Al momento si stima che in 26 paesi considerati, quasi la metà dei morti per Covid siano avvenuti nelle RSA. Si tratta di una media che fissa in un numero (altissimo) una situazione internazionale molto variegata, che va da alcuni paesi che dichiarano 0 morti nelle case di riposo, a paesi, come il Canada e la Slovenia, che dichiarano addirittura l'80%. E l'Italia? In mancanza di dati credibili a livello nazionale, si può citare il caso di Milano, dove secondo il rapporto compilato dalla ATS circa la metà dell'eccesso di mortalità per Covid è avvenuto nelle RSA. Una situazione quindi drammatica, quella degli "ospizi", che porterà probabilmente al loro svuotamento nei prossimi anni, con un'altrettanto problematica presa in carico a livello familiare. Ma di questa "epidemia nascosta" che colpisce i nostri anziani nell'area grigia fra il welfare e la sanità, con effetti di una pesante discriminazione su base generazionale e sociale, la narrazione attuale di Covid-19 basata sull'aritmetica quotidiana di contagi e tamponi non tiene minimamente conto. E tantomeno la politica.
Margherita De Bac sul Corriere della Sera (25 Luglio 2020) proponeva questa narrativa della pandemia COVID19:
È cambiato l’identikit dell’epidemia, ora l’età media dei casi diagnosticati è addirittura intorno ai 40 anni mentre a marzo /aprile 2020 era sopra i 60. Questo denota il cambiamento delle abitudini imposto dal lockdown, ma soltanto per una parte della popolazione. Gli anziani, spaventati (...), non si espongono più, sensibilizzati e protetti da figli e nipoti. Che invece girano, incontrano, stringono mani e scambiano abbracci e frequentano piazzette. Fino a incrociare dei positivi e a diventarlo essi stessi (...). L’abbassamento anagrafico è dovuto alle caratteristiche dei focolai che vedono un sempre minore coinvolgimento di persone anziane e all’identificazione di positivi in soggetti asintomatici (...) i giovani non gravano sugli ospedali che cosi restano sgombri.
Si tratta di una spiegazione corretta del modello egemone, che orienta tutta la modellistica su Covid-19, come proposta da Thomas Puelo nel suo articolo virale The Hammer and the Dance. Tutto vero, o verosimile, ma qui l’epidemia nascosta non c’è. È omessa nelle nostre narrative, non solo nei media ma anche nelle analisi dei tecnici. È pressoché assente anche nella definizione delle policy per la ripartenza post-Covid-19. In questa fase, nella quale si deve convivere con il virus, prevale una visione centrata sulla responsabilità individuale e sulla trasmissione del virus secondo una legge naturale, che può essere solo modificata dai trattamenti non farmacologici (soprattutto mascherine e distanziamento sociale). Questo mentre vi è sempre più necessità di modelli che tengano conto della realtà di un mondo che non si spiega con l'aritmetica sciorinata quotidianamente dai giornali.
Spesso ci è sfuggita la complessità della realtà dove il virus si muove: per mesi non abbiamo visto le RSA, e solo lentamente cominciamo a misurare il disastro provocato dalle diseguaglianze, non solo quelle socioeconomiche, ma anche quelle generazionali e razziali.
Quando non si guarda, si tratta tutti come uguali, uno vale uno, mentre questa epidemia si sta dimostrando, come sempre nella storia, soprattutto uno strumento di differenziazione. Il welfare nelle nostre società occidentali è spesso inconsapevolmente discriminatorio e prevalentemente disponibile per le persone già garantite dal sistema (non solo in termini di reddito). Quando i più deboli, sia tra i garantiti che tra i non garantiti, vi accedono, sono comunque dimenticati ed esposti a pericoli. Questa è la storia delle RSA nel mondo ed è quella del nostro welfare familiare che si avvale spesso di lavoro al nero, non regolarizzato e spesso invisibile.
L’epitaffio delle RSA in Italia
Uno sconsolato articolo dell’International Long Term Care Policy Network (ILTPN) del 31 luglio 2020 risuona come l’epitaffio delle RSA in Italia. [1] Sara Berloto e colleghi riportano, in maniera accurata, l’assenza di informazione e il ritardo delle direttive, nazionali e regionali: dall’Italia è tutto, non aspettatevi altre informazioni. Non sapremo di più perché i dati non ci saranno. I media rilanciano, come dovuto, le storie individuali di sofferenza, abbandono e rivolta. La risposta ai cittadini, ci si augura ma con poca speranza, la darà la magistratura che ha avviato indagini, con ampio riscontro mediatico.
