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Sbarco di cervelli

Gli studenti non comunitari delle università italiane sono 180.000, pari al 10% del totale. Di questi, una piccola parte sono i rifugiati, spesso in possesso di un titolo superiore. L’Italia è stato il primo paese ad adottare il programma europeo U4Refugees, che apre corridoi educativi per chi sbarca nel nostro paese per chiedere protezione internazionale. Su circa 200 domande all’anno presentate da rifugiati, CRUI assegna annualmente 100 borse di studio per l'accesso ai corsi di laurea e a dottorati di ricerca. A questa iniziativa si aggiunge il lavoro delle onlus che insieme ai centri SPRAR e ad alcune università promuovono attivamente il diritto allo studio di chi raggiunge il nostro paese fuggendo da guerre, miseria e persecuzioni. Con questo articolo Scienza in rete dà il via a una serie di inchieste sullo “sbarco di cervelli” per conoscere meglio questa realtà e farla crescere.
Crediti immagine: StockSnap/Pixabay. Licenza: Pixabay License

Tempo di lettura: 6 mins

Rifugiarsi nello studio. Letteralmente. Permettere alle persone titolari di protezione internazionale di raggiungere il traguardo universitario rientra negli obiettivi del Refugee Education 2030, la strategia delle Nazioni Unite che ha il fine di promuovere l’integrazione sociale e rispondere al diritto fondamentale all’istruzione per coloro cui è riconosciuto lo status di rifugiato, come sancito dalla Convenzione di Ginevra del 1951.

Il titolo di studio è un accessorio bizzarro. C’è un gergo svalutante che gli attribuisce la forza cedevole e molle del “pezzo di carta”, per altri assume la forma più consistente del salvagente. Carlotta Sami, portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) per il sud Europa rese un’idea calzante del ruolo che la scuola può avere per una vita migliore in riferimento al conflitto siriano e alle motivazioni di questa massiccia migrazione forzata giovanile: «il 36% dei siriani – commentava nel 2016 - ha già avuto accesso a una formazione superiore e arrivano sulle nostre coste proprio per questo: spinti da genitori che li invitano a partire con gli zaini pieni di libri piuttosto che a imbracciare un fucile e partecipare a una guerra».

Migrazioni forzate e accesso all’università

Delle 70 milioni di persone nel mondo che sono costrette a lasciare la propria casa e i propri affetti a causa di conflitti, violenze e persecuzioni, sono 25,9 milioni i rifugiati e il 2018 può considerarsi un anno di svolta: il numero di titolari di protezione internazionale che ha avuto accesso all’istruzione universitaria è passato dall’1% al 3% secondo i dati forniti dall’Unhcr. Approssimando, se fino al 2017 in 260 mila hanno ripreso o intrapreso gli studi universitari, l’anno scorso ci hanno provato in 780 mila. Un vero successo. Questo salto in avanti può far, dunque, guardare al 2030 con ottimismo rispetto all’obiettivo ambito di arrivare a garantire l’accesso gli studi superiori al 15% dei rifugiati nel mondo.

L’impegno è tutt’altro che timido, a ben guardare: la media globale dell’accesso agli studi superiori riguarda il 37% della popolazione mondiale (fonte Unhcr) e tanto per dare un’idea, in Italia le persone con una laurea sono meno di due su dieci (il 19,3%, +0,6 punti rispetto al 2017) contro le tre su dieci della media europea (32,3%, +0,8 punti rispetto al 2017) stando ai dati Istat sull’anno 2018. Di qualche dottore in più, allora, il nostro Paese e il Vecchio continente sembrerebbero aver bisogno.

I corridoi educativi

Nel 2016 nel Parlamento europeo è stata formalizzata la proposta di istituire i “Corridoi educativi”, percorsi specifici che prevedano l’accoglienza degli studenti rifugiati o titolari di protezione internazionale nelle università europee. Il progetto si chiama “U4Refugees” ed è stato proposto dall’allora presidente della Commissione Cultura e istruzione del Parlamento europeo Silvia Costa. L’Italia aderì da subito e per prima grazie a un accordo tra il Ministero dell’Istruzione, università e ricerca (Miur) e la Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI). In particolare, CRUI assegna annualmente 100 borse di studio per l'accesso ai corsi di laurea e a dottorati di ricerca nelle università italiane.

«Lo scopo dell’iniziativa va nell’ottica di favorire l’inclusione di studenti titolari di protezione internazionale all’interno del sistema universitario nazionale – fa sapere CRUI -, in risposta all’invito del Parlamento europeo che auspicava la creazione di Corridoi educativi nelle università in favore degli studenti provenienti da Paesi in conflitto. Siamo al quarto anno e ci giungono annualmente circa 200 domande. I corsi di laurea prescelti sono svariati e toccano molteplici aree disciplinari: Economia, Ingegneria, Mediazione linguistica e culturale, Medicina e scienze infermieristiche mentre Afghanistan, Pakistan, Siria, Palestina, Nigeria, ma anche Etiopia, Eritrea, Camerun e Ucraina sono i maggiori Paesi di provenienza dei partecipanti al bando. Oltre il 50% dei borsisti ha proseguito con successo il percorso universitario e diversi borsisti hanno raggiunto il traguardo della laurea».

