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Il ritorno dell’idrossiclorochina nella lotta al COVID-19

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Nel mese di novembre 1918, in piena epidemia di febbre “spagnola”, la rivista medica americana JAMA (Journal of American Medical Association) pubblicava, nella rubrica “Correspondence”, a firma del medico H.A. Klein di Chicago, un articolo di circa mezza pagina tornato d’attualità in tempi di Covid-19.

Il dottor Klein riferiva di aver trattato, sia privatamente che presso l’Alexian Brother’s Hospital, un certo numero di casi d’influenza e polmonite influenzale ottenendo risultati molto soddisfacenti. Descriveva quindi le tre fasi della malattia: la prima caratterizzata da brividi, febbre e dolori muscolari; la seconda da conseguenze sulla respirazione; la terza da problemi circolatori, dispnea e cianosi.

Klein trattava i pazienti, il prima possibile, con 20-30 ml di soluzione satura di cloridrato di chinino iniettata per via endovenosa e somministrava anche 4 grani (0,26 g) di bisolfato di chinino, insieme a 6 grani (0,39 g) di salicilato di sodio. Klein specificava poi la durata precisa e la modalità del trattamento. Intervenendo sui pazienti entro tre giorni dalla comparsa dei sintomi, quindi in fase 1, si manifestava un rapido e continuo recupero nel giro di 1-3 giorni. In nessun caso i pazienti entravano nella seconda fase o manifestavano complicanze. Anche quelli che venivano curati dopo 3 giorni dalla comparsa dei sintomi, oppure che avevano già problemi respiratori, venivano recuperati nel giro di 1-8 giorni. La mortalità in quelli che si trovavano già nella terza fase era molto bassa. A ulteriore conferma della validità del suo trattamento, Klein riportava anche i dati positivi della conta dei leucociti.

Venendo a noi, sappiamo bene che dall’inizio della nefasta pandemia da Covid-19 non si è mai smesso di parlare dell’idrossiclorochina e che grazie a una dichiarazione del Presidente statunitense Donald Trump il farmaco è salito di nuovo alla ribalta proprio in questi giorni. A parte la mossa di Trump, che ha rivelato di assumere con regolarità compresse di idrossiclorochina solfato (non si capisce con quale criterio), il farmaco non ha mai smesso di interessare gli specialisti per le sue potenzialità nella lotta contro il Covid-19.

È notoriamente un antimalarico, impiegato anche nella cura dell’artrite reumatoide, che si ritiene possa combattere la replicazione del virus, ridurre la gravità dell’infezione ed evitare la terapia intensiva. Sono state avviate sperimentazioni ma i risultati definitivi non saranno disponibili prima di un anno. Una cosa è certa anche per noi profani: data la sua tossicità va esclusa del tutto la possibilità del “fai da te”.

Proprio su questo giornaòe è apparso, poco più di un mese fa, un brillante articolo del collega Adriano Zecchina dedicato a clorochina e idrossiclorochina. L’autore, con notevole lungimiranza, scriveva: “sembra di capire, a un chimico come me, digiuno di biologia e di patologia, che di clorochina e idrossiclorochina si continuerà sempre di più ad occuparsi, nel corso della presente emergenza”. Anche chi scrive questo articolo è un chimico analitico, digiuno di virologia, ma essendo appassionato di storia della scienza ha colto un collegamento tra l’articolo di Klein e le attuali sperimentazioni, quindi ha pensato di riferirne qui, anche per sottolineare la continuità della ricerca.

 

Per saperne di più: H. A. Klein, The Treatment of “Spanish Influenza”, JAMA, 1918, 71 (18), 1510

 

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