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La pandemia non è hegeliana, ma darwiniana

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La discussione sulla pandemia in corso sembra ispirata, come gran parte delle discussioni pubbliche su fatti di cui si capisce poco, a una tradizione molto importante e molto fuorviante del pensiero occidentale, espressa con formidabile efficacia dal buon Hegel: ciò che è razionale è reale e ciò che è reale è razionale. Peccato che tale credenza o idea sia falsa in generale, e pericolosa da usare nel merito di un’emergenza come quella in corso. Perché se ci si autoinganna sui determinanti di quello che percepiamo soggettivamente e rileviamo scientificamente, e che poi i filosofi pretendono a posteriori di aver capito meglio, si rischia di sbagliare in maniera sistematica, lastricando con false aspettative e fallaci giudizi una serie di vie che tutte irrimediabilmente portano dritte all’inferno. La realtà, come ci sta illustrando nella fattispecie in discussione il comportamento del virus e quello umano, che cerca di ridurre i danni o assumere il controllo, non è razionale, né irrazionale, né una costruzione sociale, né complessa, etc.… è “darwiniana”. Punto. 

La rimozione delle malattie infettive

Durante gli ultimi decenni di vita, il microbiologo e premio Nobel Joshua Lederberg, morto nel 2008, predicava a ogni occasione il concetto che i virus emergenti (quelli zoonotici, che passano da altri animali all’uomo) rappresentano la più grave minaccia per il futuro dell’umanità, e che non siamo culturalmente preparati ad affrontarli. Infatti, malgrado quel che si andava scoprendo negli anni Novanta sulle dinamiche di diffusione di Hiv, Ebola, Marburgo, Dengue, etc., l’epidemiologia delle malattie infettive, nonché i medici che si occupavano di infezioni, per Lederberg, erano l’ultimo “rifugio della teoria della creazione speciale”. I ragionamenti prevalenti su SARS-CoV-2 mostrano che quella condizione non è cambiata.

Quando si ascoltano epidemiologi, virologi, medici, matematici, storici, filosofi, etc, raccontare e provare a spiegare quel che sta accadendo o che ci si aspetta che accada nel caso della pandemia da SARS-CoV-2, si è portati a pensare che lo sfondo teorico dei ragionamenti e alcune tesi espresse siano inficiate di pseudoscienza. Perché se si dice che facendo scendere R0 sotto a 1, si arriverà progressivamente al contagio zero, all’interruzione della trasmissione, alla soppressione dell’infezione, etc. si raccontano balle. Spacciandole per scienza, in quanto escono dalla bocca di scienziati. Ergo, si fa della pseudoscienza. La teoria darwiniana dell’evoluzione non contempla simili sbocchi. In altre parole, se ha ragione Darwin ci stiamo raccontando anche qualche favola, mentre se quel che viene prefigurato come “vittoria sul virus”, “soppressione dell’infezione”, etc. dovesse accadere, allora Darwin aveva torto. Quel che il darwinismo prevede è una dinamica evolutiva per quanto riguarda il  rapporto tra la nostra specie e il virus, i cui esiti non sono predicibili e fluttueranno, come già sta accadendo con i ritorni di fiamma in Asia, per motivi che poco hanno a che vedere con le modalità di intervenire sulla trasmissione, che variano da paese a paese.

Lo scenario evolutivo della pandemia

Forse perché la teoria darwiniana è controintuitiva, o perché l’epistemologia delle scienze mediche è andata incontro storicamente, per motivi pratici, a un’evoluzione che non premia le capacità esplicative che siano al di là del cerchio delle cause prossime, tutte le discussioni scientifiche e tutti gli interventi in corso prescindono dal fatto che siamo di fronte a una serie di dinamiche biologiche selezioniste, che sono descritte o maneggiate come se lo scenario fosse piuttosto di natura fissista e rispondesse a una logica essenzialista. Per esempio, si crede o si lascia credere nelle conferenze stampa televisive, in molte interviste e in numerosi articoli dai cosiddette esperti che il “distanziamento sociale”, come si dice usando un aggettivo sbagliato, porterà appunto all’estinzione della trasmissione: in realtà si sta solo aspettando che meno persone muoiano o finiscano all’ospedale, per attenuare le misure di restrizione. Ma siccome il contagio zero è impossibile da raggiungere, come i più competenti sanno anche senza essere passati per Darwin, si discetta già in realtà di quante persone immuni o meno a rischio si potranno liberare progressivamente dalla prigionia casalinga per tenere basso il contagio.

La realtà è che questo virus è qui per restare fra noi, e ci farà danzare (come prevede il report dell’Imperial College) nei prossimi anni a ritmi che non conosciamo. Che nessuno è in grado di prevedere.

Cosa sanno gli epidemiologi di evoluzione?

