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Ministro Boccia, ecco le nostre 10 “certezze”

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Isaac Cordal, Urban Nation Museum, Berlino 2017. Foto di Renata Tinini.

Tempo di lettura: 7 mins

Il ministro Francesco Boccia è stato subissato di critiche per aver chiesto agli scienziati di dare qualche certezza. Molti si sono improvvisati epistemologi per sfottere la fede del ministro nella capacità della scienza di dispensare verità.

In realtà Boccia ha ragione ed è tutt’altro che uno sprovveduto. Basta sostituire alla parola troppo impegnativa “certezza” (a cui la scienza punta senza quasi mai raggiungerla) la parola “consenso”.

Se ci pensate, è il lavoro che fa l’IPCC con i suoi mastodontici report sul cambiamento climatico. Fa passare al setaccio centinaia di migliaia di articoli a panel di esperti in diverse discipline per ricavarne affermazioni che vanno da “inequivocabile” a “estremamente probabile” e via via scendendo fino all’”estremamente improbabile”.

Sintesi simili vengono fatte in medicina (si pensi alle monografie IARC o alle revisioni Cochrane) e in molti altri campi.

Purtroppo manca ancora per Covid-19 un organismo di questo genere, che metta in fila le prove acquisite e dispensi le “certezze” chieste dal ministro. Eppure servirebbe creare un IPCP (International Panel of Covid Pandemic). Gli esperti ci sono, i lavori scientifici pure (vedi nella dashboard di Scienza in rete quanti sono, di cosa parlano e chi li ha scritti). Manca in effetti un meccanismo globale volto a produrre le risposte alle varie domande impellenti poste dalla società. Lo fanno singoli ricercatori volenterosi (si veda Paolo Vineis qua). Lo fa ovviamente l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che però non è nata per questo e ha anche molto altro da fare. Comunque, se il ministro permette, proviamo a elencare le nostre dieci certezze su Covid-19 ricavate dalla lettura giornalistica di alcune decine di lavori che ci sono capitati sottomano in questi due mesi. Anche noi useremo aggettivi e avverbi come probabile, improbabile, possibile, impossibile eccetera.

Igiene
Le misure igieniche sono importanti per diminuire il rischio di contagio. La misura più importante è lavare la mani. Basta (poco) sapone che sgrassandole toglie il terreno di coltura ai virus. L'OMS dice che le mani vanno lavate e asciugate per 40/60 secondi. Asciugare le mani è altrettanto, forse più, importante di lavarle. Il lavaggio delle mani in periodo di Covid ha fatto decuplicare le vendite di Glysolid per fermare la loro desquamazione. La seconda misura igienica più importante è cambiare aria, anche dirimpetto a strade inquinate. Per fermare Covid non serve lavare superfici con disinfettanti, non serve nemmeno pulire la casa, e non serve togliersi le scarpe sullo zerbino. L'uso di disinfettanti ha fatto aumentare i casi di avvelenamento soprattutto in età pediatrica registrati dai Centri antiveleni del paese. Quanto alle mascherine, vanno usate quelle certificate solo in luoghi chiusi o all'aperto in luoghi affollati e in prossimità di persone (meno di 5 metri).

Test sierologico per gli anticorpi
Serve per stabilire chi si è infettato e ha sviluppato una risposta immunitaria. Fino a prova contraria, dopo aver sviluppato gli anticorpi ed essere guariti dalla malattia, si è immuni. Probabilmente, come per altri coronavirus, l’immunità vale per un periodo di tempo limitato, che potrebbe aggirarsi su 1-2 anni. Non si può ancora escludere, ma è improbabile, che ci si possa reinfettare subito dopo essersi immunizzati. Quando la prevalenza dell’infezione nella popolazione è bassa (es 10%) il test non può servire per individuare chi è immune (vedi qua), ma è comunque molto utile per stimare quanti sono gli immuni nei diversi gruppi sottoposti a test.

Tamponi
Il tampone è un test molecolare che rileva direttamente il genoma virale. Se positivo, indica l’infezione in atto. E’ lo strumento al momento più sicuro per stabilire la prevalenza di infetti. Va usato per rispondere a domande precise. Per esempio: individuare e isolare casi e i loro contatti. Oppure: stabilire la prevalenza dell’infezione in una regione, ecc.

Vaccino
Il vaccino serve per creare una immunità nei sani perché non si ammalino. Non è facile metterlo a punto. Ci vorrà minimo un anno per averlo, poi andrà prodotto e distribuito. In sostanza rischia di arrivare a babbo morto. Per questo tale ricerca deve essere sostenuta dal pubblico, perché il privato non vuole rischiare da solo.

Farmaci
Non esistono farmaci specifici per Covid-19. Ci sono una ventina di molecole, antinfiammatori, antivirali, anticoagulanti ecc. che servono a mitigare la malattia ma non a risolverla. I trattamenti al momento più efficaci sono l’ossigeno per contrastare l’ipossia nel paziente grave e l’eparina per evitare la coagulopatia del polmone nel paziente grave.

