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Albert Einstein e l'arte

Tempo di lettura: 14 mins

L’immaginazione è più importante della conoscenza. La conoscenza è limitata. L’immaginazione abbraccia il mondo.
Albert Einstein (1929)

Einstein. Un personaggio universale, uno scienziato straordinario. Sulle sue opere e sulla sua vita sono stati versati fiumi di inchiostro e digitati migliaia di gigabyte: un mare di informazioni forse più vasto del suo immenso archivio, custodito presso la Hebrew University di Gerusalemme.

Una frazione non trascurabile delle affermazioni attribuite a questo personaggio leggendario non corrisponde fedelmente al suo pensiero; inoltre, come suol dirsi, tradurre (ad esempio dal tedesco all’inglese e poi dall’inglese all’italiano) è un po’ tradire. Per ridurre il rischio di propinare inesattezze ho attinto quasi esclusivamente a due fonti autorevoli e affidabili, nelle quali ogni citazione è inquadrata nel suo contesto con accuratezza notarile (v. i primi due riferimenti in Bibliografia).

Per Einstein,

Kant è una sorta di strada con tante, davvero tante pietre miliari. E allora tutti i cagnolini arrivano e depongono il suo contributo su queste pietre

Questa metafora, riferita al grande filosofo e forse, in prospettiva, anche a se stesso, potrebbe essere interpretata come un velato invito al rispetto della riservatezza. Una riprova?

La mia vita è una cosa semplice che non interesserebbe a nessuno. È un fatto noto che io sono nato è questo è tutto ciò che è necessario

Il pensiero di Einstein

Comunque, siamo irretiti nell’era orwelliana del “grande fratello” e dei social. E il Quotable che compare nel titolo del primo riferimento in Bibliografia mi esorta a metabolizzare alcune delle considerazioni di Einstein e a deporle senza scrupoli sulle pagine che seguono.

Negli scritti di Einstein è possibile sia ravvisare una moderata correlazione dell’arte col suo pensiero scientifico sia registrare una forte influenza della musica sulla sua vita. Per Einstein “Tutte le religioni, l’arte e le scienze sono rami di uno stesso albero”. E quest’albero è rappresentato dal pensiero. Lo si deduce da tante sue affermazioni, ad esempio:

... l’essenziale, nell’esistenza di un uomo come me, è costituito soprattutto da ciò che egli pensa e da come egli pensa, non già da ciò che egli fa o subisce

Una misura della forza del pensiero di Einstein è fornita dalla relatività generale, forse la più importante tra le sue creazioni. Di questa teoria, sconvolgente e coinvolgente è la previsione secondo cui lo spazio, ossia il campo gravitazionale, può vibrare. Il pensiero, davvero rivoluzionario, del nostro spazio che vibra – e che, sia pure impercettibilmente, fa vibrare anche noi che nello spazio siamo immersi – contagiò come un virus le centinaia di fisici e ingegneri che per oltre mezzo secolo si sono impegnati nella verifica sperimentale dell’esistenza delle onde gravitazionali. Una tenacia premiata, un secolo dopo la formulazione della teoria, con la registrazione del collasso di due buchi neri: una catastrofe terrificante verificatasi in pochi decimi di secondo a una distanza spazio-temporale di oltre un miliardo di anni luce e registrata il 14 settembre 2015. Eppure lo stesso Einstein dubitava sulla possibilità di realizzare una strumentazione dotata di una sensibilità sufficiente per rilevare i debolissimi segnali associati alle onde gravitazionali: a detta del grande cosmologo Stephen Hawking, Einstein non credeva nell’esistenza dei buchi neri, il cui collasso, a distanze fortunatamente astronomiche, costituisce una delle poche sorgenti di onde gravitazionali sufficientemente potenti per produrre nell’intero universo un fremito dello spazio-tempo.

A sinistra, Franco Grignani, Trauma spaziale, 1965 (cortesia di Daniela Grignani). A destra, due buchi neri coalescono sprigionando le onde gravitazionali registrate il 14 settembre 2015, cinquant’anni dopo l’intuizione dell’artista (immagine a cura di Luigi Cocchiarella tratta dal video-notizia dell’immane trauma spazio-temporale)

Torniamo all’albero del pensiero. Tralasciando le religioni, che secondo Einstein degenerano spesso in pretesti per l’innesco di guerre e per l’esplosione di violenze, ci focalizziamo sul ramo dell’arte, con un occhio di riguardo sul rapporto tra arte e scienza.