Dai primi anni Novanta, è stata prodotta una letteratura importante sull’epidemiologia evoluzionistica, che evidentemente gli epidemiologi di sanità pubblica, i medici, etc. non hanno mai compulsato. Il principio che ispira questi studi è che l’evoluzione sanitaria delle epidemie e pandemie è controllata dalla selezione naturale reciproca tra agente infettivo e patogeno. Ignoriamo per comodità gli effetti che potrebbe avere il virus sulla struttura genetica della popolazione (nella fattispecie e nello scenario più catastrofico se ne dovrà discutere tra qualche decina di generazioni). Di fatto, ogni parassita funziona come insieme di popolazioni distribuite geograficamente, dove prevalgono localmente i fenotipi che si replicano più efficacemente stante la condizione fisiologica degli ospiti. I virus non sono atomi, ognuno identico agli altri come sembra implicito nelle discussioni e come assumono la maggior parte dei modelli matematici, Da questo punto di vista, la replicazione del parassita dipende dalle variazioni genetiche in competizione, dalle reazioni biologiche (immunitarie in primis) e dai comportamenti dell’ospite (anche indotti dal virus), nonché dalle misure sanitarie (anche queste in parte condizionate dal virus): le popolazioni virali evolveranno sulla base di caratteristiche come virulenza, infettività, patogenicità, etc. che risultino le più vantaggiose riproduttivamente. La selezione naturale non premia chi è più forte, più debole, più veloce, etc.: è il mero risultato della riproduzione/replicazione differenziale.

L'RNA è ballerino e noi dobbiamo adattarci

Quello che viene trascurato nelle discussioni è che i virus a RNA evolvono molto rapidamente in quanto mutano con elevata frequenza (elevatissima quando mancano di procedure di correzione del genoma, come nel caso del virus dell’influenza) , dando luogo a sub- e quasi-specie caratterizzate da differenti profili genetico-molecolari che si esprimo negli ospiti, che sono a loro geneticamente e per fase del ciclo di vita (bambini, adolescenti, adulti, anziani, etc) unici, con maggiore, minore o nessuna malattia. A seconda delle pressioni selettive o in ragione del caso, prevarranno localmente ceppi con diversi livelli di virulenza o con diversi tassi di riproduzione. Tra l’altro, contro i coronavirus la sfida di ottenere vaccini dovrà fare i contri proprio con l’elevato tasso di mutazioni del parassita e con il fenomeno del potenziamento della malattia da parte del vaccino che sembra interessare le risposte immunitarie al coronavirus.  Esiste poi il fenomeno dei cosiddetti predator-like strain, cioè ceppi che in alcuni contesti possono prevalere su quelli più benigni perché favoriti dal tasso di trasmissione. Un’ipotesi usata per spiegare l’origine del ceppo di Spagnola  (H1N1) o di P. falciparum per la malaria. Sussistono sul pianeta diversi ecosistemi umani, ad elevata densità di persone e privi di misure igienico-sanitarie, che potrebbero favore ceppi predatori di Sars-CoV-2.

Dunque, lo scenario è quello di un grandioso evento darwiniano. La popolazione umana e quelle di altri mammiferi consentono, attraverso un recettore specifico (ACE2) al virus di entrare nelle cellule e di dar luogo a un’evoluzione replicativa nell’ospite, dal quale escono ed entrano in continuazione particelle virali mutate, ovvero quelle più efficienti nel trasmettersi e moltiplicarsi. I meccanismi di circolazione possono anche cambiare, stante che esistono certamente serbatoi animali e che il virus potrebbe affacciarsi alla porta ematica e con i tempi dell’evoluzione potrebbe anche trovare un insetto vettore che lo trasmette: si possono immaginare scenari da incubo ma l’evoluzione dipende molto dai vincoli.  

La selezione di anticorpi e cervelli nel grande scenario darwiniano

A questa ampia circolazione del virus che avviene sotto la guida del caso e della selezione naturale, all’interno dell’ospite avviene un altro processo darwiniano che è strategico evolutivamente, cioè la selezione clonale dei linfociti che rispondono al parassita. Il sistema immunitario, infatti, funziona sulla base di una logica darwiniana, come sappiamo almeno dal 1960 circa. Quindi, quando si discute di risposta anticorpale, di memoria immunitaria, di vaccini, etc. si ragiona, anche se non viene mai esplicitato, in un orizzonte di processi darwiniani. Si potrebbe aggiungere a tutto questo che il nostro comportamento, in particolare memoria e apprendimento, nel cervello è il prodotto di processi neurali controllati, come per il sistema immunitario, da una logica darwiniana: lo hanno spiegato bene Gerald Edelman e Jean Pierre Changeux. Insomma, quello che impareremo dalla battaglia in corso, sarà il risultato di ipotesi, aspettative ed esperienze che saranno selezionate, nell’attività continua dei nostri cervelli, mettendole alla prova e conservando quelle che risolveranno il problema che ci assilla.

C’è un che di “grandioso”, avrebbe detto Darwin, in questa immagine della pandemia. Sarebbe importante cogliere l’opportunità, tragica, di interrogarci sui rapporti tra parassiti e ospiti in un quadro scientifico-culturale un po’ più ampio della numerologia quotidiano, cioè per arricchire la cultura in generale di idee più utili e verosimili di quello normalmente utilizzate e che si ascoltano nella comunicazione e divulgazione. Il grande genetista Theodosius Dobzhansky ripeteva che “niente in biologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione”. Un detto che potrebbe essere così aggiornato: “niente in biologia, medicina e sanità pubblica (fermiamoci qui per ora) ha senso se non alla luce del pensiero darwiniano”.

 


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