fbpx Covid-19: distanziamento sociale e diritti | Scienza in rete

Covid-19: distanziamento sociale e diritti

Primary tabs

L'Italia è stata colta impreparata dall'epidemia di Covid e ha reagito come poteva, facendo scattare i dispositivi di una quarantena di massa tramite decreti. Ora è importante che il distanziamento sociale avvenga il più possibile per una consapevole scelta dei cittadini. L'epidemiologo britannico Roy Anderson, per esempio, ha sottolineato che un'efficace prevenzione del contagio deve passare dalla responsabilizzazione dei comportamenti individuali più che da misure coercitive. Considerazioni simili sono state avanzate anche da giuristi americani, che sulla rivista JAMA hanno ricordato che “I poteri obbligatori in materia di salute pubblica devono essere valutati e giustificati secondo uno standard legale ed etico comune, tra cui (1) gli individui devono presentare un rischio significativo di diffusione di una malattia pericolosa e infettiva; (2) gli interventi devono essere suscettibili di migliorare i rischi; (3) sono necessari i mezzi meno restrittivi necessari per raggiungere gli obiettivi di salute pubblica; (4) l'uso della coercizione deve essere proporzionato al rischio; e (5) le valutazioni devono essere basate sulle migliori prove scientifiche disponibili. Nelle crisi emergenti quando la scienza è incerta, l'adozione del "principio di precauzione" è ragionevole per garantire la sicurezza pubblica. Tuttavia, le emergenze sanitarie non giustificano una coercizione indiscriminata, eccessiva, o senza un supporto probatorio”. Sarà molto istruttivo osservare come si comporteranno nelle prossime settimane gli altri paesi quando verranno investiti a loro volta dall'ondata di nuovi casi (come la risposta multifase britannica discussa in questi giorni). Riteniamo quindi utile stimolare un dibattito libero sui diritti e le garanzie in tempi pandemici. (Luca Carra, Roberto Satolli).
Immagine: 
Giorgio De Chirico, Piazza d'Italia.

Tempo di lettura: 9 mins

Tra il 19 e il 21 di febbraio 2020 scoppia in Italia il caso “Covid-19”: il primo paziente italiano affetto da Covid-19, recatosi più volte all’ospedale di Codogno, induce alla ricerca del paziente zero, con presunti contatti con la Cina. L’idea sottostante in quella fase era che il virus fosse appena “arrivato” in Italia e che il contagio scaturisse da contatti diretti con le aree affette della Cina. Interpretato in tal senso, la risposta sanitaria è stata quella di eseguire tamponi a una popolazione correlata con il paziente affetto, ossia con una popolazione di soggetti entrati in relazione in qualche misura con quest’ultimo. Dal calcolo del numero di pazienti infetti a partire dalle relazioni con il supposto paziente uno (lo zero non si è mai trovato) si è stimato il famoso parametro R0 pari a 2.5. Il parametro, derivato dai modelli SIR, definisce il rapporto tra la probabilità di transizione tra lo stato di Suscettibile e lo stato di Infetto a numeratore, o anche tasso di contagio, e la probabilità di transizione tra lo stato di Infetto e lo stato di Recuperato (o guarito) a denominatore. Maggiore è tale rapporto rispetto all’unità, maggiore è il tasso di propagazione del virus.

I modelli utilizzati, i numeri e la strategia di campionamento

Alcune considerazioni sul modello SIR:

  • È un modello deterministico che studia le dinamiche delle epidemie nelle condizioni limite (ossia per grandi popolazioni e per un tempo che va all’infinito).
  • È un modello aggregato che non tiene assolutamente in considerazione le condizioni individuali né per definire il grado di suscettibilità al contagio né per definire il tasso di guarigione.
  • È un modello che considera le transizioni tra fasi non solo esogene a caratteristiche individuali ma anche esogene alle variabili stesse del modello, ossia come parametri.

Si tratta quindi davvero del modello appropriato per darci delle stime attendibili sulla diffusione del virus? Lo sarebbe sotto due condizioni:

  • Gli effetti, in termini di letalità (numero di morti/numero di infetti) si manifestano indistintamente in tutte le classi della popolazione, ossia non vi sono fattori idiosincratici che influiscono sulla letalità del virus.
  • Non si sviluppano immunità al contagio e dunque lo stock di infetti non influisce sul processo di immunizzazione.

Sappiamo tuttavia che entrambe le condizioni non riguardano Covid-19: i dati dell’OMS ci dicono chiaramente che la letalità (1) è molto più alta in una specifica fetta della popolazione, che aumenta con l’età e con la presenza di malattie pregresse (la prima analisi dei dati sulla prima serie di mortalità da parte dell’Istituto Superiore di Sanità indicava un’età media di 81 anni, i due terzi dei quali in condizioni critiche per altre malattie presenti). Il paziente uno di 38 anni rappresenta più un caso limite che la norma in termini di decorso della malattia. Inoltre, è stato riscontrato che dal virus ci si immunizza.