Einstein e il rapporto tra arte e scienza

Einstein usava raramente la parola arte, eppure poneva l’arte ai vertici della creatività e dell’attività dell’uomo. Egli nutriva una grande stima per Albert Abraham Michelson, che dedicò la sua vita alla misura della velocità della luce e col suo interferometro mostrò, in collaborazione con E.W. Morley, che la luce viaggia con velocità costante, svincolata dal movimento del sistema di riferimento. In occasione del centenario della nascita di Michelson (1952), Einstein esprimeva così l’ammirazione per questo personaggio:

Io penso sempre a Michelson come a un artista nella scienza. La sua più grande gioia sembrava derivare dalla bellezza dell’esperimento e dall’eleganza del metodo impiegato1

Per Einstein non era né bello né elegante un fatto: che il passaggio da un sistema di riferimento a un altro sistema di riferimento in moto rettilineo uniforme rispetto al primo, potesse essere descritto da due operazioni matematiche formalmente diverse: le trasformazioni di Galilei per i fenomeni meccanici e le trasformazioni di Nendrik Anton Lorentz per i fenomeni elettromagnetici. Fu verosimilmente un’esigenza estetica che indusse Einstein, affascinato dalla semplicità, a formulare la teoria unificante della Relatività Ristretta, secondo la quale le trasformazioni di Lorentz si applicano anche ai fenomeni meccanici. È con questa immagine che Einstein esprime la sua stima per Lorentz:

Una meraviglia di intelligenza e squisita sensibilità. Un’opera d’arte vivente!
(1911)

Con non minore entusiasmo Einstein apprezza l’opera geniale di Niels Bohr:

[che Bohr abbia fatto] la scoperta delle principali leggi delle righe spettrali e dei gusci degli elettroni atomici unitamente al loro significato per la chimica appare a me come un miracolo …. Questa è la più alta forma di musicalità nella sfera del pensiero

Soltanto in un paio di circostanze Einstein cita la scultura e le arti figurative. Eppure, come accenneremo più avanti, verosimilmente le sue opere scientifiche hanno influenzato importanti movimenti dell’arte visiva sviluppatisi in Europa all’inizio del secolo scorso.

Einstein e la musica

Molto intenso è invece il rapporto di Albert Einstein con la musica:

Se io non fossi un fisico, sarei probabilmente un musicista. Io vedo la mia vita in termini di musica …. Nella mia vita traggo il maggior godimento dal mio violino

Qui di seguito ulteriori conferme. In una lettera a Hans Albert, il suo figliolo allora undicenne (marzo 1915), spicca, tra altri consigli:

… Non trascurare il tuo piano, mio Adn, tu non sai quanto piacere puoi dare agli altri, come pure a te stesso, quando puoi suonare piacevolmente la musica

Successivamente, nel novembre dello stesso anno:

… Al piano, suona soprattutto i pezzi che ti piacciono anche se il tuo maestro non te li assegna. Tu impari meglio da quelle cose che così tanto ti piace fare che neanche ti accorgi che il tempo sta passando. Spesso sono tanto assorbito dal mio lavoro che dimentico perfino di andare a mangiare

L’anno dopo:

sono molto contento che il piano ti piaccia così tanto. Ne ho anch’io uno nel mio appartamentino, e lo suono ogni giorno. Suono anche il violino. Forse potresti impratichirti nell’accompagnamento del violino, così possiamo suonare a Pasqua, quando stiamo insieme

Albert amava il violino. Tuttavia, ormai avanti negli anni, il tempo dedicato alla musica è assorbito dal piano:

il piano si presta assai più del violino all’improvvisazione, anche per suonare da solo, e io suono il piano ogni giorno. Inoltre adesso sarebbe per me fisicamente troppo faticoso suonare il violino

Albert, dunque, prediligeva la musica. È spontaneo chiedersi percné. Per azzardare una risposta appare utile analizzare il suo pensiero sulla natura della scienza e dell’arte. Prendiamo allora ancora spunto dalle sue parole:

