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Le difese cognitive contro la pseudoscienza di Covid-19

La pandemia di Covid-19 rappresenta per molti aspetti un esperimento naturale per indagare il ruolo dei fattori politico-ideologici, sociali, psicometrici, cognitivi, psicologici, etici nella percezione della minaccia sanitaria, nella condivisione delle reazioni politiche e decisioni istituzionali e nella valutazione dell’adeguatezza dei comportamenti dei governanti. 

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La pandemia di Covid-19 rappresenta sotto diversi punti di vista una sorta di esperimento naturale. Si tratta di una crisi sanitaria che colpisce tutti i paesi e le comunità e che viene gestita dai governi e dalle persone sulla base di visioni culturali e forme di organizzazione politico-istituzionali diverse, grosso modo identica per cause ed effetti immediati, per cui si possono studiare empiricamente dinamiche sociali, politiche, psicologiche ed economiche indotte dalla situazione inattesa e anomala, che sarebbe impossibile creare artificialmente. Da quando le scienze cognitive e gli strumenti statistici hanno innovato la metodologia delle scienze sociali, queste condizioni forniscono molte più informazioni rispetto ai tempi in cui le scienze sociali erano guidate dal modello standard, che assumeva la mente umana come una tabula rasa e inseguiva i miraggi del relativismo e del determinismo culturale.

Un aspetto che ha sempre contato e conta nell’approccio alle epidemie è come sono metabolizzate politicamente, e come i pregiudizi e gli stereotipi politico-culturali entrano in gioco nelle decisioni dei governi, nei rapporti tra i governi e gli esperti sono influenzati dal livello di alfabetizzazione scientifica e dalle false credenze o disinformazioni complottiste, intercettano o meno, come e con quali effetti la percezione del rischio di ammalare e morire eccetera. Quando non si conoscevano le cause prevalevano disinformazioni, pregiudizi, le idee complottiste, che erano tentativi spontanei di far fronte alla paura e causavano regolarmente trasgressioni ai consigli sanitari.

Le ricerche condotte oltreoceano dagli scienziati sociali che utilizzano approcci cognitivi sui determinanti dei fenomeni di polarizzazione, disinformazione, negazionismo eccetera hanno prodotto negli anni risultati talvolta contrastanti e talvolta controintuitivi. Per esempio, sono state ottenute indicazioni contraddittorie su come entra in gioco il grado di competenze scientifiche per quanto riguarda la percezione di rischio e delle disinformazioni, per cui in alcuni contesti e secondo diversi studi avere padronanza delle teorie e dei fatti scientifici allontana dalle disinformazione, cambia la percezione dei rischi e orienta in senso favorevole rispetto all’innovazione, per esempio nel caso dei vaccini e talvolta verso gli ogm, mentre in altri - come il cambiamento climatico o la ricerca su embrioni umani (ma anche rispetto a ogm secondo altri studi) - alti livelli di competenze scientifiche radicalizzano la posizione che è stata assunta su una base preconcetta.

L’esperimento naturale “Covid-19” ha stimolato diversi studi empirici, volti a indagare il ruolo dei fattori politico-ideologici, sociali, psicometrici, cognitivi, psicologici, etici e così via nella percezione della minaccia sanitaria, nella condivisione delle reazioni politiche e decisioni istituzionali, nella valutazione dell’adeguatezza dei comportamenti dei governanti e, quindi, nella fiducia espressa verso le loro capacità. Tra le numerose pubblicazioni, uscite tutte come preprint, la più interessante è probabilmente quella firmata da Gordon Pennycook e David G. Rand, due psicologi cognitivi nordamericani che negli scorsi anni hanno prodotto alcuni dei migliori studi sulle basi cognitive delle fake news, mostrando in modo convincente che i deficit di ragionamento analitico spiegano meglio dei pregiudizi ideologico-culturali il contagio delle false credenze e del complottismo [1].

Il nuovo studio è stato condotto su circa 2.250 persone, un terzo delle quali statunitense, un terzo canadese e un terzo britannico [2]. Le domande e i test rilevavano diverse propensioni, giudizi e capacità. Per esempio, le intenzioni di modificare il proprio comportamento alla luce dell'epidemia di coronavirus, le percezioni in termini di pertinenza (correttezza o falsità) del rischio Covid-19 sulla base di notizie e gli sforzi di verifica dei fatti. Rispetto alla risposta alla pandemia, le persone sono state inquadrate come ottimiste, pessimiste, guidate da un pensiero magico o da atteggiamenti cospirativi. Insieme all’atteggiamento verso la leadership nazionale, la fiducia nel governo, l’ideologia politica e il profilo demografico-sanitario, l’indagine valuta in modo articolato i livelli di sofisticazione cognitiva. Queste indagini, da quando sono entrati in gioco gli scienziati cognitivi, non si limitano a rilevare un livello di conoscenze di base, ma accertano la capacità riflessiva o analitica (usando il Cognitive Reflection Test), un livello di comprensione elementare della statistica e la ricettività verso le “cazzate” (affermazioni roboanti ma senza senso).

L'ideologia politica predice in modo significativo gli atteggiamenti relativi al Covid-19 (comprese percezioni del rischio, intenzioni di cambiare i comportamenti, percezioni errate e supporto alla leadership nazionale) negli Stati Uniti, ma anche in Canada, però non nel Regno Unito. La fiducia in élites politiche e giornalistiche che, sulla base di preconcetti ideologici, hanno minimizzato Covid-19, risulta correlata con percezioni sbagliate del rischio. Anche in presenza di polarizzazione politica, la “sofisticazione cognitiva” - cioè la qualità razionale del ragionamento delle persone – si è rivelata tuttavia associata a percezioni meno errate in tutti e tre i paesi studiati. Sia negli Stati Uniti sia nel Regno Unito, la sofisticazione cognitiva degli intervistati predice una maggiore capacità di non farsi percezioni errate rispetto a tutte le altre variabili. In nessuno dei paesi studiati si è rilevato un collegamento tra sofisticazione cognitiva associata e maggiore polarizzazione politica, per cui un buon livello di conoscenze scientifiche e una capacità di ragionamento riflessivo o critico protegge dall’adesione ai contenuti e alle forme della polarizzazione.

