Per un paio di mesi, il lockdown ha abbassato in modo considerevole le attività produttive e il traffico: con quali effetti sull'inquinamento atmosferico? E soprattutto, cosa possiamo imparare dall'esperienza?
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Le misure di lockdown hanno ridotto considerevolmente per un paio di mesi attività produttive e traffico, come probabilmente non era mai successo su scala così estesa. Come ha influenzato questa forzata quarantena le emissioni e le concentrazioni di inquinanti atmosferici e di gas serra? E che prospettive si aprono adesso con la ripresa? Abbiamo cercato di rispondere a queste domande con l’aiuto di Michela Maione, docente di Chimica dell'Ambiente all'Università di Urbino e affiliata a ISAC-CNR, responsabile del programma di monitoraggio di gas climalteranti e inquinanti atmosferici presso l'osservatorio globale del GAW-WMO di Monte Cimone.
Archiviato il caso del particolato carrier, resta il danno degli inquinanti
La questione è già stata ampiamente discussa, ma facciamo un breve riepilogo. La correlazione tra alte concentrazioni di varie forme di particolato atmosferico e insorgenza di casi Covid-19 non dovrebbe eccessivamente stupire, dal momento che, come spiega Maione, «è un dato accettato che il particolato atmosferico, specialmente la frazione con diametro inferiore a 2.5 micron (PM2.5), sia responsabile di 420.000 morti premature all’anno in Europa, delle quali 58.000 in Italia1». Quindi, un conseguente indebolimento generalizzato degli apparati respiratorio e cardiovascolare e del sistema immunitario può verosimilmente fungere da cofattore nell’epidemia; così come, effettivamente, è stato osservato per precedenti epidemie da coronavirus SARS verificatesi in Cina2.
Analogamente, «l’esposizione al biossido di azoto (NO2), uno dei principali inquinanti atmosferici antropogenici prodotto durante i processi di combustione, è responsabile, secondo l’Organizzazione Mondiale di Sanità3, di danni significativi alla salute soprattutto a carico dell’apparato respiratorio. Uno studio tedesco4 riporta come la maggior parte dei casi Covid con esito fatale si sia verificato in cinque regioni in Nord Italia e Spagna che, nel periodo gennaio-febbraio 2020, hanno mostrato i maggiori livelli di NO2 combinati con condizioni meteorologiche che non hanno favorito una dispersione efficiente degli inquinanti», spiega Maione.
Tralasciano gli studi che hanno suggerito la possibilità che le particelle virali potessero anche essere trasportate dal particolato, al momento non sufficientemente approfonditi né vagliati dalla comunità scientifica6,7,8, resta intatto il potenziale sanitario dei vari inquinanti atmosferici, ma anche la possibilità di ridurne efficacemente la concentrazione.
In Europa, infatti, come mostra l’ultimo rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente dal 2000 al 2017, sono diminuite le emissioni della maggior parte degli inquinanti atmosferici; in particolare quelle degli ossidi di zolfo, che sono calate del 62% dal 20009 (Figura1). Dati incoraggianti che mettono in luce la capacità di saper far fronte a queste sfide e che devono spingere a migliorare ancora di più la pianificazione politica su questo.
Figura1. Grafico tratto dall'ultimo rapporto EEA che mostra quanto le emissioni di ogni singolo inquinante atmosferico siano diminuite. Particolarmente rilevante è la brusca discesa, -62% dal 2000 al 2017, degli SOx (ossidi di zolfo). Viene mostrata anche la crescita, seppur temporanea, del prodotto interno lordo
Lockdown: un esperimento unico per inquinanti e gas climalteranti
È molto probabile che il lockdown abbia mostrato una diminuzione degli inquinanti atmosferici (reattivi) e, in prospettiva, di alcuni gas climalteranti. «I processi di combustione sono la fonte primaria di entrambe le classi di composti, con cocktail emissivi differenti a seconda del settore interessato (trasporti, riscaldamento domestico, industria, ecc.)», spiega Maione. «Il lockdown ha rappresentato quindi una sorta di esperimento unico che ci porterà a comprendere i meccanismi che sono alla base dei fenomeni di inquinamento e il peso relativo, in termini di emissioni, dei diversi settori coinvolti». Un esempio su tutti è la diminuzione evidente, soprattutto in pianura Padana, del «contenuto colonnare medio mensile di NO2 sia rispetto a gennaio 2020 che a marzo 2019 (qui il grafico)».
Il discorso è molto meno chiaro se andiamo a considerare il particolato atmosferico, la cui concentrazione non sembra essere diminuita considerevolmente, probabilmente anche per fattori di carattere meteorologico. Addirittura, Maione riferisce che nell’Italia settentrionale si sono registrati casi in cui la concentrazione PM10 era sopra il valore limite giornaliero durante la chiusura, con ogni probabilità a causa di trasporto di polveri dal Caucaso (ARPA FVG, 30 marzo 2020).
