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Controllare l’epidemia: uno sguardo ai risultati di Svezia e Svizzera

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In questo articolo si considerano due paesi che hanno adottato strategie molto diverse di risposta a Covid: da un lato la Svezia, che non ha sottoposto la popolazione a lockdown ma si è limitatata a dare informazioni di natura conmportamentale, ipotizzando l'inevitabilità della diffusione del virus e quasi auspicandolo, in vista di un rapido raggiungimento di una immunità collettiva. Dall'altro la Svizzera, che ha invece adottato interdizioni via via crescenti alle aggregazioni sociali (a partire dai raduni di massa per poi passare alla chiusura delle scuole e al divieto di raggruppamenti superiori a 5 persone) e che non ha puntato sulla immunità di gregge. Tirare conclusioni oggi fra i due modelli è difficile e prematuro, e solo a fine epidemia si potrà tentare un bilancio. Al momento si può osservare che la scommmessa svedese di poter far raggiungere in pochi mesi, senza restrizioni alla libertà di movimento della popolazione, una immunità protettiva della popolazione non si è avverata, mentre le misure svizzere sono state accompagnate da una notevole riduzione degli spostamenti delle persone e delle infezioni.
Restano però molte incognite, e sostanziali. Una di queste è che la forte riduzione della mobilità in Svizzera, e del numero di trasmissione delle infezioni (Rt), non ha fatto seguito ma ha preceduto le misure di contenimento sociale, una curiosa anticipazione forse dovuta alla sensibilità pubblica che nel frattempo si era creata sulla pandemia. Un'altra incertezza riguarda il caso svedese: resta difficile dire adesso se tale strategia abbia portato a un fallimento. Il tasso di mortalità svedese, infatti, è certamente più alto di quello dei paesi confinanti, ma è più basso di quello italiano e simile a quello francese, due paesi che hanno seguito la strategia del lockdown totale.
La riflessione di Rodolfo Saracci è quindi un invito a non fare facili confronti, a non stilare classifiche, a raffinare i dati e a continuare a studiare. Soprattutto a fare la cosa intellettualmente più difficile in questo momento di ansie e protagonismi epidemici: sospendere il giudizio.

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Il numero di pubblicazioni scientifiche sul Covid-19 si conta ormai in decine di migliaia, ma “non si sa” è tuttora la formula più corretta per una moltitudine di aspetti, biologici, clinici, epidemiologici e sociologici della malattia: non si sa una storia chiara e solidamente documentata dell’origine e iniziale diffusione negli ultimi mesi del 2019 in Cina, come non si hanno ancora le percentuali di sopravvivenza nel tempo dei casi diagnosticati in marzo, aprile, maggio in una o più località o nazione, evidenza necessaria per valutare possibili cambiamenti di gravitaà. In compenso affermazioni lapidarie sul virus ormai innocuo non sono mancate in vari media.

Il caso Svezia

Un caso di interesse particolare è quello della Svezia. Era continuamente citata fino a poco tempo fa come l’esempio da seguire in un paese civile e rispettoso delle libertà personali per preservare la salute evitando l’incarcerazione di un lockdown più o meno stringente, mentre ora è ritornata alla ribalta per risultati deludenti: finita la Svezia paese modello.

Personalmente mi sembrano ingiustificati sia il primo che il secondo giudizio. Il governo svedese insisteva sulla provata scrupolosità dei cittadini nel seguire le raccomandazioni sui comportamenti a cui attenersi senza necessità di introdurre proibizioni e relative sanzioni legali, alcune delle quali contestabili come incostituzionali. Di conseguenza il governo ha solo limitato l’esercizio di bar e ristoranti al servizio al tavolo, fatto adottare l’insegnamento a distanza unicamente nelle secondarie superiori e università, ristretto le riunioni a un massimo di 50 persone e vietato l’accesso a musei ed eventi sportivi. Per il resto, ha diffuso raccomandazioni di distanziamento fisico e gesti barriera (senza uso di mascherine), ha consigliato di evitare viaggi internazionali non indispensabili, di limitare i viaggi in vettura a due ore di distanza, e per gli ultrasettantenni di restare il più possibile a casa.

