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Pasquale Ferrante: cronache di Covid da un ospedale di Milano

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I farmaci impiegati per la terapia, le principali difficoltà gestionali, le prospettive sui tamponi... Luca Carra intervista Pasquale Ferrante, virologo dell'Istituto Clinico Città Studi.

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L’Istituto Clinico Città Studi, a Milano, è un ospedale privato accreditato dietro l’angolo rispetto alla redazione di Scienza in rete. Credo che se dovessi ammalarmi potrei andarci a piedi a farmi ricoverare. Nei giorni scorsi ci sono passato davanti e c’era un discreto via vai di ambulanze. Anche questo ospedale di zona è stato prontamente trasformato in presidio Covid-19. Anche nel suo pronto soccorso sono ridotti al minimo le persone con malanni che non siano riconducibli a febbre, tosse e polmoniti conclamate. Inevitabile quindi partire da qui nel nostro giro di ospedali. Anche perché a dirigerlo c’è un noto virologo, docente all’Università statale di Milano e buon conoscitore del coronavirus. È Pasquale Ferrante, che vestito come un astronauta ma con amabilità irpina (è originario di Bagnoli Irpino) trova un momento per parlarmi.

L'ospedale che lei dirige è in prima linea per contenere l'urto di Covid. Come la state gestendo? Con quali difficoltà?

Ormai siamo a tutti gli effetti un Ospedale Covid, dedicando a questi pazienti fino al 90% dei posti letti disponibili e triplicando la disponibilità di letti di terapia intensiva, da 4 a 12. Abbiamo vissuto una fase di drammatica carenza di ossigeno per i pazienti, che abbiamo superato installando un grande serbatoio mobile supplementare e questo problema è al momento risolto. Come tutti gli ospedali Covid abbiamo ora una carenza di operatori sanitari, in quanto diversi nostri medici, infermieri e altri operatori si sono ammalati, ma per fortuna abbiamo la disponibilità di tutto il personale sanitario a riconvertirsi in esperti di questa patologia.

Si dice che gli ospedali siano una delle fonti di contagio. Qual è la sua sensazione?

Il rischio c’è stato soprattutto nelle fasi iniziali quando, per carenza generalizzata di protezioni per il personale, si visitavano i pazienti senza o con pochi sintomi senza visiere e mascherine. Ora però in tutti gli ospedali abbiamo il materiale necessario, sia per i medici sia per i pazienti. Il problema riguarda soprattutto il personale sanitario, la cui percentuale di infetti è molto alta. In seguito ad accordi tra governo e organizzazioni dei lavoratori si è deciso da poco tempo di monitorare l'andamento dell'infezione negli operatori sanitari con l'esecuzione diffusa di tamponi faringei per la ricerca del virus. Il personale viene riammesso in servizio solo dopo essere risultato negativo a due tamponi consecutivi a distanza di qualche giorno. Un’altra misura è stata anche quella di separare chiaramente locali e percorsi Covid e non Covid.

Restando un attimo sui test, ora c’è chi propone di fare test sierologici per individuare gli immuni, che così potrebbero tornare in circolazione. La ritiene una prospettiva già perseguibile?

La maggioranza delle infezioni virali, con l'esclusione di quelle latenti o persistenti, si conclude con l'eliminazione dei virus dall'organismo infettato e con la formazione di una risposta immunitaria composta da anticorpi e cellule immunocompetenti. La ricerca degli anticorpi antivirali ha essenzialmente due obiettivi: fare diagnosi e stabilire la presenza di una protezione contro il virus coinvolto. Per quanto riguarda Covid-19, c'è molta attenzione da parte degli esperti e della popolazione in genere verso uno strumento che possa stabilire se una persona è immune o meno. Allo stato attuale ci sono già in commercio diversi kit per la rilevazione di questi anticorpi contro il nuovo coronavirus. Però non ci sono ancora studi approfonditi e ben condotti riguardo alla loro sensibilità e specificità e soprattutto sul significato degli anticorpi che vengono misurati, in particolare se questi anticorpi hanno davvero la capacità di proteggere dall'infezione da parte dell'agente eziologico della Covid-19.

Lei pensa che una eventuale immunità acquisita per via naturale possa durare abbastanza per rimettere in circolazione le persone?

Allo stato attuale non è stata segnalata la capacità di variabilità antigenica dei coronavirus e quindi si può ragionevolmente pensare che come per molti altri virus anche in questo caso l'immunità naturale sia efficace e duratura. Ma ripeto: la misurazione dell'immunità da anticorpi dovrà essere fatta con test validati a questo scopo.

Quanto tempo ci vorrà ancora per immaginare una “patente di immunità”, come è stata chiamata?

Fra un mese o poco più credo che queste informazioni scientifiche saranno disponibili e sarà possibile utilizzare questo strumento.

In ospedale quali sono i problemi e le richieste più impellenti?

Auspichiamo la possibilità di ricevere rinforzi di personale e di farmaci e, a proposito di questi ultimi, chiediamo che tutti i farmaci il cui utilizzo viene pubblicizzato dalle televisioni e dai giornali, siano resi disponibili anche a un ospedale come il nostro, che è privato ma che non ha esitato a gettarsi a capofitto contro questa terribile pandemia che sta uccidendo tanti italiani.

Quali farmaci utilizzate al momento?

Dalla comprensibile confusione dei primi momenti ci siamo allineati a quanto suggerisce l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), le società scientifiche e le pubblicazioni più accreditate. Utilizziamo con buoni risultati idrossiclorochina, che ha anche un effetto antinfiammatorio. Talvolta a fare danni nei malati ancora più del virus è la potente reazione immunitaria (la cosiddetta tempesta di citochine) che si scatena nel loro organismo. Vi sono vari studi, a partire dal primo cinese, che suggeriscono una certa efficacia di questo farmaco. Con la stessa logica si usa anche un anticorpo monoclonale come Tocilizumab, di cui noi però al momento abbiamo poche dosi. Usiamo poi l’antibiotico Azitromicina per proteggere dalle possibili infezioni batteriche.

C’è poi la combinazione dei farmaci anti-retrovirali usati in passato contro l’HIV (Lopinavir e Ritonavir), che noi somministriamo perchè suggeriti dalla stessa AIFA, anche se uno studio importante del New England Journal of Medicine non ha trovato risultati apprezzabili.

Poi usiamo su quasi tutti i pazienti 4.000 o 8000 unità di Enoxaparina due volte al giorno. Sembrerà strano, ma è utile per prevenire i microemboli che si possono formare nei polmoni durante la Covid-19.

Quali pazienti arrivano in questi giorni al vostro pronto soccorso?

Stiamo registrando negli ultimi giorni una diminuzione di arrivi al pronto soccorso di persone con sintomi chiari di Covid e un aumento di arrivi anche di persone più giovani sospetti Covid o con altre malattie. Peraltro il nostro ospedale non ha mai interrotto del tutto inteventi acuti come perforazioni intestinali, peritoniti e appendiciti acute e fratture di femore, che purtroppo non diminuiscono in tempi di pandemia. Ma la riduzione di arrivi al PS di casi di Covid-19 ci fa ben sperare.

Quindi possiamo rilassarci?

Per niente! Dobbiamo insistere con le misure di quarantena in atto ancora per molto tempo. Ci rilasseremo a tempo debito.

 

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