La gara indetta dal governo per i test sierologici è sta vinta dall'azienda Abbott, che ne fornirà un primo quantitativo gratuitamente. La Regione Lombardia ha deciso invece d'impiegare un kit diagnostico dell'italiana Diasorin che, oltre agli anticorpi totali, rileva la presenza di anticorpi neutralizzanti, ossia quelli che sono in grado non solo di riconoscere ma anche di bloccare il virus (sebbene la loro presenza non influenzi per forza l'andamento dell'infezione verso la risoluzione). La domanda sorge spontanea: perché non è stata scelto per un test nazionale il kit più completo, che oltre alla positività agli anticorpi può informare sullo stato di effettiva protezione per sé e per gli altri? L'opinione dell'immunologo Guido Poli del San Raffaele di Milano.
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Il 20 marzo ho scritto per questo giornale un articolo in cui sostenevo:
Ciò che servirebbe veramente per ottenere una fotografia corretta dello stato dell’infezione è un saggio basato sulla presenza di anticorpi specifici anti-SARS-CoV2 che rileverebbero non solo chi è "tampone-positivo" (con valore di conferma diagnostica), ma soprattutto chi si è infettato magari in modo inapparente o con pochi sintomi, ma non è mai stato sottoposto a indagine diagnostica, e ha eliminato il virus (e risulterebbe quindi "tampone-negativo")
È recente la notizia che l’azienda americana Abbott fornirà gratuitamente i kit per rilevare la presenza di anticorpi specifici per il virus che causa Covid-19 e che saranno utilizzati per testare un campione “rappresentativo” della situazione italiana di 150.000 persone (suddivise in diverse fasce). La ditta americana ha vinto un bando a cui hanno partecipato 72 concorrenti, ci informano i media.
In parallelo, la Regione Lombardia ha deciso di utilizzare il kit diagnostico della Diasorin, un’azienda italiana ma con sedi in altre nazioni, e che, grazie a una collaborazione con valenti virologi dell’Ospedale S. Matteo di Pavia, rileverebbe, oltre alla produzione totale di anticorpi contro il virus, la presenza di anticorpi neutralizzanti, ossia quelli in grado non solo di riconoscere il virus ma di bloccarlo nel momento dell’incontro con la proteina di superficie che sfrutta per infettare le cellule, un enzima definito ACE-2.
Alla positività per la presenza di anticorpi neutralizzanti (è stato riportato dai media, ma vedremo se sarà ufficializzato) potrebbe essere associato un “patentino d’immunità”, almeno temporaneo (si stima da qualche mese a qualche anno) per permettere alle persone che possiedono questi anticorpi di poter riprendere la loro vita senza il rischio di infettarsi nuovamente o d’infettare altri, perché gli anticorpi neutralizzanti bloccherebbero l’eventuale virus residuo qualora non fosse stato rilevato dal tampone per qualsiasi motivo.
La domanda sorge spontanea: perché allora non è stata scelta la “via Lombarda” per un test nazionale se il kit della Diasorin, oltre alla positività agli anticorpi, può informare sullo stato di effettiva protezione per sé e per gli altri? Ovviamente non conosciamo la risposta, ma immaginiamo che il fatto che l’offerta da parte della Abbot fosse gratuita non sia stato l’elemento decisivo per la scelta.
Proviamo a ragionare, su una base puramente teorica, su quanto sappiamo oggi della risposta anticorpale in generale e nel caso dell’infezione da SARS-CoV-2 e di quello che potremmo aspettarci da questi test.
Gli anticorpi neutralizzanti rappresentano, quando ci sono, solo una frazione degli anticorpi totali che riconoscono un virus (o un batterio o altro agente estraneo) e, quasi invariabilmente, sono diretti verso quella o quelle proteine virali che servono al virus per entrare nella cellula (per SARS-CoV-2, le proteine dette spike che interagiscono con uno o più recettori cellulari). Questo particolare tipo di anticorpi è prodotto tardivamente durante l’infezione naturale (nel caso dell’infezione da HIV si dice “too little and too late”, troppo pochi e troppo tardi) e il loro ruolo nell’andamento dell’infezione in corso non è scontato. Per quello che sappiamo della risposta anticorpale nell’infezione da SARS-CoV-2, rappresenterebbero addirittura un correlato di severità della malattia, mentre sarebbero poco rilevabili in persone asintomatiche o con sintomi lievi. Può sembrare una contraddizione, ma non lo è. Infatti, è ben stabilito (quasi un dogma) che “gli anticorpi (neutralizzanti) prevengono l’infezione, ma sono i linfociti T che controllano il numero di cellule infettate”.
