Le misure di contenimento dell'epidemia di Covid-19 pongono un apparente conflitto tra il bene pubblico e quello privato: vale la pena tracciare un quadro etico che descriva il contesto nel quale s'inserisce questa situazione - e dare alcune note alle azioni che lo Stato deve mettere in atto.
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Non un momento facile da digerire, specie per chi dei diritti individuali ha sempre fatto bandiera (più o meno veritiera, più o meno ipocrita). Da un lato, lo Stato che impone restrizioni quali quarantena e isolamento; dall’altro, l’individuo che vuole esercitare la sua autonomia, muoversi liberamente, continuare la sua quotidianità. Non facile da digerire, specie per chi è ancora sano o pensa di essere sano.
Vi sono alcuni punti da considerare relativamente a questo apparente conflitto fra bene pubblico e bene privato. Molti di noi ne sono a conoscenza, altri forse un po’ meno ed è per rinforzare la memoria dei primi e rinfocolare la consapevolezza dei secondi che ha senso tracciare il quadro etico entro cui la situazione che stiamo vivendo si inquadra, anche perché vi è, e vi è stato, un vivido dibattito internazionale su di essa e anche perché quando parliamo di diritti dimentichiamo quasi sempre che ci sono i doveri.
Innanzi tutto, quando si afferma che lo Stato ha il diritto/dovere di attuare politiche di restrizione delle libertà individuali, si dovrebbe distinguere la prospettiva giuridica da quella morale. Non voglio, tuttavia, trattare la prima perché fuori dalle mie competenze e su questa faccenda troppi parlano al di fuori delle loro competenze. Nondimeno chi avesse qualche curiosità in merito, potrebbe giovarsi della riflessione che potrebbe scaturire dalla (ri)lettura dei “Siracusa Principles on the Limitation and Derogation of Provisions in the International Covenant on Civil and Political Rights”, redatti a cura della American Association for the International Commission of Jurists che, nel 1984, riunì a Siracusa 31 esperti a livello internazionale (e a quanto ne so, non vi erano italiani).
Limitiamoci dunque alla prospettiva etica. Penso che oramai più o meno tutti abbiamo acquisito il fatto che un discorso etico corretto che introduca i diritti non può fermarsi a un “Io ho il diritto di …”. Questo non è avere una posizione etica di tipo liberale ma è l’affermazione di uno slogan che di etico ha ben poco e che vale più in un bar o in uno dei pessimi talk show che ammorbano la televisione italiana che non in un dibattito pubblico ben costruito. Un diritto deve essere giustificato, altrimenti è solo un gridio che non dovrebbe essere ascoltato. Inoltre, un diritto, quasi sempre, ha come controparte un dovere, sia da parte di colui che proclama il primo sia da parte di terzi. E questo non dovrebbe mai essere dimenticato, anche se – a dire il vero - non è poi cosa banalissima sbrogliare la relazione diritti-doveri. Comunque sia, la giustificazione di un diritto e il riconoscimento dell’eventuale dovere relato sono le uniche vie per trasformare il chiacchiericcio falsamente liberale in una corretta etica liberale, che poi non è nemmeno l’unica (esiste anche un’etica deontologica, un’etica consequenzialista, un’etica comunitarista ecc.). Ma fermiamoci a quella.
L’idea che il bene della collettività, in certi casi, debba precedere il bene dell’individuo è affermata esplicitamente da uno dei padri nobili del pensiero liberale, ossia da J. Stuart Mill. Questi, nel Cap. III di “On liberty”, scrive quello che poi è conosciuto come Principio del Danno:
The liberty of the individual must be thus far limited; he must not make himself a nuisance to other people
E la cui controparte pubblica si chiarisce meglio in un altro famoso passo (siamo nel Cap. I):
That the only purpose for which power can be rightfully exercised over any member of a civilised community, against his will, is to prevent harm to others. His own good, either physical or moral, is not a sufficient warrant
Siamo consapevoli che il fatto che lo dica Mill non è una buona giustificazione o una giustificazione sufficiente. Tuttavia è piuttosto plausibile accettare tale posizione sulla base della semplice constatazione che il vivere in società comporta che dobbiamo qualcosa anche all’altro da noi, il quale avrà una sua autonomia e una sua libertà, esattamente come io ho la mia autonomia e la mia libertà. Ma entrambi abbiamo il dovere di permettere la mutua autonomia e la mutua libertà: io ho il diritto di manifestare la mia e il dovere di non danneggiare la tua; tu hai il diritto di manifestare la tua e il dovere di non danneggiare la mia.