Là dove il mondo cessa di essere lo scenario dei nostri desideri e delle speranze personali. Là dove lo affrontiamo come esseri liberi ammirandolo, interrogandolo e osservandolo, allora entriamo nel mondo dell’arte e della scienza. Facciamo scienza quando ricostruiamo nel linguaggio della logica ciò che abbiamo visto e sperimentato, e facciamo arte quando comunichiamo tramite forme le cui connessioni non sono accessibili alla mente cosciente eppure intuitivamente attribuiamo loro qualcosa di significativo
(1921)

Con riferimento, in particolare, alla scienza: “Tutta la scienza non è altro che un affinamento del pensiero comune”, un affinamento finalizzato a formulare, privilegiando la semplicità e la precisione, concetti che vanno correlati in un quadro logicamente coerente: concetti i quali si fondano su esperienze sensoriali eventualmente potenziate e arricchite grazie a strumenti vieppiù raffinati e sensibili2.

Torniamo dunque alle forme e alle connessioni che caratterizzano l’opera d’arte. Consideriamo in particolare la musica classica, in quanto Einstein non nascondeva che “La mia conoscenza della musica moderna è molto limitata”. Spiccata era la sua preferenza sia per Mozart (“La musica di Mozart è così pura e bella che io la vedo come una riflessione della bellezza interiore dell’universo”) sia per Bach: “Questo è ciò che devo dire sulla vita e sul lavoro di Bach: ascoltalo, suonalo, amalo, rispettalo e tieni chiusa la bocca”).

Perché tanto amore per Bach? Una congettura

Dal canto mio ascolto, m’impegno nel suonare, rispetto e adoro Bach. Ma non posso tener chiusa la bocca, non posso astenermi dal proporre ai miei 34 lettori di condividere una riflessione sulla struttura della musica di Bach, una musica che, a mio avviso, ancora più fedelmente di quella di Mozart riflette la ‘bellezza interiore dell’universo’.

Infatti, così come avviene per le strutture e le creature naturali, il linguaggio della musica di Bach è ricco di forme simmetriche e di riduzioni o cambiamenti della simmetria.

Forme simmetriche – riflessioni, glisso-riflessioni, centri di inversione – abbondano nelle frasi delle composizioni di Bach; emblematica è l’intera composizione palindroma il Canone del gambero nella Offerta Musicale, che può essere ascoltata indifferentemente dal principio alla fine oppure, retrocedendo; dalla fine al principio. Le sue fughe, nelle quali l’idea tematica, per inseguir sé stessa, sé stessa fugge lungo lo spartito, si basano sulla simmetria traslazionale (guarda caso, la simmetria traslazionale nella fisica implica – e nell’arte evoca – una velocità costante).

E ancora. Così come avviene nelle strutture naturali – sia nelle trasformazioni di fase all’equilibrio (ad esempio l’acqua che cristallizza in fiocchi di neve) sia nelle instabilità dinamiche di sistemi allontanati dall’equilibrio (si pensi ad esempio al Giant’s Causeway nel Nord-Est dell’Irlanda, un mega-cristallo di giganteschi prismi in prevalenza esagonali, formatosi presumibilmente a partire da una massa fluida incandescente durante una potente eruzione vulcanica) – nella musica di Bach il passaggio da una frase alla successiva s’identifica con uno stato critico caratterizzato da un cambiamento della simmetria: è, questo, uno stato carico di ambiguità, in corrispondenza del quale nella mente di chi ascolta si sovrappongono la memoria della frase precedente e l’immagine della frase che segue: due stati incompatibili la cui collaborazione/competizione può ingenerare catartiche tensioni emotive.

Riduzioni della simmetria si susseguono anche nelle sue “Variazioni”. Insomma, viene in mente un antico aforisma zen, “La bellezza è una deliberata, parziale rottura di simmetria”.

Un altro motivo della predilezione di Einstein per la musica classica? La precisione matematico-fisica che ne caratterizza la struttura non ha eguali nelle altre arti. Del resto già nel 1712 Leibnitz scriveva che “la musica è un nascosto esercizio di aritmetica della mente, di una mente che non sa di contare”. Per inciso, può apparire strano che tanta precisione nella musica, in particolare nella musica di Bach, possa conciliarsi con l’ampio spazio che essa dischiude all’immaginazione di chi ascolta. Ma tanto strano non è: nella fisica quantistica, quanto più precisa è la misura della posizione di una particella tanto più indeterminata è la velocità che l’atto stesso della misura le impartisce.