Fin qui tutto chiaro.

Quello che “non si sapeva” chiaramente, in Svezia come altrove, era in che misura queste disposizioni sarebbero riuscite a riconciliare l’ottenimento di obiettivi in parte tra loro contrastanti: lasciare le persone al massimo libere da costrizioni legali; lasciar funzionare quasi normalmente tutte le attività personali e sociali, minimizzando l’impatto negativo psicologico e socio-economico; ridurre al minimo i decessi per Covid-19, in particolare degli anziani, ma al tempo stesso permettere che il numero di nuovi casi salisse abbastanza da far raggiungere in tempi relativamente brevi l’immunità collettiva (“di gregge”).

All’inizio di maggio ho ascoltato in un webinar organizzato dall'Ufficio di Venezia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Europa) Anders Tignell, l’“epidemiologo di Stato” principale responsabile delle scelte del governo svedese, e poco è risultato chiaro a me come ad altri uditori. Negli stessi giorni una posizione esplicita era invece espressa in una corrispondenza1 al Lancet di Johann Giesecke, professore emerito al Karolinska Institute e autorevole epidemiologo delle malattie infettive, che scriveva :

In conclusione, il Covid-19 è una malattia altamente infettiva che si propaga rapidamente nella società. È spesso poco sintomatica e può passare inosservata, ma induce anche forme severe - e anche il decesso – in una proporzione della popolazione, e il nostro compito più importante non è fermare la propagazione, ciò che è del tutto futile, ma concentrarci sul fornire alle sfortunate vittime un trattamento e un’assistenza ottimali.

Non c’è una sostanziale differenza tra questa posizione e quella iniziale del governo Johnson in Gran Bretagna (e in particolare del Primo Consigliere Scientifico, sir Patrick Vallance), rapidamente abbandonata di fronte alla possibilità che conducesse, come indicato da diversi modelli previsionali, a qualche centinaio di migliaia di decessi. Entrambe le posizioni poggiavano sul piano sanitario (considerazioni economiche a parte) su due elementi: scetticismo sulle possibilità di contenere l’epidemia e priorità data al raggiungimento in tempi non lunghi dell’immunità collettiva, che stante la capacità di contagio del SARS-CoV-2 implicava che si infettasse un 60-70% della popolazione.

Quali sono stati fino a ora i risultati in Svezia? La curva epidemica (figura 1a) del numero di nuovi casi giornalieri2 ha un andamento diverso da quello tipico bifasico con salita rapida-discesa più lenta esemplificato da curve quali quelle di Italia e Svizzera (figure 1b e 1c). Presenta in marzo una ascesa lenta e in sordina fino a raggiungere un livello intorno al quale oscilla con periodicità settimanale per tutto aprile e maggio, mostrando infine un’impennata nella prima metà di giugno.

Figura 1a. La curva epidemica in Svezia, 4 febbraio-10 giugno 2020

Figura 1b. La curva epidemica in Italia, 24 febbraio-16 giugno 2020

Figura 1c. La curva epidemica in Svizzera, 25 febbraio-3 giugno 2020

Questa è confermata dalle curve di incidenza, su 14 giorni, di nuovi casi per 100, 000 persone in diversi paesi del Nord Europa (figura 2)3, tutte eccetto la Svezia in fase discendente all’inizio di giugno.

