello delle élite culturali che attualmente governano l’Occidente – altri valori e altri modi di intendere il progresso dell’umanità, quali quelli di stampo collettivista di una nazione-mondo come la Cina.

Naturalmente, queste osservazioni di carattere generale, molto ben sottolineate da Corbellini, non proibiscono affatto di considerare invece analiticamente le conseguenze e i dilemmi etici del caso specifico delle gemelline cinesi. In altre parole, se abbandoniamo la pretesa di basare una moratoria assoluta su un’etica generica e di pretese universalistiche, possiamo dedicarci con maggiore serenità a valutare i dubbi e le implicazioni sul piano morale dello specifico modo di agire di He Jankui. Possiamo, per esempio, domandarci: cosa ha fatto, in realtà? Aveva dichiarato di aver verificato che la delezione introdotta nel gene CCR5 delle gemelline fosse quella nota come Delta32, ma di fatto non sappiamo ancora come siano stati effettuati questi controlli; come ha scritto Remuzzi, pare invece accertato che la delezione delle 32 coppie di basi non sia proprio avvenuta.

Mentire o rappresentare artatamente i propri risultati nella ricerca scientifica sono considerati entrambi peccati gravi: e tanto più lo sarebbero nel caso specifico in cui si sta parlando di interventi su esseri umani. Non sappiamo, però, se nell’affermazione del ricercatore cinese vi sia dolo o se si tratti semplicemente di incompetenza professionale. Di quello, cioè, che nel gergo scientifico si definisce normalmente sloppyness. Diamo quindi a He Jankui, che non sembra essere un biologo molecolare di prima grandezza e attendibilità, il beneficio del dubbio. Ha più volte dichiarato che una seconda gravidanza è in corso: che ne è stato? Chi sta seguendone gli sviluppi, dove sono i dati, dove sono i protocolli applicati? In Cina si è estesa una cortina sul caso, aumentando di fatto le incertezze non solo scientifiche, ma anche etiche, su quanto è stato fatto originariamente, ma anche su quanto si sta facendo tuttora.

Considerazioni sulla scelta dell'editing a CCR5

Queste sono riflessioni generali sull’esperimento di He Jankui. Ma sono altre questioni più specifiche che riguardano la particolare scelta di editare il gene CCR5. Perché vi sono dubbi sulle vere ragioni della scelta. Sapeva il ricercatore cinese dei possibili effetti cognitivi degli interventi sul gene CCR5? Lo ha sempre negato, ma i risultati sulla cognizione esistevano in letteratura dal 2016, cioè da quando lui ha disegnato il suo protocollo e ha iniziato il lavoro. Ed era già comunque noto, e quindi probabilmente lo era anche a lui, che gli interventi di editing genetico possono, per dire così, sfuggire di mano, e introdurre mutazioni e delezioni al di fuori di quelle che si vogliono produrre.

Cosa del resto che non dovrebbe stupire, e che rimanda a quello che avevamo scritto nella nostra introduzione di qualche settimana fa: il genoma è qualcosa di molto complesso, in cui le interazioni reciproche si sprecano, e in cui i singoli geni non vivono in un metaforico limbo individuale. Non si è ad esempio visto proprio poche settimane fa che la delezione Delta 32 nel gene CCR5, quella appunto che He Jankui voleva introdurre in omozigosi, ha effetti sulla durata della vita (che pare esser minore nei portatori della delezione Deta 32), legati verosimilmente all'aumentata suscettibilità a diverse malattie infettive, come ad esempio l’influenza? E a parte gli effetti cognitivi, non sono forse stati documentati anche inaspettati effetti positivi della delezione, quali quelli sul miglioramento degli effetti dannosi dell’ictus cerebrale?

Tutto questo va ricordato perché l’editing genetico e questo tipo di lavoro in generale, giriamola come vogliamo, portano direttamente sulla strada dell’eugenetica. E il biologo molecolare cinese questa strada l’ha imboccata alla garibaldina, senza valutare a priori tutti gli effetti delle mutazioni che voleva introdurre, che d’altronde al momento in nessun modo avrebbe potuto prevedere. E qui occorre fare un discorso chiaro: l’editing genetico, come ha scritto Remuzzi, non è di per sé cosa da far inorridire: occorre dirlo, chiaro e forte, perché c’è nell’aria il chiaro pericolo che si passi automaticamente ad una sorta di “reductio ad hitlerum”, finendo per buttare il bambino con l’acqua sporca. Addirittura, per continuare la metafora, per buttarlo con l’acqua pulita.

È sintomatico, ad esempio, che una delle co-inventrici, assieme a Emanuelle Charpentier e Virginjus Siksnys, della tecnica CRISPR-Cas9 che ha provocato la recente esplosione universale di interesse per il gene editing, abbia raccontato di un recente sogno - che a me, chiedo scusa, è parso inventato- in cui le era apparso Adolf Hitler… Perché, fantasie su Hitler a parte, la possibilità di modificare geni, eugenetica o no, in linea di principio è tecnologia di enorme importanza potenziale per la medicina: basti pensare alla correzione dei difetti dei geni responsabili per devastanti, e molto comuni, malattie genetiche. E non solo per la medicina: consente infatti di superare i bandi ancora messi in atto in molti Paesi nei confronti degli OGM in agricoltura.

Lavorare e ancora lavorare

Per concludere: il polverone internazionale suscitato dagli interventi sul gene CCR5 ha posto l’accento sulle questioni etiche, e non solo etiche, che ne stanno a monte. Come detto, moratorie o regolamenti repressivi di portata generale sull’utilizzo di tecnologie promettenti quali la tecnologia CRISPR sulle linee germinali umane -esperienza insegna- non saranno però efficaci: se qualcosa è scientificamente realizzabile, prima o poi qualcuno la realizzerà. Occorrerà, con molta umiltà e molta pazienza, lavorare, lavorare, e ancora lavorare sul genoma per comprenderne appieno il funzionamento. Solo dopo si potrà passare alla pratica, tenendo sempre presente che, probabilmente, a effetti inaspettati saranno pur sempre in agguato.

Un ultimo breve commento sul gene CCR5. È possibile che la sua scelta sia stata particolarmente sfortunata? Sì, è possibile. Ma ha avuto quantomeno il merito di porre gli specialisti di fronte alla necessità di confrontarsi con un problema molto più grande del CCR5, problema che è facile prevedere occuperà la scienza per un lungo tempo a venire. Sfortunata, però, la scelta di occuparsi del, gene CCR5 lo è stata anche per un motivo più spicciolo. La mutazione Delta 32 aveva lo scopo di inattivare il gene CCR5, impedendogli di mediare l’ingresso del virus HIV nelle cellule. Esistono però da anni già numerosi composti farmacologici che agiscono con efficacia sul ricettore CCR5, inattivandolo: a che pro, quindi, darsi da fare per introdurre nel gene CCR5 la delezione Delta 32?

 


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