Nel Rapporto 2020 dell’ISTAT, base documentale per la ripartenza post-Covid-19, Gian Carlo Blangiardo si compiace della risposta di ISTAT al bisogno di dati, ma non rammenta che il nostro sistema informativo è stato in grave ritardo nel produrre i dati di mortalità rapida di popolazione per l’Italia. Parlando dei servizi di cura non fa alcun cenno alle strutture come le RSA e in generale alla crisi del welfare. L’assenza di un sistema informativo e di controllo di qualità delle RSA e altre strutture a livello nazionale, questo è un dato di fatto, è stata macroscopica e strutturale.
I numeri dell’epidemia nascosta a Milano
ATS Milano ha pubblicato, a cura della sua UO di Epidemiologia, un rapporto sul numero e sull’eccesso dei decessi totali rispetto agli anni precedenti (2016-2019) per l’area di sua competenza, e, con un più ampio gruppo di lavoro, quello sui morti nelle RSA. Li riassumo brevemente perché già sono stati presentati in dettaglio su Scienza in rete. A parte EUROMOMO, un sistema rapido di mortalità che ha in Italia una copertura di popolazione ridotta, solo l’ARS della Regione Toscana, a quello che mi risulta, ha pubblicato analoga valutazione.
L’andamento dei decessi totali di ATS Milano mostra diverse scosse telluriche nei giorni che precedono l’inizio dei dati ufficiali Covid-19, quelli che sono basati sui positivi al tampone naso-faringeo. L’epidemia era, oggi più o meno si sa, iniziata da tempo e almeno da gennaio colpiva duramente. Il sistema informativo ufficiale Covid-19, avviato dopo il caso indice di Codogno, inizia a sottostimare i decessi totali dell’area dopo pochi giorni, a partire circa dal giorno 11 marzo 2020. L’andamento, che si vede a occhio nudo nelle figure del rapporto ma è anche confermato con modelli statistici, è assai diverso nei deceduti in età minore o maggiore di 70 anni.
L’epidemia nascosta, l’eccesso nei decessi rispetto all’atteso, riguarda pesantemente, la popolazione più anziana (70+), dove sappiamo che spesso i tamponi nasofaringei non sono stati eseguiti se non tardivamente, e nella quale è rilevante la presenza di soggetti ospiti di RSA e di deceduti a casa, volontariamente o a causa della crisi ospedaliera, spesso affetti da situazioni di grave comorbidità. Sotto i 70, i trend dei dati Covid-19 e quelli della mortalità di popolazione sono molto simili.
Nel marzo/aprile 2020, i mesi dell’esplosione epidemica, su un totale di 12.206 morti, l’eccesso rispetto ai decessi 2016-2020 è stato di 6.604. Di questi, 6.079 in soggetti con età maggiore di 70 anni (di cui 2.500 attribuiti alle RSA), i restanti tra i più giovani. Il rapporto sulle RSA considera 162 strutture di ATS Milano che ospitano circa 16.000 persone. L’analisi conferma una sostanziale omogeneità di comportamento nelle strutture della zona. Comparando gli ospiti in RSA con gli altri residenti (non-RSA), l’eccesso nella popolazione RSA 2020 avviene con un ritardo di circa una settimana rispetto a quella non-RSA e la crescita dei decessi, come detto, sembra avvenuta più lentamente. Questo dato conferma le tante testimonianze, personali e giornalistiche, che affermano che l’epidemia nascosta nelle RSA è emersa dopo la sua esplosione a livello di popolazione ed è da mettere in rapporto con la crisi degli ospedali. Il sistema informativo ufficiale Covid-19 ha registrato lo stato infettivo in ritardo, in quota parte dopo il decesso.
I dati internazionali sulle home care
Adelina Comas-Herrera e il gruppo internazionale dell’ILTP [2] hanno aggiornato il loro rapporto sulla mortalità e le home care in relazione all’epidemia Covid-19 valutando un crescente numero di paesi inclusi (26 paesi e regioni, di tutti i continenti) che hanno pubblicato dati sul numero dei decessi in queste strutture. [3] Calcolando l’eccesso nei diversi paesi occidentali (quindi comparabili per quanto riguarda la struttura di popolazione e il bisogno di welfare per anziani e disabili), ILTP stima in circa il 47% del totale i deceduti in RSA identificati come Covid-19 certo o probabile, nella fascia di età più alta.