Data la violazione di entrambe le condizioni, ciò che si richiederebbe sono modelli che non guardino a effetti medi, ma a effetti differenziati in termini di propagazione. Inoltre, occorre tenere in considerazione che il tasso del contagio, seppur aumenta con l’interazione, si abbassa con la diffusione per via dell’immunizzazione. Considerare quindi come parametrica la probabilità di contagio è una semplificazione non da poco che può portare a fraintendimenti. (2) All’inizio ogni processo di diffusione appare esponenziale ma l’analisi statistica deve riguardare proprio la ricerca del punto di flesso, ossia quando il processo rallenta e la sua variazione tende a zero.

I numeri degli infetti in Italia risultano per ora largamente superiori agli altri paesi europei, tuttavia ciò è il risultato di una diversa strategia di rilevazione. In Lombardia si è seguito un processo di campionamento correlato, con l’idea che l’epidemia fosse agli inizi e che fosse possibile ricostruire la storia del contagio. Tuttavia, i sequenziamenti del genoma ci hanno detto che il virus è entrato in circolazione in Italia ben prima di febbraio, ipotizzando addirittura novembre 2019 come prima fase. Si ricordi che a Piacenza in dicembre sono state riscontrate polmoniti atipiche per un alto numero di pazienti, molti dei quali hanno rivelato poi anticorpi al virus. Per dare numeri attendibili sul tasso di contagio occorrerebbe una strategia di campionamento casuale e non correlato, altrimenti si continua a riprodurre mispercezione della realtà.

Pertanto, domande come “Siamo nella fase del picco di contagio?”, vista l’attuale strategia di campionamento, sono di difficile risposta. L’unica certezza è che siamo nella fase del picco della rilevazione (sull’assenza di certezze scientifiche sullo stato della diffusione si veda anche l’articolo di Vineis e Saracci). A Codogno dal 10 marzo si è registrato un rallentamento dei contagi: tanti sostengono che ciò derivi dall’effetto della zona rossa, tuttavia si è 1) cambiata la strategia di campionamento, somministrando il tampone solo a pazienti con sintomi; 2) data la permanenza del virus e dei contagiati, anche il numero di immunizzati è aumentato.

Zone rosse e operazioni di controllo sociale

La reazione politica all’emergenza sanitaria è stata dapprima l’istituzione di zone rosse in focolai specifici, poi estese alla Lombardia e altre 14 province, e infine, per contenere i flussi dal Nord al Sud, all’intero paese ed evitare di imporre pressioni sul sistema sanitario del Sud Italia, che non sarebbe assolutamente in grado di reggere. Le libertà individuali e collettive, le libertà di movimento, di circolazione e di aggregazione di 60 milioni di persone sono state limitate e ridotte al punto da poter incorrere a pene carcerarie in caso di trasgressione. Negli stessi provvedimenti, a proposito di carcere, si pongono limitazioni alle visite dei carcerati, provvedimento di un’iniquità fuori misura: si sarebbe potuto ben operare con mascherine ed eventuali telefoni cellulari, se non ancor meglio, ridurre il sovraffollamento con trasferimenti e riduzioni di pene (si veda l’indulto in Iran). L’effetto netto sono state le rivolte in carceri stremate e sovraffollate di detenuti, in larga parte giovani migranti, registrando 7 morti per presunta overdose (probabilmente non sarebbero morti di Covid-19).(3)

Occorre capire come queste misure stiano trasferendo un problema di assistenza sanitaria sull’intera collettività mettendo in atto un’operazione di controllo sociale che fa il paio con i regimi autoritari (che ad onor del vero, insieme alle restrizioni individuali hanno anche messo in atto una strategia di potenziamento straordinario dei punti di primo soccorso), e che perfino negli Stati Uniti in epoca trumpiana sarebbero considerati anticostituzionali se venissero applicati. Una strategia apparentemente diversa per contenere il contagio è stata inoltre seguita dalla Corea del Sud, che ha fatto ricorso a test di massa e all'uso di tecnologie piuttosto che a lockdown indiscriminati.

Dopo più di un decennio di tagli al sistema sanitario, il contenimento degli iscritti a medicina e infermieristica, il continuo drenaggio di risorse pubbliche per pagare le convenzioni sanitarie regionali, il sistema sanitario italiano è sicuramente sotto pressione in questa emergenza (probabilmente anche come capacità presente e futura di risposta da parte delle terapie intensive rispetto a paesi come la Germania). A fronte di questa situazione, nessuno dei provvedimenti del Governo ha imposto finora alle strutture sanitarie private lombarde di accogliere gli infetti, benché alcuni centri come il San Raffele e l’Humanitas in Lombardia lo stiano facendo.(4) Si noti che la letteratura medica  enfatizza come l’insufficienza respiratoria sia la seconda causa, mentre le polmoniti la settima, per ricoveri da Pronto Soccorso. Allo stesso tempo “I tagli degli ultimi anni sono stati non puntuali ma lineari, quindi possiamo considerare nell’area medica, dal 2000 al 2013, una riduzione del 24% dei posti letto, parallelamente alla loro aumentata necessità se si ricoverano sempre più pazienti anziani” implicando pertanto una riduzione in tutti i reparti.(5)

La preoccupazione collettiva è chiaramente volta anche verso la questione economica: queste misure di contenimento stanno producendo una recessione severissima, che nonostante lo stimolo fiscale avrà ripercussioni molto gravi, facendo deflagrare un sistema produttivo già in profonda crisi.