L’università inclusiva

A novembre 2019, atenei e istituti di ricerca italiani hanno sottoscritto insieme all’Unhcr un Manifesto dell’università inclusiva per favorire “la valorizzazione e l'impiego della conoscenza per contribuire allo sviluppo sociale, culturale ed economico della Società”. Le istituzioni si impegnano nel riconoscimento di titoli e qualifiche accademici e professionali ma soprattutto si propongono di “offrire disponibilità per l’ingresso legale di categorie di rifugiati, inclusi studenti, ricollocati da Paesi terzi”. Atenei aperti, insomma, per garantire una concreta forma di accoglienza a studenti, ricercatori e docenti.

Ogni partenza porta un bagaglio con dentro una storia di migrazione a sé di cui le istituzioni devono tenere conto per predisporre opportunità e percorsi possibili. «Gli studenti non comunitari rappresentano circa il 10% degli studenti delle nostre università», afferma Luigi Felice, presidente dell’Associazione nazionale degli Organismi per il diritto allo studio universitario (Andisu). «Parliamo di una popolazione di circa 180.000 studenti. Ciascun ente, tipicamente a perimetro regionale, ha una propria organizzazione che cura l’orientamento sui servizi anche se quella di tipo didattico compete, in prevalenza, agli atenei. La legislazione italiana garantisce il diritto allo studio anche agli studenti non comunitari purché sia dimostrato il merito e le condizioni di disagio economico. Naturalmente gli immigrati devono avere una posizione regolarizzata in Italia, ad esempio il permesso di soggiorno».

Parte del lavoro di orientamento avviene fuori dalle università. Inizia nei luoghi della prima accoglienza. «I giovani che stanno seguendo un percorso di inserimento negli Sprar », spiega Vittorio Bianco, portavoce di Less onlus, associazione che opera a Napoli e provincia in interventi di accoglienza e inclusione sociale per migranti economici, richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale. «Sono accompagnati in un doppio percorso di orientamento e valutazione da parte di un’equipe multidisciplinare che ha come scopo l’inserimento sociale».

La onlus sostiene il Welcome Refugees Program dell’Università degli Studi di Napoli L’Orientale, che apre i suoi corsi di laurea ai rifugiati dando la possibilità di iscriversi in regime di esenzione dalle tasse: questi studenti pagano esclusivamente l’imposta di bollo di 16 euro e la tassa regionale per il diritto allo studio di 140 euro.

L’Azienda per il diritto allo studio universitario della Regione Campania (ADISURC), inoltre, bandisce dal 2017 un concorso per soli titoli che prevede borse di studio, posti alloggio e contributi per mobilità internazionale che include la partecipazione a studenti stranieri, studenti apolidi o rifugiati politici. A partire dal secondo anno accademico, è richiesto un requisito di merito per accedere alla borsa regionale.

Attualmente risiedono in Italia 131 mila persone che negli anni hanno ricevuto protezione internazionale secondo i dati dell’associazione Carta di Roma. Permettere a queste persone di realizzarsi attraverso lo studio è una sfida per tutti.

Dalla parte di chi non parte: l’esperienza di UNINETTUNO

"Università per i Rifugiati" è un progetto realizzato dall’Università telematica internazionale UNINETTUNO per permettere ai rifugiati di tutto il mondo di collegarsi a un portale accademico (accessibile in cinque lingue) per pianificare e proseguire gli studi superiori.

«Fino a oggi 15.380 rifugiati hanno scaricato la nostra app gratuita per l’apprendimento della lingua italiana sui loro cellulari, 783 rifugiati si sono iscritti al portale University for Refugees per utilizzare i vari servizi offerti, e 93 di loro hanno usufruito delle borse di studio per l’accesso ai Corsi di Laurea di UNINETTUNO», sono i dati presentati dal rettore Maria Amata Garito. «Per quanto riguarda gli iscritti, per la maggioranza si tratta di uomini (93%), tra i 18 e i 34 anni (90%), provenienti da 28 Paesi diversi (Afghanistan, Arabia Saudita, Bielorussia, Burundi, Camerun, Costa D’avorio, Eritrea, Gabon, Gambia, Giordania, Guinea, Honduras, Libia, Mali, Niger, Nigeria, Pakistan, Palestina, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo , Russia, Senegal, Siria, Somalia, Togo, Turchia, Ucraina, Uganda). Gli studenti risiedono nei centri di accoglienza di Arabia Saudita, Benin, Camerun, Germania, Ghana, Italia, Libano, Ruanda, Turchia».

L’intenzione è quella di rendere l’e-learning uno strumento attivo di cooperazione che permetta di frequentare e raggiungere il traguardo della laurea da qualsiasi parte del mondo. In attesa si consenta al più presto un porto sicuro per tutti quei cervelli che sperano di sbarcare, oltre che di riuscire a fuggire.

 


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