Veniamo ora alle connessioni tra le forme, soffermandoci oltre che sull’organizzazione strutturale delle note che si allineano nelle melodie dello spartito, anche sulle connessioni che non sono accessibili alla mente cosciente. A differenza delle stridenti sovrapposizioni degli strilli nei talk show televisivi, nei civilissimi dialoghi tra le Due Voci o le Tre Voci delle “Invenzioni” di Bach le connessioni espletano in sinergia due funzioni: durante un ascolto verticale le connessioni tra le voci melodiche configurano l’armonia, durante un ascolto orizzontale esse impegnano inconsciamente la mente in un gioco di selezioni tra le voci stesse. Un gioco dinamico, quest’ultimo, che ricorda il principio di sovrapposizione della meccanica quantistica e i possibili stati in cui la ‘funzione d’onda’ (mentale) può statisticamente inconsciamente scegliere di collassare.

Si dirà: ognuno ascolta il suo concerto. Ma nel caso della musica il numero di connessioni che la mente inconsciamente può attivare è assai limitato. Anche questo fatto concorre a liberare l’immaginazione, assecondata dalla precisione cui tanto si atteneva Einstein nella sua produzione scientifica.

Ascoltando alcuni rari passi delle composizioni di Bach la mente è portata inconsciamente a connettere e identificare due significati tra loro incompatibili, compressi in una sola stringa melodica di note. Ciò accade ad esempio nel Preludio della “Partita III per violino solo in Mi maggiore” di J. S. Bach, BWV 1006, a partire dalla diciassettesima battuta.

Dalla battuta 17 alla battuta 43 del Preludio della “Partita III per violino solo in Mi maggiore” di J. S. Bach, BWV 1006

Nessuno potrà mai verificarlo, ma è quasi certo che Einstein, con almeno uno dei suoi dieci violini, si è esercitato più volte a suonare questa Partita con velocità diverse, nell’intento di attivare mentalmente l’alternanza bi-melodica insita nella stringa lineare delle note. Un’alternanza che ricorda da vicino la successione di inversioni prospettiche attivata mentalmente durante la percezione dinamica del cubo di Necker (1832) – antesignano delle immagini ambigue dell’arte cinetica – oppure della classica immagine vaso-profili utilizzata nella sua tesi universitaria dallo psicologo Edgard Rubini che, guarda caso, fu compagno di studi di Niel Boh. Un’alternanza che ricorda anche, su scala atomica, il tunneling quantistico di una particella che attraversa periodicamente la barriera della doppia buca di potenziale in cui la particella è intrappolata.

In alto, il cubo di necker; in basso, la classica immagine ambigua vaso-profili. I due possibili modi di percepire questa immagine si combinano additivamente secondo una modalità che ricorda da vicino il principio di sovrapposizione degli stati quantistici

In definitiva, guidato dall’ascolto della musica (di Bach), il pensiero uditivo comune corre sul crinale dell’ambiguità, in uno stato critico in cui confluiscono le simmetrie strutturali del ritmo e delle frasi e il menù delle possibili connessioni melodiche: tra le frasi o addirittura, come si diceva, in casi rari all’interno della singola frase.

Einsten e il futurismo

E ora, un’ultima riflessione, circoscritta all’impatto che presumibilmente l’opera di Einstein ebbe sull’arte visiva del primo Novecento. Nel 1905, l’annus mirabilis della relatività ristretta, Einstein scardinava la visione galileiana dello spazio assoluto e del tempo assoluto facendo leva, oltre che sulla costanza della velocità della luce in ogni sistema di riferimento, sull’invarianza della distanza tra due ‘punti-evento’ nella metrica quadridimensionale dello spazio-tempo introdotta da Hermann Minkowski.

L’anno dopo, nel 1906, Pablo Picasso, con “Les Damoiselles d’Avignon” spaccava in blocchi adiacenti lo spazio classico e dava l’avvio al movimento del Cubismo. In un contesto in cui l’invenzione del cinema (1895) aveva polarizzato l’attenzione della gente sulle spettacolari rappresentazioni delle immagini-movimento, fu verosimilmente incisiva l’influenza che la nuova concezione einsteiniana ebbe sulla pittura del primo Novecento.