A questo proposito si osservi la figura sotto, dove le barre blu indicano il numero totale di morti per Covid-19 per Paese, le barre arancioni indicano il numero totale di morti fra i residenti delle RSA per Paese, i pallini indicano la percentuale dei morti per Covid-19 nelle RSA rispetto al totale dei morti per Covid-19 per Paese (da 0 a 85%, media 47%). L'Italia non è riportata nella figura in quanto - a parte il report di ATS Milano - non ha al momento fornito dati credibili sulle morti nelle RSA.
Fonte della figura: Adelina Comas-Herrera, Joseba Zalakaín, Charles Litwin, Amy T. Hsu, Elizabeth Lemmon, David Henderson and Jose-Luis Fernández, "Mortality associated with Covid-19 outbreaks in care homes: early international evidence", 26 giugno 2020.
Particolarmente interessante è il dato della Svezia, un paese al centro del dibattito internazionale per la sua politica di limitata mitigazione e non di soppressione (lockdown). In Svezia i casi ufficiali di Covid-19 rappresentano al 100% l’eccesso di mortalità osservato nella popolazione generale. Nel complesso, la Svezia ha avuto, all’epoca del rapporto, un numero totale in eccesso di circa 55 morti per 100.000 residenti e include nelle statistiche anche i casi probabili. Il numero di decessi in eccesso per 100.000 è vicino a quello dei grandi paesi europei. Per altro verso, la Svezia ha avuto un carico epidemico che appare maggiore di quello di paesi simili e con essa confinanti, come la Norvegia e la Finlandia. Un Rapporto documenta le carenze strutturali esistenti nella sicurezza delle case di riposo svedesi rispetto alle malattie infettive e sottolinea i rischi derivanti dalla situazione lavorativa del personale, sia come numerosità di operatori che come qualificazione, professionalità ma soprattutto come tipologia di rapporto di lavoro (collaborazioni in diverse strutture assistenziali, con aumento dei rischi di contagio). L’analisi conferma al 47% il contributo all’eccesso della mortalità totale di popolazione. Un altro 25% di eccesso lo attribuisce a soggetti definiti come “care home users ”, cioè ospiti non permanenti. La mortalità in eccesso si concentra nella zona ad alta densità abitativa, quella di Stoccolma. Attualmente in Svezia è in corso una inchiesta nazionale per valutare la grave crisi del sistema di welfare che come è noto è comunque considerato uno dei migliori in Europa - e quanto essa possa aver contribuito alla mortalità in eccesso. Questi dati fanno riflettere sul contributo della diffusione infettiva tra i residenti e "user" delle home care sul totale dell’impatto di Covid-19 in un paese con un sistema di welfare avanzato. Un contributo che dovrà essere valutato, a dati fermi, con precisione per capire le innovazioni necessarie a evitare il ripetersi di crisi così gravi.
In Gran Bretagna, Office for Statistics ha pubblicato il primo apporto sui dati di mortalità rapida ad inizio aprile dimostrando l’impatto importante della epidemia nascosta. Conseguenza è stato l’inserimento immediato delle morti Covid-19 probabili nel numero delle morti ufficiali, mentre all’inizio dell’epidemia esse erano solo circoscritte a quelle in ospedale e certe. Nell’analisi prodotta a metà luglio 2020 (England&Wales, week 29, 17 luglio 2020) tra le 51.264 morti cumulative che erano correlate a Covid-19, il 63,4% erano avvenuti in ospedale e il 30% (15.126) in home care. Tra le rimanenti, 2389 in case private e 720 in hospice o altre strutture comunali (231); 195 sono i morti in strutture non definite. In un commento ai dati inglesi, Comes-Herrera, nel rapporto dell’ILTPN prima ricordato, sottolinea che le home care in Inghilterra hanno un buon sistema organizzativo e di qualità a livello locale e anche un discreto sistema informativo, ma aggiunge che è venuta totalmente a mancare a livello nazionale la conoscenza che sarebbe stata necessaria per affrontare la situazione di emergenza, soprattutto quella di protezione dalle malattie infettive. Definisce questa situazione come l’invisibilità delle home care nel sistema assistenziale inglese.
La ripartenza e l’urgenza del cambiamento
La consapevolezza che vi è stato un importante effetto “incubatore” degli ospedali che sono diventati, nell’esplosione epidemica, sorgenti di diffusione all’interno e all’esterno è entrato a far parte in modo esplicito della nostra consapevolezza sulla epidemia Covid-19. Le RSA sono divenute moltiplicatori di infezione sia per i contatti interni, che per le relazioni con l’esterno, le visite e il personale e hanno contribuito a esportare il virus nelle famiglie e nelle altre strutture. Ma l’attenzione, in questo caso, si è rivolta soprattutto alle implicazioni politiche e giudiziarie.
