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Chi sarà vaccinato?

Mentre la ricerca lavora allo sviluppo di un vaccino per SARS-CoV-2, le incertezze e i dubbi legati alla precedenza da assegnare nella sua distribuzione sono ben analizzati sul portale Medscape da un dibattito moderato da Arthur L. Caplan, della divisione di Etica medica della New York University's Grossman School of Medicine. 

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Holden H. Thorp, direttore di Science, alla fine di luglio scriveva che c’erano motivi per essere ottimisti circa l’allestimento di un vaccino contro il SARS-CoV-2 in tempi record: secondo il report dell’OMS, 165 candidati avevano dimostrato, nei primati non umani, una risposta immune apparentemente protettiva e 25 di essi erano passati alla sperimentazione sull’essere umano. Thorp sottolineava, tuttavia, anche i motivi di cautela: la sicurezza a lungo termine dei vaccini in preparazione sarà ignota fino a quando i volontari non saranno stati osservati per tempi sufficientemente lunghi e l’entusiasmo per l’efficacia nelle scimmie va temperato dalla nozione che questi animali non sviluppano forme gravi di Covid-19.

Negli Stati Uniti d’America, però, l’amministrazione Trump, dopo essersi messa alla testa degli anti-vaccinisti e degli anti-mascherina, aver proposto terapie fumettistiche, gettato discredito sul migliore dei suoi esperti, Anthony Fauci, pasticciato sull’uso dei test diagnostici, per uscire dalla crisi in vista delle elezioni presidenziali ha bisogno subito del vaccino, tanto da aver soprannominato la sua ricerca Operation Warp Speed (operazione velocità della luce). Dall’altra parte dell’oceano, la Russia ha chiamato Sputnik il suo vaccino che, proprio come un razzo, è schizzato in orbita saltando la fase 3 della sperimentazione, quella che confronta l’incidenza della malattia in un gran numero di persone trattate con vaccino o con placebo.

Il clima complessivo non fa ben sperare sull’importanza che s’intende annettere alla sicurezza del preparato. Il nazionalismo vaccinale, come lo definisce David P. Fidler, membro del Council on Foreign Relations di Washington, ha sicuramente come capofila Stati Uniti, Russia e Cina, ma altri paesi, come Gran Bretagna, India e alcuni membri dell’Unione europea non sono da meno e non può sfuggire che, nell’arrampicata per aggiudicarsi le riserve vaccinali, si distinguono i governi che più hanno fallito nel controllare la diffusione del virus e disertato la cooperazione internazionale.

Come è già successo in precedenti epidemie, con Covid-19 le nazioni che hanno le risorse per accedere al vaccino si sottraggono alle istanze di un accesso globale ed equo: i vaccini arriveranno ai paesi più poveri solo dopo che quelli più ricchi e potenti avranno protetto se stessi, soprattutto in considerazione del significato di supremazia geopolitica che assume accaparrarsi l’approvvigionamento. Molte delle nazioni che hanno un maggior bisogno del vaccino non hanno le risorse per procacciarselo e, dal momento che il virus è così diffuso, non possono neanche “scambiarlo” con la fornitura di campioni biologici per far avanzare le conoscenze scientifiche, com’era avvenuto per Ebola o per altre epidemie del terzo mondo.

Hanno, perciò, un retrogusto di stantìo le ammonizioni che il WHO’s Strategic Advisory Group of Experts (SAGE) on Immunization aveva emesso nel 2015:

“Molti fattori devono essere considerati prima di distribuire un vaccino: le risorse economiche e logistiche per farlo, i rischi legati all’inoculo (di solito minimi), la preferibilità della prevenzione rispetto alla cura, la durata della protezione conferita, la possibilità di un’immunità di gregge in aggiunta a quella individuale, la fattibilità di una vaccinazione su larga scala… Tutte le decisioni prese durante una crisi umanitaria devono essere il frutto di un equilibrio tra benefici e possibili danni: solo i vaccini che hanno provato di essere efficaci e sicuri nell’uso abituale possono essere presi in considerazione per una somministrazione di massa, nella fase acuta di una crisi umanitaria. Essi non solo proteggono le persone singole da una specifica malattia, ma conferiscono un beneficio aggiuntivo attraverso l’immunità di gregge, che riduce la trasmissione della malattia al di sopra di una certa soglia di copertura vaccinale. Il rifiuto dei genitori a vaccinare se stessi o i figli può provocare un danno collettivo, aumentando, in una comunità, il numero dei soggetti non immuni e quindi suscettibili alla malattia: quando l’immunità di gregge è compromessa, un’epidemia può sempre esplodere…Se le scorte di vaccino sono limitate, va data la precedenza agli operatori sanitari, ai bambini in età scolare e ai pazienti immuno-soppressi o con malattie croniche. I rifugiati e i migranti non devono essere trattati diversamente dai membri della comunità ospitante. Il principio guida dovrebbe essere quello di offrire un accesso alla vaccinazione tale da pareggiare i rischi».

