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Risultati preliminari dell’indagine di sieroprevalenza sul coronavirus

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COVID-19 IgG/IgM Antibody Test (Texas Military department).

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In questa nota verranno illustrati alcuni risultati preliminari dell’indagine effettuata dall’Istat e dal Ministero della Salute per quantificare la presenza degli anticorpi anti-coronavirus nella popolazione italiana. Sono stati privilegiati i risultati che hanno potenzialmente valore operativo allo scopo di limitare la diffusione del virus.

A causa della notevole percentuale di “mancate risposte’’, sono stati effettuati solo circa 65.000 dei 150.000 test previsti. L’Istat ha comunque applicato metodi validati per ridurre al minimo gli effetti di questo fenomeno sulle stime ottenute. I soggetti risultati positivi sono stati circa il 2,5% della popolazione italiana, quindi approssimativamente pari a un milione e mezzo di persone. Osserviamo che teoricamente questa è una stima per difetto della percentuale di persone che hanno avuto contatto con il coronavirus. Infatti alcuni dei soggetti infettati possono non aver sviluppato anticorpi e d’altro canto alcuni dei soggetti che li hanno sviluppati possono essersi negativizzati prima del test sierologico.

Ci sono diversi risultati interessanti di questa ricerca. Il primo luogo, poichè alla fine dell’indagine, il 15 luglio 2020, c’erano circa 240.000 casi documentati di soggetti positivi al tampone, per ognuno di essi ci sono in media circa cinque casi che hanno avuto contatto con il virus ma che non sono stati documentati (a rigore dovremmo dire almeno cinque). In altri termini, la percentuale dei casi documentati sul totale dei soggetti infettati è pari circa al 17%. Questo risultato è sovrapponibile a quello di uno studio internazionale pubblicato su Science all’inizio di maggio secondo cui questa percentuale era uguale al 15%.

Un secondo risultato di interesse riguarda la percentuale stimata di asintomatici, pari a circa il 27%, valore tutt’altro che basso. Assumendo che, per un soggetto infetto, sia la probabilità di sviluppare anticorpi, che quella della loro negativizzazione prima del test sierologico siano indipendenti dall’asintomaticità, il 27% sarà anche la percentuale di asintomatici in soggetti infetti nella fase in cui sono contagiosi. È plausibile che per un asintomatico la probabilità di infettare sia più bassa che per un sintomatico, così come la carica virale che è in grado di trasmettere. È comunque vero che, se abbiamo qualche possibilità per sospettare che una persona con sintomi abbia il coronavirus e quindi possiamo tenerci lontani, non ne abbiamo nessuna per un asintomatico. Il risultato precedente ci dice quindi che è bene usare il principio di precauzione e indossare la mascherina quando siamo al di fuori della nostra casa in luoghi chiusi e in qualsiasi condizione nel caso in cui siamo a meno di un metro da un’altra persona con cui non conviviamo.

È ragionevole assumere che i positivi al test sierologico con diagnosi di coronavirus tramite tampone siano quasi esclusivamente soggetti sintomatici. Quindi, su 100 soggetti positivi al test sierologico, in media 73 saranno sintomatici. Dal primo risultato qui illustrato segue quindi che in media solo 17 di loro hanno avuto una diagnosi di Covid-19 tramite tampone. Di conseguenza, i restanti 56 (77% circa), seppure sintomatici, non hanno avuto una diagnosi di coronavirus. Una percentuale di queste 56 persone, che potrebbe essere non trascurabile, ha nel frattempo infettato qualche altra persona. È importante quindi che appena si notano dei sintomi anomali, anche minimi, come per esempio variazioni del gusto e dell’olfatto, si contatti il proprio medico curante o un medico di fiducia che possa monitorare il paziente, fornire consigli per minimizzare il rischio di infettare altre persone ed eventualmente richiedere di effettuare il tampone.

La percentuale del 2,5% di sieroprevalenza è stimata a livello nazionale. A livello regionale ci sono notevoli differenze di questa percentuale, anche di un ordine di grandezza. Il valore massimo è raggiunto dalla Lombardia, 7,5%, e quello minimo dalle due isole, Sicilia e Sardegna, 0,3%, con rapporto pari a 25. A livello provinciale il valore massimo sale al 24% a Bergamo. Nella figura 1 viene riportata la mappa delle regioni italiane con l’intensità che decresce al crescere della percentuale di sieroprevalenza. La media dei valori delle percentuali nelle regioni del nord (da Toscana ed Emilia Romagna comprese in su) è pari a circa 3,1% e per le regioni del sul è circa uguale a 0,95%. Questa differenza è statisticamente significativa.

Figura 1. Mappa delle regioni italiane rappresentate con intensità decrescente al crescere della percentuale di sieroprevalenza per il coronavirus.

Nella figura 2 mostriamo un fit lineare tra il numero totale dei casi positivi documentati al 15 luglio 2020 rapportati alla popolazione della regione e la corrispondente percentuale di sieroprevalenza. La Lombardia è stata considerata un “outlier’’ ed è stata esclusa dal fit. È da notare che il valore stimato per il coefficiente angolare è circa uguale a cinque, 4,9 più esattamente. Precedentemente abbiamo visto che il valore stimato per il rapporto tra numero delle persone che hanno avuto contatto con il virus e numero dei contagiati documentati al 15 luglio 2020 è pari circa a sei. Questa discrepanza si spiega con il valore della percentuale di sieroprevalenza in Lombardia, 7,5%, molto più alto di quello delle altre regioni; inoltre questa regione ha il 51% dei positivi al test sierologico. Questo ci porta a considerare più attendibile il valore cinque, stimato sui dati disaggreati per regione dopo aver escluso la Lombardia, considerata outlier.

Figura 2. Modello lineare per la percentuale di sieroprevalenza per il coronavirus nelle regioni italiane in funzione del totale dei casi documentati al 15 Luglio 2020 rispetto alla popolazione della regione. Il dato della Lombardia (quello più in alto di tutti) è stato considerato come outlier e non è stato considerato nell’analisi.

La stima della probabilità di essere contagiato sale dal 2,5% al 16% circa per chi è stato a contatto con una persona affetta dal virus. Questo è in accordo con quanto ci suggerisce l’intuizione. Un risultato interessante è che questa probabilità sale al 42% circa nel caso in cui si tratti di un familiare convivente, mentre è del 16% circa se non è convivente. Questo ci dice che è molto importante fare attenzione ai minimi sintomi sospetti e, come nel caso precedente, contattare un medico e mettere in atto tutte le misure possibili per limitare il rischio potenziale di contagiare uno o più dei familiari con cui si convive. Infine, un altro dato interessante riguarda la probabilità di essere contagiati da un soggetto affetto dal coronavirus che è un collega di lavoro, pari a circa il 12%. Seppure inferiore al caso precedente, anche qui il valore stimato suggerisce di attuare nei luoghi di lavoro tutte le norme di prevenzione e monitoraggio suggerite dalle autorità sanitarie per limitare la diffusione del virus.

 


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