Veniamo alla quarantena e all’isolamento, peraltro da sempre praticati per fermare o rallentare il contagio, anche se questa evidenza storica non può affatto essere pensata come una giustificazione della loro implementazione.
Cominciamo però a ricordare che i medici hanno la responsabilità morale, seguente la scelta della loro professione, di occuparsi della salute dei singoli individui. Ma essi hanno pure la responsabilità morale, sempre seguente la scelta della loro professione, della salute della collettività, suggerendo – se esperti del settore - la possibilità di quarantena e isolamento qualora si ravvisino necessarie. Accanto a ciò, hanno pure la responsabilità morale di salvaguardare la propria salute individuale pure al fine di continuare il loro lavoro di cura verso chi soffre o potrebbe soffrire. Questo significa che non sono obbligati a (e nessuno può chiedere loro) azioni supererogatorie, ossia azioni benefiche nei confronti di terzi che comportano sacrifici non contemplati né contemplabili dalla usuale deontologia professionale.
Non tutti fra loro hanno, ovviamente, la responsabilità e il dovere di suggerire quarantena e isolamento. In realtà solo coloro che ne hanno la competenza (epidemiologi, virologi, chi si occupa di sanità pubblica ecc.) e solo quando riscontrano vi sia un’evidenza scientificamente giustificata che mostra che vi è un pericoloso contagio da persona a persona e che le azioni contenitive servano all’abbisogna. Ed è lo Stato, attraverso i suoi organi centrali e periferici, che, recependo la raccomandazione in tal senso dalla comunità scientifica che ne ha la competenza, ha il ruolo morale (oltre che giuridico, ma questa è – come detto – un’altra questione) di mettere in atto tali azioni di contenimento.
Quarantena e isolamento hanno un peso per il singolo individuo in termini di limitazioni della sua autonomia e della sua libertà. Il confinamento comporta restrizioni sociali (non si può far visita ad amici e parenti, praticare sport collettivi, andare a lavorare ecc.), economiche (le attività rallentano o si fermano, i negozi e i ristoranti chiudono, ecc.), psicologiche (dovute alla costrizione a rimanere in un luogo chiuso e piccolo, all’impossibilità di rivedere un figlio, un genitore, il partner ecc.). Ma non solo. Vi può pure essere una diminuzione della privacy. Per esempio, sempre in base al principio milliano di cui sopra, collezionare dati sensibili relativi al contagio anche senza consenso individuale è moralmente lecito, se questa raccolta può essere utile per capire e attuare politiche di arresto o contenimento del contagio stesso.
Lo Stato, anche se moralmente giustificato, dovrebbe, però, essere ben consapevole di questi pesi che impone al singolo e che il singolo deve sopportare ed ecco che, se ben funzionante – come appare essere in certi frangenti quello italiano -, dovrebbe garantire specifiche azioni in modo giusto, continuativo e armonico su tutto il territorio nazionale. Quando si parla di “azioni giuste” si intende che essere devono essere uguali quando sono rivolte a uguali e diverse quando sono rivolte a diversi, ossia – per esempio - tutti coloro che non hanno fragilità dovute a disabilità, età, patologie dovrebbero essere trattati in modo uguale ma diverso da coloro che hanno tali fragilità, che comunque dovrebbero essere trattati in modo fra loro diverso in funzione del tipo di fragilità. Ma non solo, un’azione giusta è anche un’azione che in caso di risorse scarse è sottoposta a forme di triage, per quanto terribili esse possano essere.
Quando si parla di “azioni continuative”, si intende che non possono essere frammentate nel tempo ma che devono essere reiterate senza soluzione di continuità finché ve ne è necessità (sempre sancita da chi è competente e non da politici che si arrogano tale potere).
Infine quando si parla di “azioni armoniche” si intende che devono essere le stesse laddove le situazioni medico-sanitarie sono le stesse e diverse laddove le situazioni medico-sanitarie sono diverse, e questo su tutto il territorio nazionale (anche se in casi di pandemia dovrebbe essere a livello sovranazionale) e sempre deciso da chi è competente e in modo coordinato e centralizzato: una regione, un comune non possono decidere di agire come pensano meglio; il cittadino italiano ha gli stessi diritti e doveri in qualunque zona d’Italia abiti e lo Stato deve garantire l’armonia spaziale delle sue azioni.