Invece questa grave crisi rimanda a carenze strutturali profonde e presenti nei maggiori stati del mondo, e richiede, anche se i dati sono pochi e frammentati, una riflessione critica sul rapporto welfare-sanità e una riforma profonda. Oggi non sappiamo quale sarà la reazione delle famiglie italiane al massacro che vi è stato in alcune comunità e narrato dai media con un taglio soprattutto politico-giudiziario. È possibile che ci sia una fuga dai luoghi della morte, perché, come ci ha informati una scarna lettera al Corriere della Sera del Prof. Ferrario del 24 di agosto, quando alla ribalta vi erano le discoteche, ancora oggi gli anziani sopravvissuti nelle RSA si lasciano andare fino a morire, rifiutano di nutrirsi e sono senza indicazioni sulle visite dei loro parenti. Uno scenario che non so se sia solo lombardo, ma su cui istituzioni e informazione dovrebbero, credo, fare molto di più. È una situazione che, lasciata a se stessa, può aggiungersi alle altre difficoltà dell’oggi e contribuire alla crisi della sanità pubblica.
La prima fase dell’epidemia, con grande sofferenza, ha falcidiato le persone più deboli e di queste i residenti in RSA e strutture di assistenza sono stati molti. Il tema degli anziani e delle RSA non si risolve da solo e si riprodurrà piuttosto in fretta, pandemia o no. È ipotizzabile che i familiari sempre più ricorrano all’assistenza a domicilio per i propri cari, come conseguenza della paura e delle crescenti difficoltà economiche di molte famiglie.
Il problema del lavoro di cura, a prevalenza femminile, è enorme in Italia sia nell’assistenza agli anziani sia ai soggetti più deboli. Coinvolge personale sanitario e non, spesso poco qualificato, e si intreccia con le grandi questioni della regolarizzazione, anche nei termini di riconoscimento dei diritti fondamentali, di una manodopera spesso invisibile, una questione parzialmente affrontata nell’iniziativa di sanatoria post-Covid-19. L’attività di assistenza si svolge largamente senza visibilità né controllo, e, come le prime indagini che si stanno facendo in tutti i paesi dimostrano, spesso con lavoratori delle strutture che operano precariamente per poche ore in contesti diversi, e che diffondono così l’infezione.
Il rischio che stiamo correndo è di accentuare le diseguaglianze sociali in quell’area borderline tra welfare e sanità che è un vero tallone di Achille della nostra società. I progettati investimenti in sanità sono rivolti alla sicurezza degli ospedali (peraltro, a giudicare da molte testimonianze, spesso ancora di là da venire), al ripristino, in emergenza, di condizioni di sicurezza e assistenza nei reparti e nelle terapie intensive e al controllo attento dei focolai sul territorio. Tutte azioni indispensabili e necessarie, ma che vanno pensate in un’ottica complessiva del sistema di sanità, welfare e assistenza pubblica.
Vi sono tante innovazioni urgenti e necessarie da realizzare in un sistema come questo, a partire dal sistema informativo e dalla valutazione della qualità. Muoversi rapidamente per programmare come ottenere e impiegare i fondi a credito per la crisi pandemica (quelli finora chiamati MES) e il Recovery-Fund (EU-next generation) è una priorità cruciale. La situazione del nostro welfare richiede un cambiamento strutturale assai profondo.
Note
1. Sara Berloto, Elisabetta Notarnicola, Eleonora Perobelli, Andrea Rotolo, “Italy and the COVID-19 long-term care situation”, 31 luglio 2020. https://ltccovid.org/wp-content/uploads/2020/08/LTC-COVID19-situation-in...
2. Adelina Comas-Herrera, Joseba Zalakaín, Charles Litwin, Amy T. Hsu, Elizabeth Lemmon, David Henderson and Jose-Luis Fernández, "Mortality associated with Covid-19 outbreaks in care homes: early international evidence", 26 Giugno 2020. https://ltccovid.org/wp-content/uploads/2020/06/Mortality-associated-wit...
3. Il rapporto ILTP rivela notevoli problemi di comparabilità tra le diverse nazioni, soprattutto dovute alla disponibilità dei dati e alla policy seguita dai governi per l’offerta di tamponi nasofaringei. Inoltre, la definizione di home care varia tra paesi, per esempio in Germania essa è molto estensiva. I problemi delle home care a livello internazionale messi in evidenza dall’epidemia sono stati efficacemente presentati anche in una inchiesta dell’Economist dedicata al tema.