La ricerca rivaluta i tradizionali modelli che vedono nel deficit scientifico la causa principale delle derive antiscientifiche, per cui insegnare le basi della scienza e il pensiero critico avrebbe come effetto un atteggiamento di fiducia verso la gestione da parte dei medici e degli scienziati e un allineamento con le raccomandazioni che provengono da studi evidence based. Comunque, nei tre paesi livelli più elevati di sofisticazione cognitiva sono risultati fortemente associati sì a livelli più bassi di credenze sbagliate, ma non a percezioni del rischio o intenzioni di cambiare comportamento per evitare il contagio. Per cui essere riflessivi, sapere la statistica, essere scettici e possedere conoscenze scientifiche di base (o tutte queste cose insieme) è importante per la capacità di identificare informazioni false sul virus, ma non sembra influenzare la scelta di comportamenti maggiormente efficaci sul piano protettivo, o motivare a cambiare i comportamenti. Le uniche misure che correlavano positivamente con il cambiamento di comportamento erano un numero inferiore di percezioni errate sulla natura della pandemia e una aggravata percezione del rischio. In pratica, le intenzioni di cambiamento del comportamento in presenza di Covid-19 erano predette in modo più forte dalla paura della malattia.

Se l’obiettivo è di ottenere comportamenti consoni alla riduzione del rischio di contagio, i comunicatori dovrebbero concentrarsi su questi elementi invece di spiegare alle persone come funziona il virus o cercare di fornire informazioni sui livelli di rischio, trasmissione o altri fattori complessi. Soprattutto, data l'attuale incertezza, i messaggi chiari e coerenti su ciò che le persone dovrebbero e non dovrebbero fare sembrano fondamentali. Ci sono prove che se si presentano i comportamenti di prevenzione come benefici per gli altri si ottiene più adesione che se vengono inquadrati come benefici per sé stessi. Non siamo solo egoisti, e siamo tutti sensibili e disponibili a fare cose per non far soffrire altre persone.

Si è visto che nel caso di Covid-19 non si manifesta la disgiunzione tra ruolo dell'ideologia e sofisticazione cognitiva, come avviene per il riscaldamento globale. Il riscaldamento globale è una delle poche questioni scientifiche dove quello che uno pensa è prevedibile più sulla base della sua ideologia politica (negli Stati Uniti) che del suo livello di sofisticazione cognitiva. Si tratta anche dell’unico tema in cui la sofisticazione cognitiva è effettivamente e costantemente associata a una maggiore polarizzazione politica, cioè più le persone capiscono di scienza più radicalmente si schierano colorando la loro posizione in termini politico-ideologici. Le percezioni sbagliate su Covid-19 sono più strettamente collegate al grado di capacità cognitive, cioè alla mancanza di sofisticazione scientifica, come nel caso della falsa convinzione che i vaccini causino l'autismo o che gli alimenti geneticamente modificati siano dannosi per la salute (ma forse questo non vale in Europa).

La disinformazione è una minaccia per la salute in generale, e nel caso della pandemia lo è ancora di più. Le persone disinformate possono non praticare il distanziamento fisico e assumere sostanza tossiche perché consigliate male. Tuttavia, correggere efficacemente la disinformazione dopo che le persone vi hanno creduto non è così intuitivo. Studi che risalgono anche a una ventina di anni fa dimostrano che la disinformazione continua a influenzare le persone, anche dopo che è stata ritrattata da parte di chi l’ha messa in circolazione. Qualche risultato utile si ottiene se le persone vengono avvisate che devono controllare quello che viene loro raccontato, confrontandolo con i fatti.

Un fatto interessante, che si trova in diverse ricerche e che viene confermato, è che le persone che prendono tempo di prima di decidere, di esprimere giudizi sull'accuratezza di un’informazione o di condividerla sui social, sono più protette da false credenze. Ovvero una strategia efficace nella lotta contro la disinformazione sarebbe potenziare la capacità mentale di tenere a bada le risposte intuitive attraverso un controllo sulle reazioni che emergono impulsivamente e l’applicazione di un pensiero analitico e riflessivo. Da diversi anni gli psicologi cognitivi registrano che le persone che ottengono risultati migliori nel Cognitive Reflection Test, o in test analoghi, sono più protette da fake news e pseudoscienza. Lo stesso risultato si è visto anche riguardo alla protezione contro la disinformazione correlata a Covid-19.

Sarebbe interessante leggere studi del genere ritagliati sulle realtà nazionali, ma purtroppo alcune teorie e metodologie che hanno prese piede nelle scienze sociali in Nord-America sono quasi ignorate in Europa e in Italia. Così ci sfugge l’opportunità di correlare i livelli di competenze scientifiche con la fiducia negli scienziati e nelle istituzioni, con le diverse credenze sulla pandemia e le percezioni del rischio.

 

Note
Pennycook G e Rand DG (2018). Lazy, not biased: Susceptibility to partisan fake news is better explained by lack of reasoning than by motivated reasoning. Cognition. doi: 10.1016/j.cognition.2018.06.011. https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3165567&download=yes
Pennycook G, McPhetres J, Bago B e Rand DG (2020). Attitudes about COVID-19 in Canada, the U.K., and the U.S.A.: A novel test of political polarization and motivated reasoning. PysArXiv

 


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