Oltre che della crisi economica urge rendersi conto della crisi sociale e del costo che è stato imposto a un’intera collettività. La strategia di risposta messa in atto dal governo, anche alla rincorsa di spinte regionali, ha posto dapprima delle limitazioni alle interazioni individuali e sembra adesso gradualmente intervenire sui posti di terapia intensiva (250 nuovi posti letto sarebbero previsti in Lombardia nei prossimi sei giorni). Ciò forse perché convinti del fatto che se non si abbassasse il tasso di contagio anche il potenziamento dei posti letti non sarebbe una misura sufficiente. Tuttavia, data la severità delle restrizioni occorre che le misure di isolamento generalizzato siano assolutamente accoppiate a  i) provvedimenti d’urgenza per il settore sanitario, imponendo la ricezione delle strutture private, a ospedali militari laddove non mobilitati, ii) al superamento delle gare d’appalto per il potenziamento delle terapie intensive, creando anche dei punti di primo soccorso capillari e non esclusivi per le aree del Nord, iii) all’integrazione delle strategie di campionamento di tutte le regioni, con lo svolgimento di campionamenti casuali, integrando i sistemi informativi e permettendo un monitoraggio centralizzato per capire le storie cliniche dei pazienti affetti (si veda intervista a Walter Ricciardi che spiega come l’ISS possa avere accesso alle cartelle cliniche solo mandando i NAS).

L’epidemia sta mostrando chiaramente come il nostro sistema sanitario sia al limite e necessiti di investimenti straordinari e ordinari in grado di riportare la spesa sanitaria almeno ai livelli precrisi 2008. Oltre a questo, però, la risposta del Governo si sta trasformando in un preoccupante esperimento di ridefinizione degli spazi di agire individuali e collettivi che andranno attentamente monitorati e il più possibile salvaguardati. Altrimenti il rischio potrebbe essere quello di ingessare il sistema produttivo, ridisegnare le relazioni collettive e le opportunità di interazioni, e non ottenere l’obiettivo del trattamento sanitario adeguato per chi lo necessita. Ciò si richiede anche per rendere credibili e sopportabili dalla collettività le misure imposte, che altrimenti potrebbero essere recepite come troppo limitanti.

Note
1. La nozione di letalità è differente da quella di mortalità definita come il rapporto tra numero di morti (infetti) sul totale della popolazione.
2. Modelli matematici che endogenizzano le probabilità di transizione di stato condizionando a caratterisitiche individuali sono presenti in letteratura. Si veda ad esempio  il filone di ricerca della teoria cinetica delle particelle attive (https://link.springer.com/book/10.1007%2F978-3-319-57436-3)
3. A tali iniquità fanno il paio quelle dei trattamenti differenziati sulle condizioni di lavoro: un’altra amara lezione che l’epidemia ci sta insegnado è come la separazione dei diritti del lavoro, tra dipendenti pubblici, dipendenti privati, autonomi e partite IVA diventa ingestibile e ancor meno tollerabile in condizioni di emergenza sanitaria. Gli scioperi nel settore della manifattura sono chiaramente motivati dall’incomprensibile assenza di provvedimenti di tutela, ad esempio l’alleggerimento dei turni di lavoro per garantire gli s turni meno congestionati) a parità di salario. Ci sono negoziazioni in atto in tal senso ma occorre che vi sia un piano organico al livello paese. 
4. Il Piano straordinario della regione Lombardia prevede ad oggi soltanto degli accordi più o meno volontaristici di fornitura di  posti letto “in prestito” con le tre associazioni responasbili Aiop (Associazione italiana ospedalità privata), Aris (Associazione religiosa istituti socio-sanitari) e Assolombarda.
5. https://www.insalutenews.it/in-salute/wp-content/uploads/2018/11/Il-sovr...

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Why science cannot prove the existence of God

The demonstration of God's existence on scientific and mathematical grounds is a topic that, after captivating thinkers like Anselm and Gödel, reappears in the recent book by Bolloré and Bonnassies. However, the book makes a completely inadequate use of science and falls into the logical error common to all arguments in support of so-called "intelligent design."

In the image: detail from *The Creation of Adam* by Michelangelo. Credits: Wikimedia Commons. License: public domain

The demonstration of God's existence on rational grounds is a subject tackled by intellectual giants, from Anselm of Canterbury to Gödel, including Thomas Aquinas, Descartes, Leibniz, and Kant. However, as is well known, these arguments are not conclusive. It is not surprising, then, that this old problem, evidently poorly posed, periodically resurfaces.