Non va dimenticato, inoltre, che saranno necessarie due dosi del vaccino attualmente in dirittura d’arrivo per ottenere anticorpi sufficienti; questa complicazione pratica, logistica ed economica renderà ancora più arduo decidere a chi destinare la prima partita di dosi prodotte.

Secondo i vari frequentatori dei salotti mediatici, la precedenza va data ora al personale sanitario, ora agli anziani, ora ai più giovani, ora ai lavoratori della filiera del cibo. Negli USA, le National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine, l’Advisory Committee on Immunization Practices del Centers for Disease Control and Prevention (CDC) e i National Institutes of Health sono in riunione permanente (ma ciascuna per conto proprio) per definire le priorità. Per risolvere la questio, anche l’OMS sta organizzando iniziative, che coinvolgono CEPI (Coalition for Epidemic Preparedness and Innovation) e GAVI (Global Alliance for Vaccines and Immunizations), agenzie di cui fanno parte molti dei maggiori donatori internazionali.

Le incertezze e i dubbi legati alla precedenza da assegnare nella distribuzione del futuro vaccino sono ben analizzati sul portale Medscape da un dibattito moderato da Arthur L. Caplan, della divisione di Etica medica della New York University's Grossman School of Medicine, cui hanno partecipato Helen Rees, direttrice dell’Università di Johannesburg e membro dell’Afro Regional Task Force on Immunization dell’OMS, del Facilitation Committee of the COVID-19 Clinical Research Coalition e del GAVI, Paul Auwaerter, direttore della divisione di Malattie infettive alla Johns Hopkins University School of Medicine e già presidente dell’Infectious Diseases Society of America e, infine, Ron Waldman, della George Washington University, esperto di salute globale e sviluppo.

Il primo interrogativo, al contempo pratico e morale, sorto nei partecipanti è proprio chi abbia l’autorità di decidere quali soggetti debbano essere vaccinati prima degli altri (o vaccinati tout court). Nella realtà, sarà lo stato economico della nazione a decidere sull’allocazione di scorte limitate di vaccino: dove il servizio sanitario è debole e il personale è scarso e con poca dotazione di protezioni individuali, a esso va data la precedenza; nelle ricche e ben equipaggiate nazioni europee, questa può essere data agli anziani, che sono i responsabili della maggiore mortalità. Se si opta per la distribuzione iniziale al personale sanitario (il che già comporta una sostanziale mancanza di equità, dal momento che queste categorie sono molto più numerose nel mondo occidentale che nei paesi in via di sviluppo), s’impone una precisazione non da poco su chi ne faccia parte, dal momento che un ospedale funziona anche perché qualcuno vi prepara il cibo, lo pulisce, ne movimenta la biancheria, ne garantisce la sicurezza, fa manutenzione degli edifici e, infine, lo amministra. Anche nel novero di chi lavora in un ospedale, dunque, s’impone una selezione, che privilegi i sanitari a più diretto rischio di contagio.

Ma se il principio-guida morale deve essere quello di vaccinare per prime le persone più a rischio di morire, non bisogna dimenticare che le categorie più in pericolo sono la popolazione carceraria e quella dei campi profughi o delle favelas dei lavoratori stagionali, spesso irregolari: è ovvio, però, che sarebbe molto difficile per qualsiasi governo proporre agli elettori di vaccinare i carcerati o gli immigrati prima dei loro figli o nonni o medici.

Nel corso dei mesi, poi, si è visto che i comportamenti di autoprotezione dei vecchi che ancora non si sono ammalati possono essere vanificati dalla sempre più diffusa positività al virus dei loro nipoti bambini e adolescenti, che invece hanno comportamenti più a rischio: questa constatazione imporrebbe di vaccinare a tappeto la popolazione in età scolare.