Figura 2. Curve d'incidenza di nuovi casi per 100, 000 persone, su 14 giorni, in diversi paesi del Nord Europa

Nello stesso senso va la mortalità per Covid-19. La Svezia ha fino a oggi un tasso di 47,9 per 100.0004, marcatamente più elevato dei paesi vicini, simili per svariati aspetti della società e che hanno fatto la scelta del lockdown: Danimarca (10,3), Finlandia (5,9), Norvegia (4,6) e Islanda (2,8). E questo malgrado la Svezia abbia una minore intensità di testing per la presenza del virus, con un rapporto “persone testate/persone positive al test” di 7,45 contro 65,3 della Danimarca, 31,1 della Finlandia, 33,2 della Norvegia e 34,9 dell’Islanda (secondo l’OMS un rapporto di almeno 10 a 1 è indice di un sistema di sorveglianza che fa abbastanza test da essere in grado di identificare tutti i casi positivi esistenti ).

Più della metà dei decessi sono di anziani ospiti di residenze assistite, dagli anni novanta del secolo scorso affidate con la riforma del “welfare state” a numerosi privati in competizione tra loro e alle quali si accede per “libera scelta” usando buoni di pagamento erogati dello stato6. Molto più favorevole alla Svezia appare il confronto con altri paesi: il tasso di mortalità per Covid-19 di 47,9 è inferiore a quello dell’Italia (56,8) e prossimo a quello della Francia (43,9), paesi in cui la curva epidemica è peraltro scattata fin dall’inizio di marzo con la fisionomia già notata in figura 1.

Oltre ai risultati di incidenza e mortalità va considerato che l’obiettivo svedese di pervenire a un livello elevato di immuni nella popolazione non appare per il momento raggiunto, le stime di soggetti infettati essendo dell’ordine del 10% (o meno), non dissimili da quelle di altri paesi7. Solo parzialmente è stato centrato anche l’obiettivo di non deprimere l’economia: la più recente stima dell’OECD proietta infatti per il 2020 una diminuzione del Prodotto Interno Lordo del 6,7 % (contro un 11,3 % di Italia e Francia), mentre è in atto una perdita dell’ 1-2% degli occupati8.

Dal suo punto di vista Anders Tignell sintetizza9 dicendo che la Svezia poteva fare meglio, ma aggiunge che non è chiaro che cosa esattamente il paese avrebbe dovuto fare di diverso, essendo difficile conoscere quali misure applicate altrove hanno avuto il maggior effetto nel proteggere le persone, visto che sono state introdotte tutte insieme con i lockdown.

Perché “non si sa”

Alla luce dei risultati, la politica sanitaria adottata dalla Svezia può essere considerata come un fallimento (vedi confronto con gli altri paesi nordici) o un successo (vedi confronto con Italia e Francia)? Non si sa, per due ragioni principali:

  • il quadro descritto è incompleto nel tempo: l’epidemia non è terminata, ci sono ancora nuovi casi residui, ci potrebbe essere una seconda ondata ed è sensato prolungare l’osservazione e acquisizione di dati almeno a tutto l’anno 2020
  • il quadro descritto è largamente incompleto in estensione: il confronto dei tassi grezzi di mortalità per Covid-19 di paesi diversi, riportato intenzionalmente in questa nota nella stesse forme in cui è frequentemente pubblicizzato dai media, vale solo come descrizione ma non è interpretabile senza analisi dei tassi nella loro evoluzione temporale in relazione con una serie di variabili caratterizzanti ciascun paese (purché siano disponibili in formati compatibili): densità di popolazione, tipo di disposizioni contro l’epidemia, distribuzione della popolazione per età, sesso, condizione economica, livello di educazione, densità, indici di mobilità, frequenza di contatti personali etc. Di particolare rilevanza sarà l’analisi dei tassi di mortalità per tutte le cause (e non per solo Covid-19), espressione dell’impatto totale dell’epidemia sulla salute.