Distanziamento sociale
Si usa almeno dal 430 avanti Cristo (peste di Atene) e funziona per rallentare la trasmissione delle infezioni. Non è l’”unico modo per fermare Covid”. Alcuni paesi hanno fermato la trasmissione del virus con distanziamenti mirati, rivolti a infetti, contatti e categorie a rischio (anziani) tempestivamente individuati mediante diagnostica e tracciatura, anche grazie ad applicazioni su smartphone. Questa forma di distanziamento selettivo è più gestibile da paesi colpiti in forma più lieve, con piani pandemici in funzione e con un più alto sviluppo scientifico-tecnologico.

Letalità
La letalità è il rapporto fra morti per Covid-19 e infetti. La letalità reale da Covid è nota solo per casi particolari di comunità piccole e chiuse per le quali sono certi sia il numero dei morti che quello degli infetti, come la nave Princess Diamond e in parte il comune di Vò. In queste condizioni la letalità risulta essere di un ordine di grandezza intermedio tra 1 per mille e 1 per cento. Letalità apparentemente superiori a 1 per cento possono essere frutto di due fattori: la conoscenza incompleta del denominatore (infetti) e una eventuale sovramortalità dovuta a fattori locali (errori di gestione clinica o organizzativa, sottopopolazioni ad alto rischio per sesso, età, condizioni patologiche associate).

Inquinamento dell’aria
L’inquinamento peggiora le prognosi delle polmoniti da Covid, ma molto meno del fumo.

Dati
Per chi deve decidere in corso di epidemia, la disponibilità di dati affidabili, completi, tempestivi e analizzabili è di importanza vitale, ancor più che la disponibilità di letti di terapia intensiva per chi deve curare. Per stimare l'andamento del contagio (prevalenza) dovrebbero essere subito organizzati (ed essere già stati previsti dai protocolli di preparedness) studi trasversali periodici su campioni dell'intera popolazione con test diagnostici di infezione o di risposta anticorpale. Per stimare l'andamento dei morti, oltre alla conta dei contagiati dovrebbero essere già attivi, prima dell'epidemia, sistemi di sorveglianza della mortalità generale su campioni rappresentativi dei comuni. Tutti questi dati dovrebbero essere di qualità verificabile, senza omissioni, messi a disposizione attraverso "cruscotti" aggiornabili in tempo reale, in formato utilizzabile per ulteriori analisi e in forma grafica facilmente comprensibile anche dai non addetti.

Morte
La morte è un processo biologico complesso, multifattoriale, difficilmente imputabile a una singola causa, soprattutto nelle fasi avanzate della vita: i morti Covid hanno un’età mediana di 80 anni, praticamente identica a quelli dei morti non Covid, e un’elevatissima prevalenza di comorbilità. Il fenomeno della morte presenta un andamento ciclico circa-annuale, con variazioni anche cospicue di intensità in alcune stagioni (eccesso o difetto di mortalità rispetto all’atteso) che si distribuiscono nel tempo e nello spazio in maniera apparentemente casuale, anche in corso di epidemie virali come l’attuale. La causa di morte è un concetto fuzzy poco informativo (vedi differenti criteri di codifica nei paesi europei). Più utile per ragionare sull’impatto di una epidemia è il tasso di mortalità generale. Per stimare invece il costo umano ed economico della mortalità su una società è meglio usare gli anni di vita perduti piuttosto che il numero dei morti. Questo valore per Covid è al momento ignoto ma - riferendosi prevalentemente a una popolazione di anziani fragili - potrebbe alla fine non risultare in eccesso rispetto agli anni passati.

 

Risposta del ministro Francesco Boccia

Carissimi,

vi ringrazio per le vostre precisazioni ma, consentite di farne qualcuna anche a me.

Ho già risposto a molti vostri colleghi sul punto, ma non mi stancherò mai di ribadirlo con forza: non ho mai preteso dalla scienza certezze inconfutabili in maniera generica o, addirittura, sul Covid-19 ma sui test sierologici; ho chiesto, e continuo a farlo, agli scienziati che hanno responsabilità nei comitati regionali, in quello nazionale, così come alle personalità autorevolissime che siedono nelle organizzazioni competenti parole nette e certezze inconfutabili sui test sierologici perché non è tollerabile il business milionario sulla pelle delle persone. Tutto qui.

Che i test vadano fatti per ricerca epidemiologica è chiaro a tutti; il Ministro della Salute, Roberto Speranza, ha emanato una circolare che lo consente, ma molte Regioni stanno invece autorizzando dei test che danno solo delle % di negatività. Io vorrei sapere se sono positivo o negativo al Coronavirus, non si può essere negativi all’80 o al 90% perché in quel caso potrei contagiare chi mi sta accanto. Già da settimane sul mercato ci sono dei test che costano da 40 a 70 euro e le persone iniziano ad acquistarli, convinti di poter conoscere la propria negatività al Covid19. Ci vuole molto nel dire con chiarezza che no, non sono attendibili? È questo che intendo quando chiedo alla scienza una parola chiara, sull’attendibilità dei test perché altrimenti alimentiamo un business sulle paure dei cittadini italiani.

Grazie per l’ospitalità.

Francesco Boccia

 


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