E fra le azioni che uno Stato funzionante dovrebbe mettere in campo in modo giusto, continuativo e armonico su tutto il territorio nazionale sicuramente vi sono
- azioni volte a fornire assistenza medica sia curativa sia preventiva a tutti i cittadini
- azioni volte a garantire beni di prima necessità a tutti i cittadini
- azioni volte a provvedere un sostegno economico diretto (per esempio, elargendo denaro) o indiretto (per esempio, procrastinando date per versamenti di oneri ecc.) a tutti i cittadini che per causa della quarantena e dell’isolamento hanno avuto una perdita
- azioni volte a comunicare ciò che sta accadendo in modo univoco, perspicuo e scientificamente corretto
- azioni volte a creare forme di sostegno psico-sociale per alleviare quarantena e isolamento
Una nota sul punto 4), ossia sulla comunicazione, dato che spesso si invoca fallacemente la libertà di espressione. Da un lato, vi dovrebbe essere lo Stato che dovrebbe garantire una comunicazione atta a eliminare possibili equivoci e false notizie e che si pone come unica fonte autoritativa, sempre però specificando qual è la sorgente di quanto comunicato. L’esplicitare “chi lo dice” è fondamentale in situazioni del genere. Il cittadino deve sapere che esistono fonti autorevoli e fonti che autorevoli non lo sono affatto e deve sapere quali siano le fonti che lo Stato considera autorevoli.
Certo, in molti casi esiste un dibattito scientifico, e questo deve essere riferito, e deve essere riferito correttamente, ma mai dovrebbe essere oggetto di un talk show televisivo cui partecipano pure dilettanti del pensiero e incompetenti. Questo, oltre a essere immorale, diminuisce l’autorevolezza degli eventuali esperti che vi partecipano e genera solo confusione in un pubblico che non ha i corretti strumenti critici per interpretare quello che sta avvenendo e che si sta dicendo (ecco il motivo dell’immoralità). Non è corretto che a 10 talk show diversi partecipino 10 “esperti” diversi che dicono cose anche leggermente diverse e che ne discutano con soubrette, cantanti, personaggi dall’ego ipertrofico e in presenza di conduttori che non hanno la minima idea di che si sta parlando ma che desiderano solo aumentare l’audience (ecco il motivo dell’immoralità).
Dall’altro lato, in questi frangenti, vi dovrebbe essere la capacità da parte dei mezzi di comunicazione di autolimitarsi nel promuovere fake news, o asserzioni da parte di incompetenti o di persone che per problemi di ego vogliono apparire affermando stoltezze scientifiche. Anzi, a ben pensarci, in questi frangenti, si dovrebbe applicare quanto sopra menzionato. Ossia, sarei dell’idea che se i mezzi di comunicazione non hanno la capacità di autolimitarsi nel promuovere fake news o asserzioni di incompetenti o di individui con l’ego malato, lo Stato ha il dovere di intervenire stigmatizzando quella comunicazione fallace, censurandola e penalizzandola anche fino alla chiusura della trasmissione o del giornale che ne sono veicoli.
Qui non si tratta di limitare la libertà di espressione, ma si tratta di applicare il Principio del Danno di Mill: tu hai la libertà di comunicare quello che vuoi, ma quando questa tua falsa e scorretta comunicazione crea un danno alla cittadinanza (il che è immorale), allora deve essere limitata e lo Stato ha il dovere morale di imporre tale limitazione.
Un ultimo punto. Nelle "Lettere a Lucilio”, Seneca parla dell’humanum officium, ossia dei doveri degli uomini nei confronti degli altri uomini. Il vivere in società ci dà un’enorme quantità di benefici, ma la vita sociale comporta regole, ossia limitazioni alla libertà individuale, ossia doveri. Ed è questo che dobbiamo capire: abbiamo doveri! E fra questi abbiamo il dovere della solidarietà, che non solo è menzionato nella nostra Costituzione (art. 2), ma che deve essere pensato come atteggiamento del tutto diverso dall’altruismo e dalla carità. Nella situazione che stiamo vivendo tale dovere della solidarietà si particolarizza anche nel dovere di accettare la quarantena e l’isolamento, ossia nel dovere di rimanere a casa.
Per finire, io ricorderei pure il dovere, di chi può farlo, di silenziare la comunicazione distorta che ci viene ammannita da molti, troppi, giornali e talk show televisivi.