L’esempio della Svezia sottolinea una considerazione di ordine generale: i confronti tra paesi sono essenziali per osservare dove l’epidemia è presente o assente e dove è in progressione, e quanto, o in regressione, e quanto. Ma al di là di questo livello fondamentale i confronti sono soggetti, a monte delle indispensabili analisi interpretative appena discusse, a vari potenziali vizi: perché confrontare la Svezia con l’Italia e non con la Slovenia o il Portogallo? Come confrontare un territorio immenso come la Russia, in cui focolai epidemici importanti possono essere sparsi a centinaia o migliaia di chilometri di distanza, con Malta o l’Estonia? I confronti tra paesi sono popolarissimi e commentatissimi, ma interpretazioni e commenti poggiano molto spesso su evidenze al momento attuale ancora assai tenui. Più solide possono presentarsi le evidenze già ottenibili all’interno di uno stesso paese.

Il caso Svizzera

Un buon esempio di analisi di dati nazionali e comparativi dentro il paese è offerto dalla Svizzera. Il paese registra una mortalità per Covid del 22,8 per 100.000, con un rapporto “persone testate/persone positive” del 14,7. Un gruppo di ricerca facente capo all’EPFL (École Polytechnique Fédérale de Lausanne) ha esplorato l’effetto delle misure comunemente designate come NPI, non-pharmaceutical interventions, che compongono il lockdown, introdotte in successione a partire dal 28 febbraio10: nella figura 4 la data di ciascuna misura è indicata sul grafico della curva epidemica dei nuovi casi (in nero) e dei decessi (in rosso).

Figura 3. Curva epidemica dei nuovi casi in Svizzera.

La misura numero 1 consiste nella proibizione di riunioni di 1.000 o più persone; la numero 2 nella chiusura delle scuole; la numero 3 nella chiusura delle attività non-essenziali; la numero 4 nella proibizione delle riunioni di 5 o più persone. L’andamento dell’epidemia è stato esaminato con un modello probabilistico che utilizza congiuntamente i dati dei decessi e di incidenza di ospedalizzazione per Covid-19 di piu di 1.000 persone per stimare l’indice R(t), numero medio di contagi indotti da una persona infetta in una popolazione di persone tutte suscettibili.

La figura 4 mostra l’andamento dei valori di R(t), come mediana (linea tratteggiata) con le bande di confidenza (intervallo interquartilico in grigio scuro e intervallo quantilico del 95% in grigio chiaro) per l’insieme della Svizzera: partito da un livello vicino a 3 (una persona infetta ne contagia mediamente 3) all’inizio dell’epidemia (24 febbraio) scende rapidamente e passa sotto 1 intorno al 20 marzo per rimanervi in tutto il tempo successivo durante il quale una persona infetta contagia mediamente meno di un’altra persona con la conseguenza che la propagazione epidemica rallenta fino ad arrestarsi.

Figura 4. Andamento dei valori di R(t) in Svizzera.

Da notare che la netta diminuzione di R(t) inizia prima dell’introduzione delle misure non farmacologiche (NPI) più stringenti (2, 3 e 4), verosimilmente perché le notizie sull’epidemia in arrivo da paesi come Cina e Italia e i consigli generali di igiene emanati dall’Ufficio Federale della Sanità avevano già indotto un cambiamento nei comportamenti della popolazione, con una diminuzione dei contatti interpersonali.

L’aspetto più interessante della ricerca è l’uso dei dati di localizzazione delle persone (anonimizzati) che Google raccoglie in continuazione in tutto il mondo e che dal 3 aprile ha reso pubblicamente accessibili. Google capta le localizzazioni degli smartphone degli utenti registrati con Google e che hanno accettato l’opzione “Location History” e ne deriva degli indici consistenti nelle variazioni percentuali giornaliere - rispetto al linea di base dello stesso giorno della settimana nel periodo 3 gennaio/6 febbraio 2020 - delle presenze in sei categorie di localizzazioni: negozi e farmacie; parchi; stazioni di treni, metropolitane, autobus, aeroporti; luoghi di ricreazione (centri commerciali, bar, ristoranti, cinema, teatri, musei etc.); residenze personali; luoghi di lavoro.