Un’altra incertezza, assolutamente attinente all’ultimo punto, riguarda l’efficacia del vaccino, che non è ipotizzata essere del 100%; ancora non si sa se sarà allestito un vaccino che prevenga solo le manifestazioni di malattia o un vaccino che sia anche in grado di impedire la trasmissione del virus. Inoltre, l’efficacia dipende anche dalla copertura vaccinale e sarà ancora più bassa se, nel mondo, ci saranno ampie sacche di popolazioni povere non sottoposte alla vaccinazione. Anche all’interno delle nazioni affluenti possono esservi queste sacche, rappresentate dai contrari al vaccino e dagli “esitanti”, per timore di eventuali complicazioni neurologiche gravi, timori in questo caso aumentati dall’obiettiva carenza di prove di sicurezza sul campo. Tuttavia, gli esperti di Medscape ritengono che anche una copertura del 60-70% potrebbe essere utile contro la diffusione epidemica.

Va, poi, ricordato che l’avvento di Covid-19 non ha eliminato le altre malattie che mietono vittime nei continenti asiatico e africano (come rotavirus, poliomielite, morbillo, HIV, TBC, per fare qualche esempio). Ci si chiede, quindi, se gli sforzi per produrre il vaccino contro il nuovo coronavirus non siano a scapito di quelli per vaccinare contro le malattie già note: l’emergenza Covid-19 ha messo sottosopra i servizi sanitari di tutto il mondo, ma appare chiaro che questo sconvolgimento sanitario è destinato a perdurare se non si riuscirà a mettere all’epidemia da SARS-CoV-2 un freno tale almeno da non imporre altri lockdown. Per fortuna, sono stati investiti globalmente fondi ingentissimi nel potenziamento delle industrie farmaceutiche esistenti e nella creazione di nuove, il che dà qualche garanzia che possa essere mantenuta la produzione anche dei vaccini per le altre malattie.

Per i convenuti alla tavola rotonda di Medscape, comunque, la perplessità più cruciale è di nuovo quella circa la sicurezza del vaccino contro il nuovo coronavirus: mentre le maggiori potenze sferzano i loro scienziati perché premano sull’acceleratore (gli USA esibiscono un trial di fase 3 su 15.000 volontari, da raddoppiare entro le elezioni presidenziali), gli scienziati che si occupano di sicurezza dei farmaci tirano il freno a mano, poco affascinati dai dati mirabolanti: SARS-CoV-2 è un virus respiratorio subdolo anche dal punto di vista immunologico e si sospetta che possa addirittura potenziare la sua dannosità nelle persone che vi siano esposte dopo essere state immunizzate.

Dal momento che le nazioni democratiche non possono fare come la Cina, che sta vaccinando a tappeto le forze armate senza tema di ripercussioni nel gradimento popolare, per gli esperti di Medscape la vaccinazione in un primo tempo non dovrebbe essere obbligatoria, ma praticata su base volontaria, forse con la sola eccezione del personale sanitario, in cui dovrebbe essere almeno fortemente raccomandata; l’obbligatorietà, essi sostengono, ha più senso se si mira alla completa eradicazione della malattia (come nel caso del morbillo), mentre in questo caso si può mirare, al massimo, al suo controllo. E se questo è l’obbiettivo realistico, vale la pena di puntare non solo sul vaccino, ma anche sulle opzioni terapeutiche, come i nuovi antivirali e gli anticorpi monoclonali.

Nel frattempo, le armi contro il virus restano quelle di sempre: mascherine, distanziamento e igiene delle mani, anche se è purtroppo assodato che i comportamenti corretti sono al contempo i presidi più utili e i meno facili da ottenere dalla maggioranza delle persone, specie sul lungo periodo.

 

Bibliografia
Thorp Holden H. A dangerous rush for vaccines. Science 369 (6506), 885. DOI: 10.1126/science.abe3147originally published online August 13, 2020
Emanuel Ezekiel J et al. An ethical framework for global vaccine allocation. Science 10.1126/science.abe2803 (2020)
Fidler David P. Vaccine nationalism's politics. Science 369 (6505), 749.DOI: 10.1126/science.abe2275
Thorp Holden H. Cautious optimism. Science 369 (6503), 483. DOI: 10.1126/science.abe0359
Caplan Arthur L et al. COVID-19 Vaccine: which Country should get it first? https://www.medscape.com/viewarticle/936107
Moodley K et al. Ethical considerations for vaccination programmes in acute humanitarian emergencies. https://www.who.int/bulletin/volumes/91/4/12-113480/en/

 


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