«Più complessa la situazione per la frazione fine PM2.5 (prevalentemente secondaria) del particolato, cui contribuisce prevalentemente il riscaldamento domestico, aumentato durante il lockdown del 7%». Ovviamente, durante il lockdown non si sarebbe potuto bloccare, tra le altre cose, l’approvvigionamento di cibo: l’attività agricola, di conseguenza, ha continuato a rilasciare ammoniaca, molecola che, «combinandosi con le specie acide derivanti dagli NOx, è il principale precursore di PM2.5 secondario».
Maione riporta anche dei risultati di uno studio comparativo preliminare del King’s College di Londra che «ha mostrato come a Londra le concentrazioni di PM10 e 2,5 siano sempre state più alte dopo il lockdown, identificando nel trasporto a lunga distanza le ragioni di questi andamenti. Secondo lo stesso studio, le condizioni meteorologiche, con alte temperature che hanno caratterizzato il mese di aprile, potrebbero invece essere la causa di concentrazioni orarie di ozono superiori alle 60 ppb (parti per miliardo)10».
I rapporti fra attività umane e inquinanti è quindi particolarmente complesso, nel loro intreccio con fenomeni meteo e circolazione di grandi masse d’aria in atmosfera. Ma se il lockdown ha determinato solo un parziale calo degli inquinanti, sarà altrettanto improbabile registrare una diminuzione nella concentrazione di CO2, il principale gas a effetto sera, che ha un tempo di permanenza in atmosfera molto più elevato degli inquinanti atmosferici. Pertanto, gli impegni politici per contenere le emissioni dovranno continuare a rafforzarsi e approfittare della cosiddetta ripartenza per affermare uno sviluppo più sostenibile.
Crisi climatica e probabili conseguenti crisi pandemiche
Mitigare il cambiamento climatico può avere conseguenze importanti anche per quanto riguarda futuri rischi pandemici. L’Organizzazione Mondiale della Sanità11 ci avverte che la crisi climatica in atto potrebbe allargare l’area geografica raggiunta dai vettori di varie malattie infettive, come la malaria o la febbre Dengue. Maione sottolinea, inoltre, come sia «facile vedere uno stretto parallelismo con quanto sta accadendo ora relativamente alla crisi pandemica: gli scienziati da tempo ci hanno informato sui pericoli derivanti dai cambiamenti d’uso del territorio che stanno avvenendo su scale globale (deforestazione, agricoltura, allevamenti) in relazione alla diffusione di virus in grado di effettuare il salto di specie dall’animale all’uomo».
Il rischio è che gli ingenti impegni economici presi a livello internazionale a favore della ripresa dalla pandemia sottraggano le risorse previste dall’Accordo di Parigi per centrare gli obiettivi di riduzione a 1,5-2°C12. Trattare separatamente crisi sanitarie e ambientali globali sarebbe un grave errore, ma tutt’altro che improbabile. «Questi obiettivi - spiega la ricercatrice - sono stati scelti appositamente per poter riuscire a governare i danni inevitabili della crisi climatica: dobbiamo fare in modo di rispettarli, in modo globalmente coordinato, per non doverci trovare ad affrontare effetti ingestibili quando sarà ormai troppo tardi per porvi rimedio».
Di seguito è possibile ascoltare un radio-documentario, realizzato grazie alla disponibilità della professoressa Maione, sulla crisi climatica e la necessità di porvi rimedio immediato, con particolare riferimento allo studio dei gas serra attraverso i ghiacci.
Bibliografia
1. EEA (European Environment Agency), 2019. Health impacts of air pollution, Copenhagen, Denmark, dicembre 2019
2. Cui et al, 2003, Environ. Health, 2, 15
3. WHO (World Health Organization), 2003, Health aspects of air pollution with particulate matter, ozone and nitrogen dioxide. Bonn, Germany, gennaio 2003
4. Ogen Y, 2020, Sci.Tot.Environ 726, 138605
5. Wu et al, 2020, medRxiv 2020.04.05.20054502
6. Setti et al, 2020a, medRxiv 2020.04.11.20061713
7. Setti et al, 2020b, medRxiv. 2020.04.15.20065995v1
8. Comunicato prof.ssa Maione e prof. Giostra UNIURB su particolato e Covid: https://www.pu24.it/2020/04/28/maione-giostra-uniurb-particolato-atmosferico-diffusione-del-sars-cov-2-ipotesi-non-certezze/295138/.
9. EEA (European Environment Agency), 2019. The European environment – state and outlook 2020
10. King’s College London, Mixed pollution results for London during lockdown
11. WHO (World Health Organisation), 2018
12. IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change), 2018, Special Report: Global Warming of 1.5°C
Fonti sonore radio-documentario:
Da https://www.youtube.com/audiolibrary/music e www.findsounds.com (non necessaria la citazione specifica)
Da https://incompetech.filmmusic.io/ (necessaria la citazione specifica): Aquarium by Kevin MacLeod, licenza: http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/
Arcadia by Kevin MacLeod, licenza: http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/
Danse Macabre - Xylophone by Kevin MacLeod, licenza: http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/
Da Youtube l’audio di conferenze pubbliche:
https://www.youtube.com/watch?v=gyeppFRnu5A
https://www.youtube.com/watch?v=em3eVrRanJ4
https://www.youtube.com/watch?v=jP55meWlLt4