Gli indici sono disponibili per area geografica, in Svizzera i cantoni, in Italia le regioni. Come mostra la figura 5, a livello di tutta la Svizzera gli indici sono scesi fortemente dall’inizio dell’epidemia, con una calo tra il 50% e il 75 % per luoghi di lavoro, luoghi di ricreazione e stazioni, e un minor calo, dell’ordine del 20%, per negozi e farmacie. L’indice per i parchi è rimasto poco sotto o sopra la linea di base mentre è aumentato di circa il 20% l’indice di presenza a domicilio. La linea nera in grassetto rappresenta la variazione percentuale dell’indice epidemico R(t) che scende in stretta concordanza con il calo degli altri indici. Andamenti coerenti e molto simili degli indici e del R(t) sono stati trovati per tutti gli undici cantoni per i quali esistevano dati sufficienti per una analisi a questo livello di dettaglio.

Figura 5. Indici nelle variazioni giornaliere delle presenze in diverse categorie di localizzazione (la line anera indica l'andamento della trasmissione, R(t)).

È questa fino a oggi una delle migliori evidenze a favore di un effetto causale, cioè dell’efficacia, delle misure non faramcologiche, quindi comportamentali, sul rallentamento fino all’arresto della trasmissione epidemica del virus da persona a persona: gli indici basati su quante persone visitano un luogo sono infatti un espressione molto più prossima al numero di contatti potenzialmente infettanti delle persone di quanto lo siano variabili del tipo “data del decreto di proibizione di riunioni di 5 persone”.

Il lavoro presenta limitazioni, estesamente discusse dagli autori, ma vale comunque la pena di notarne una: i dati utilizzati nello studio si arrestano al 24 aprile, e ovviamente si vorrebbe sapere quali sono stati gli sviluppi successivi. Una volta di più si ritorna al “non si sa”, fatto inevitabile perché prima di ogni altro possibile problema una acquisizione diligente e completa e un controllo di qualità meticoloso e stringente di tutti i dati necessari per un valido studio epidemiologico non è materialmente compressibile entro tempi molto brevi.

 

Riferimenti bibliografici 
1. Giesecke J. The invisible epidemic. Lancet 2020 ; 395 : e98.
2. Wikipedia. Covid-19 pandemic in Sweden. In: http://www.en.wikipedia.org (consultato il 17 giugno 2020)
3. European Centre for Disease Prevention and Control. 14-day incidence of reported Covid-19 cases in Northern Europe, as of June 11 2020. In: http://www.ecdc.europe.eu (consultato il 17 giugno 2020)
4. Johns Hopkins University. How does mortality differ across countries? In: http://www.coronavirus.jhu.edu/maps-and-trends (consultato il 17 giugno 2020)
5. Ourworldindata.Total Covid-19 tests for each confirmed case, June 15,2020. In: http://www.ourworldindata.org (consultato il 17 giugno 2020)
6. Pelling L. Sweden, the pandemic and precarious working conditions. In: http://www.socialeurope.eu ( consultato il 17 giugno 2020)
7. Michaud J. Sweden’s coronavirus strategy should not be the World’s but aspects of it are worthy of consideration. In : http://www.foreignaffairs.com/articles/swede/2020-5-20 (consultato il 15 giugno 2020)
8. OECD. Sweden. Economic Outlook volume 2020, issue 1, preliminary version. Paris : OECD 2020
9. Euronews. Coronavirus : hard-hit Sweden admits it could have battled Covid-19 better. In: http://www.euronews.com (consultato il 17 giugno 2017)
10. Lemaitre JC, Perez-Saez J, Azman AS, Rinaldo A, Fellay J. Assessing the impact of non-pharmaceutical interventions on SARS-Cov-2 transmission in Switzerland. In: https://doi.org/10.4414/smw.2020.20295 (consultato il 12 giugno 2020)
 

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