In altre parole, la presenza degli anticorpi neutralizzanti non influenza necessariamente l’andamento dell’infezione virale verso la sua risoluzione, ma rappresenta la chiave vincente per poter ottenere vaccini efficaci, appunto, nel prevenirla. E su questa strada sappiamo che c’è una feroce, quanto positiva, competizione internazionale per trovare uno o più vaccini efficaci. Bill Gates ha anticipato che, se efficace, provvederà direttamente a coprire le spese del vaccino attualmente in studio a Oxford, UK (con la partecipazione dell’azienda italiana Advent-Irbm di Pomezia). Gli anticorpi totali contro il virus dovrebbero essere diretti contro le proteine virali più efficaci nella stimolazione del sistema immunitario (in gergo si definiscono “immunodominanti”) come, nel caso di HIV, quelli diretti contro la proteina Gag (che rappresenta lo “scheletro” della particella virale, ma non essendo esposta in superficie non può indurre anticorpi neutralizzanti) e che, nel caso del SARS-CoV-2, potrebbero essere le proteine S1 e S2.
Gli anticorpi contro il virus si dividono in quelli di prima generazione (tecnicamente definiti “IgM”, a bassa affinità) e anticorpi prodotti successivamente e più raffinati (IgG circolanti e presenti nelle secrezioni assieme alle IgA, a maggiore affinità, anche di migliaia di volte, rispetto alle prime IgM). Per essere prodotti, richiedono un’attiva collaborazione tra linfociti B, le cellule che sintetizzano e secernono gli anticorpi, e i linfociti T che, tra molte altre funzioni, producono proteine solubili, dette citochine, che istruiscono i linfociti B a produrre anticorpi con sempre maggior affinità per la proteina che devono riconoscere.
Il rilevamento di anticorpi IgM e IgG permette quindi di distinguere un’infezione precoce (a volte ancora in corso) da un’infezione già superata (nella maggior parte dei casi), anche se vi sono molte segnalazioni di compresenza di questi anticorpi con la “positività al tampone”. Questa potrebbe essere indice di mancata clearance dell’infezione, ma potrebbe anche rappresentare una residua positività di amplificazione delle sequenze virali al di sotto della soglia infettante.
Al riguardo giova ricordare uno studio tedesco pubblicato su Nature in cui, mediante una quantificazione della carica virale (e non solo qualitativa, ovvero “tampone positivo vs. tampone negativo”) è stato definito che al di sotto delle 100.000 copie di RNA non vi è sostanziale rischio di contagio. [1]
Date queste premesse, i due fattori fondamentali per un utilizzo su larga scala del rilevamento di anticorpi anti-SARS-CoV-2 (oltre agli eventuali costi) saranno la sensibilità e la specificità, ovvero la capacità di rilevare anche piccole quantità di virus o proteine virali, e il fatto di essere sicuri che l’eventuale positività non sia “contaminata” dalla cosiddetta reattività crociata per altri coronavirus simili ma completamente diversi da SARS-CoV-2. Al riguardo va sottolineato come due coronavirus causa del banale raffreddore appartengano allo stesso genere beta di appartenenza dei virus “cattivi” causa della SARS, della MERS e della COVID-19 (tutti gli altri virus del raffreddore appartengono al genere alfa).
Ci prepariamo quindi a una fase nuova della nostra convivenza col coronavirus della Covid-19, nella quale da un lato ci sarà l’atteso rallentamento delle misure sociali di lockdown, dagli effetti non prevedibili, e dall’altro, al numero dei tamponi positivi si aggiungeranno dati sulla sieropositività delle persone, infettate o meno, cioè sulla presenza di anticorpi anti-SARS-CoV-2 e sulla loro qualità (IgM, IgG, anticorpi neutralizzanti) rilevati da kit diversi di ditte diverse.
L’auspicio è che la quantità d’informazioni che si genererà sia utile alla comunità scientifica per comprendere meglio i tanti aspetti che ancora non conosciamo di questa nuova epidemia virale (con cui in Italia conviviamo da soli due mesi) e alla società civile per essere più sicura dell’andamento dell’infezione a livello locale (nel caso in cui vi fossero molte persone con anticorpi specifici che non hanno avuto seri problemi di salute). Per ottenere ciò sarà fondamentale un’analisi centralizzata e super partes di questi dati che disinneschi il potenziale uso politico delle diverse strategie di sorveglianza epidemica che hanno caratterizzato la fase 1 dominata dai “tamponi”.
Note
1. Si veda anche: “Comprehensive Virological Analysis of SARS-CoV-2 Published | Technology Networks del 9/04/2020.