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AVIGAN e le terapie a furor di popolo

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Un video su YouTube, una proposta che non trova nessun riscontro in letteratura scientifica e, per dirla con le parole di De Andrè, una freccia che "come dall'arco scocca, vola veloce di bocca in bocca". Ma gli scienziati, che sono conservatori, si fidano ancora del metodo scientifico...
Crediti immagine: Christian Trick/Pixabay. Licenza: Pixabay License

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Ci risiamo! Sembra un sequel del caso Stamina, quando 3 milioni di euro furono destinati per una sperimentazione, mai partita, intesa a provare quello che gli scienziati sapevano e dicevano, cioè che non era una cura. Cambia il contenuto ma non il metodo. Nell’emergenza e nella paura viene spontaneo smanettare o agitarsi o ignorare le regole e le buone pratiche, per cui i richiami al metodo scientifico cadono inascoltati e nelle società/economie fondate sulla conoscenza paradossalmente la mentalità tribale torna in auge. Con qualche dubbio in più per la salute pubblica, visto che il nuovo farmaco in sperimentazione potrebbe rischiare di diffondere ceppi del virus mutati più pericolosi di quello attuale.

Dal nulla, in un sabato di marzo, arriva la soluzione alla pandemia mondiale: non dall’OMS o da una prestigiosa università, ma da YouTube. Non da un virologo ma da un appassionato di videogame che annuncia con assoluta sicurezza che lui conosce la verità. Esiste un farmaco che cura il 90% dei casi di coronavirus, tanto che in Giappone “si sono resi conto che funziona alla grande”. Con ovvi riferimenti a complotti e a un presunto ruolo dell’agenzia regolatoria nazionale e della burocrazia italiana nel privarci di questo farmaco miracoloso. Per finire con una chiamata alle armi: gli italiani dovrebbero chiedere “a gran voce” al governo di avere l’Avigan per risollevarsi come hanno fatto i giapponesi.

Gli scienziati e l’AIFA stessa intervengono per cercare di smontare l’entusiasmo serpeggiante, facendo notare che si tratta di un farmaco già noto, non autorizzato né in Europa né negli USA, di cui non esistono dati convincenti relativi alla sua efficacia e sicurezza, tanto che i virologi italiani lo avevano escluso per concentrarsi su sperimentazioni con altri farmaci molto più promettenti. In un Paese normale la questione sarebbe finita qui. Ma l’Italia, evidentemente, non è un Paese normale e ancora una volta la politica interviene a gamba tesa sulle istituzioni per imporre decisioni scientifiche prese per acclamazione via whatsapp da una giuria popolare senza nessuna competenza in materia.

Per dirla con il compianto Faber, la notizia “come una freccia dall’alto scocca, vola veloce di bocca in bocca” e arriva all’orecchio di certi opinionisti, che capiscono di medicina come noi di fisica quantistica, che, approfittando della loro popolarità, cercano persino di convincere chi di medicina ne capisce e affermano accalorati di avere le prove che funziona. Quali sarebbero? Il video in questione naturalmente! Sulla scorta di cotante prove ben tre governatori prontamente obbediscono alla chiamata alle armi, confermando la tendenza già data per assodata qualche mese fa da un noto politico: i medici ormai sono inutili, perché la gente si cura su internet. E da lì a pretendere il farmaco il passo è brevissimo.

Poco importa che gli unici dati disponibili su Pubmed ne mettano in dubbio l’efficacia (cioè che funzioni) per molte malattie virali, non solo Covid-19. Poco importa che manchino in letteratura anche le prove di sicurezza (cioè che non provochi più danni che benefici). Poco importa se persino l’azienda che lo produce sottolinea perplessa la scarsità dei dati disponibili. Poco importa che invece altri farmaci stiano dando risultanti incoraggianti, promettenti anche se non definitivi. Poco importa che, date la mancanza di prove di efficacia e sicurezza e la certezza di teratogenicità, l’impiego del farmaco sia stato scartato in Sud Corea (la nazione che forse sta affrontando meglio e con più freddezza l’emergenza pandemica). Così come non importa se tra i pericoli concreti di questo inibitore della RNA polimerasi virale ci sia quello di far mutare il virus in un ceppo molto più aggressivo e pericoloso di quello esistente, effetto non presente con altri farmaci antivirali in sperimentazione, come è stato spiegato sul blog Cattivi Scienziati.

Se lo dicono i social, i tuttologi presuntuosi, onnipresenti, beceramente urlanti e drammaticamente ignoranti, i videogamisti, è evidente che il farmaco funziona! Anzi, per acclamazione è da considerare il famaco d’elezione per il trattamento di Covid-19.

Nel frattempo, scienziati di tutto il mondo continuano ad analizzare i dati che provengono dagli infettivologi e dagli intensivisti in trincea per aggiornare continuamente linee guida e protocolli di trattamento, per cercare di iniziare le sperimentazioni più promettenti e salvare più vite possibile. Affiancati dalla buona stampa che, insieme alle istituzioni, si affanna a smontare, una per una, le varie fake news che circolano sui social, contrapponendo il sacrosanto metodo scientifico alla scienza fai da te.

Quello che atterrisce, come nel caso di Stamina e delle varie terapie anticancro proposte nel passato, è che questo tsunami di incompetenza riesca a convincere i politici e a indurre stimate agenzie come l’AIFA o le Istituzioni del Paese ad approvare sperimentazioni non già richieste dai vari virologi e clinici che questi farmaci (Avigan incluso) li conoscono bene e che stanno combattendo per noi. Qui non stiamo contestando il farmaco specifico quanto la procedura che lo starebbe portando in una sperimentazione che, capiamo bene, priverebbe molti pazienti di altri farmaci attualmente molto più promettenti. Ed è su questa base che AIFA non dovrebbe alle pressioni e approvare una sperimentazione fondata sulle attuali conoscenze.

Noi scienziati siamo conservatori e ci fidiamo ancora del metodo scientifico. Tanto che quando saremo usciti da questa emergenza sarebbe importante analizzare e ridiscutere (numeri alla mano) l’andamento delle campagne vaccinali e le conseguenze che derivano da una scarsa propensione della popolazione ai vaccini, anche presso le categorie a rischio, che portano le complicanze di una malattia come l’influenza stagionale ad avere dati per certi aspetti paragonabili a quelli di Covid-19. E a liberarci finalmente dei no-vax. Dei tuttologi, temiamo, non ci libereremo mai.

 


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