Col “Manifesto del Futurismo” (1909) la velocità e il tempo irrompono nello spazio della tela:

Lo Spazio e il Tempo morirono ieri

Questa affermazione di Filippo Tommaso Marinetti e dei suoi rivoluzionari compagni riecheggia l’incipit dell’ultima conferenza tenuta da Hermann Minkowski nel dicembre 1908 alla 80th Assembly of German Natural Scientists and Physicians:

... Lo spazio di per sé e il tempo di per sé sprofonderanno in mera ombra e soltanto una sorta di unione tra loro sopravvivrà

Non posso abusare ulteriormente dell’attenzione di chi sia arrivato a leggere fin qui: il cagnolino di Giacomo Balla, col velocissimo movimento della coda evocato dalla simmetria ‘traslazionale’ mostra di non poter più resistere al bisogno di scappare a deporre questo omaggio ad Albert Einstein sulla (n+1)-esima pietra miliare della sua strada.

Giacomo Balla, Dinamismo di un cane al guinzaglio, 1912. Crediti: Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 4.0

 
Note
1. Mi sia consentito di trarre spunto da questo elogio di Einstein per segnalare che Michelson, nel 1902, così aveva scritto: “I venture to predict that in the not very distant future there may be a color art analogous to the art of sound – a color music”. In effetti la previsione di Michelson si è avverata. Ad esempio, nel qui è presentato un autoritratto policromo de "Il canto degli italiani”. Il video dell’Inno di Mameli è stato realizzato da Giuseppe Caglioti in collaborazione con Giovanni D’Angelo, Claudio Pirovano, Marco Giola, Marco Marcon, Goran Ramme e Tatiana Tchouvileva nell’ambito del Progetto Musicolor, co-finanziato dal Politecnico di Milano. La color music preconizzata da Michelson utilizza un cromo-fonoscopio analogico il cui funzionamento si basa sul fatto che come una bolla di sapone al sole, assottigliandosi sotto l’azione della gravità si irida, per interferenza, dei colori dell’arcobaleno, così un film ipomicrometrico surfattante illuminato da una luce bianca, per effetto dell’azione congiunta della gravità e della pressione della musica e/o della voce si deforma localmente, e riflette i raggi colorati in direzioni controllate dal suono.
2. Un esempio indicativo dell’incredibile sensibilità raggiunta dalla moderna strumentazione è offerto proprio dalla registrazione delle onde gravitazionali: gli interferometri laser, tra loro distanti migliaia di chilometri, che hanno segnalato in coincidenza temporale il verificarsi di quella immane perturbazione cosmica, sono stati attivati da segnali inimmaginabilmente deboli: basti pensare che l’aliquota di energia gravitazionale che nel settembre 2015 investì l’intero territorio italiano ammonta a circa 250 Joule, grosso modo pari all’energia spesa per salire su un autobus.
Bibliografia
The Ultimate Quotable EINSTEIN, Collected and edited by Alice Calaprice – prefazione di Freeman Dyson, Princeton University Press and The Hebrew University of Jerusalem, 2011
Albert Einstein – Opere scelte, a cura di Enrico Bellone. Bollati Boringhieri. Torino, 1988
 
Albert Abraham Michelson, Light Waves and Their Uses, University of Chicago Press (1902)
Giuseppe Caglioti e Tatiana Tchouvileva, Progetto Musicolor – il cromo-fonoscopio analogico e le sue possibili applicazioni, Istituto Lombardo, Rendiconti Scienze, 140, 107-112 (2006)
Giorgio Benedek and Giuseppe Caglioti, Graphics and Quantum Mechanics—The Necker Cube as a Quantum-like Two-Level System, in L. Cocchiarella (Ed.), "ICGG 2018—Proceedings of the 18th International Conference on Geometry and Graphics", series Advances in Intelligent Systems and Computing, 809, Vol.1, Springer International Publishing AG part of Springer Nature 2019, pp. 161–172
Giuseppe Caglioti con Tatiana Tchouvileva e Luigi Cocchiarella, ODI et AMO – dalle ambiguità percettive al pensiero quantistico, prefazione di Giorgio Benedek, Mimesis Edizioni, 2020 (in pubblicazione)

 


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