fbpx Ambiente e salute, servono prove migliori | Scienza in rete

Annus horribilis per ambiente e salute. Ora serve una ricerca migliore

Primary tabs

San Francisco, devastata dagli incendi, si tinge di arancione. Uno dei tanti sintomi della "pandemia ambientale" in corso. Ora la scienza deve decuplicare i suoi sforzi per cogliere i nessi che legano le diverse manifestazioni di crisi ambientale e sanitaria - a partire da Covid-19 - e socioeconomica che hanno dominato il 2020. Ma serve un ricerca più robusta, con dati ed evidenze più solide. Solo così può convincere la politica che esiste una emergenza di Salute planetaria.

Tempo di lettura: 9 mins

In un recente incontro tenutosi a ESOF 2020 a Trieste quattro eminenti climatologi non si sono sottratti ad azzardare connessioni fra l’attuale pandemia di Covid-19 e la crisi ambientale e climatica in corso. Uno di loro, Filippo Giorgi (ICTP, Trieste), si è spinto a definire l’attuale stato di crisi planetaria, a un tempo sanitarie e climatica, “pandemia ambientale”. Non è il primo ad avere riunito sotto il cappello pandemico anche il tema del cambiamento climatico. I punti di contatto fra riscaldamento globale, erosione della biodiversità, inquinamento e Covid-19 non mancano: l’origine animale del virus che ha compiuto con tutta probabilità il salto di specie per una sempre più accentuata vicinanza/interferenza fra ambienti antropici e della fauna selvatica; la globalizzazione spinta e la correlata mobilità che spariglia continuamente le comunità umane aumentando all’infinito le occasioni di infezione; l’inquinamento dell’aria come probabile medium fisico della diffusione virale. Immaginare che anche il cambiamento climatico sia implicato nella pandemia non è irragionevole se non lo si interpreta banalmente come una correlazione fra temperature ed efficienza di trasmissione virale, ma come energia che si scarica sul pianeta con una serie di effetti devastanti che non possono non ripercuotersi sui pattern di vita animali, umani e sociali.

Bene ha fatto l’editoriale di apertura del numero di settembre della rivista Lancet Planetary Health a evidenziare la sincronizzazione fra epidemia e incendi in Australia e in seguito in California, l’anomalo scioglimento dei ghiacci della Groenlandia, la furia del ciclone Amphan che si è abbattuto a maggio su India e Bangladesh, dove sono seguite terribili inondazioni. . Dove non c’è prova di nesso causale specifico, c’è comunque una inquietante compresenza di anomalie, una confluenza di eventi planetari avversi che sembrano intensificarsi progressivamente nel tempo per ripercuotersi a cascata dal dominio ambientale a quello sanitario, economico e sociale. Cosa ci sta suggerendo questo “grande disordine”? È frutto questo della nostra sempre più raffinata capacità di monitorare la salute globale del pianeta o è il sintomo di dinamiche emergenti, di una transizione di fase destinata a consolidarsi nel tempo?

Molti di coloro che sono impegnati nello studio e nell’advocacy della salute planetaria ritengono che non si possano attendere prove certe dei nessi ambiente-salute per passare all’azione e intrecciare impegno scientifico a mobilitazione politica. Ne è un esempio la campagna per la messa al bando dell’uso del carbone nello stato dell’Alberta (Canada) entro il 2030 come impegno concreto per il raggiungimento di un chiaro co-beneficio ambientale e sanitario (si veda a questo proposito l’articolo di Lancet Planetary Health). C’è, in effetti, un’urgenza che reclama risposte immediate a situazioni molto complesse da districare dal punto di vista scientifico. Resta però l’esigenza di indirizzare la ricerca scientifica verso programmi sempre più interdisciplinari, robusti e convincenti. Solo prove solide e specifiche sui determinanti della pandemia di Covid-19 potranno infatti vincere l’immensa resistenza della comunità scientifica e politica a mettere insieme temi quali salute, ambiente, economia e società in una stessa “cesta”, e ad accettare una prospettiva di “salute planetaria”. Si sono incaricati di porre la questione 15 epidemiologi attivi nel campo della salute ambientale con una Commento, di nuovo, sul numero di settembre di Lancet Planetary Health, fra cui spiccano molti nomi italiani, fra i quali Fabrizio Bianchi e Paolo Lauriola.

Il testo - che riproponiamo qui sotto anche nella sua versione italiana per comodità di lettura - lancia la sfida di una ricerca epidemiologica più rigorosa e specifica. Gli studi sui determinanti sociali e ambientali su Covid sono stati finora di natura osservazionale ed ecologica, utili ma insufficienti a stabilire nessi causali convincenti. Ora servono studi con risoluzione spaziale e temporale adeguata, ben corretti per i confondenti, e nutriti di dati analitici (che ancora mancano) sulla pandemia. (Al momento, per fare un esempio, i dati resi disponibili su Covid non consentono di seguire coorti ben ordinate di casi nemmeno per stabilire il variare della letalità). In mancanza di queste risorse abbondano studi suggestivi ma generici che riportati dai media alimentano grandi confusioni e nebbie informative, entusiasmano i “militanti” ma non fanno avanzare granché la conoscenza delle radici ambientali della pandemia.

In questo momento di crisi e di generale ridefinizione delle priorità, la scienza ha buone probabilità di farsi ascoltare dalla politica. Ma che sia buona scienza.

 

Per rispondere a Covid-19 occorre una forte evidenza epidemiologica sui suoi determinanti ambientali e sociali

di Ariana Zeka, MD MSc ScD 1, Aurelio Tobias, PhD 2, Giovanni Leonardi, MD MSc FFPH 3,4, Fabrizio Bianchi, BSc PhD 5, Paolo Lauriola, MD 5, Helen Crabbe, MSc MFPH PIEMA FRMetS 3, Sotiris Vardoulakis, PhD 6, Yuming Guo, MD PhD 7, Yasushi Honda, MD PhD 8, Antonio Gasparrini, BSc Mbiol MSc PhD 4, Masahiro Hashizume, MD PhD 9, Ana Maria Vicedo, PhD 10, Lisbeth E. Knudsen, PhD 11, Francesco Sera, BSc MSc 4, Matthew Ashworth 12, INPHET Scientific Committee 13

SARS-COV-2 e la conseguente COVID-19 hanno causato un'emergenza globale che richiede interventi e risposte integrate, interdisciplinari e rapide da parte della comunità scientifica. Il cambiamento climatico e ecologico e la perdita di biodiversità potrebbero aver avuto un ruolo importante nel verificarsi della pandemia zoonotica. Fattori climatici e ambientali come la temperatura, l’umidità e l’inquinamento dell’aria stanno influenzando la sua trasmissione, diffusione e gravità. Sono necessarie forti prove scientifiche sui contributi di questi determinanti ambientali nella pandemia di COVID-19, in combinazione con la comprensione del ruolo di altri importanti fattori sociali e degli interventi di salute pubblica. Questa evidenza scientifica aiuterà gli operatori di salute pubblica a rispondere all'attuale crisi, e calibrare le strategie di prevenzione della COVID-19 e delle emergenze future.

Per rispondere a tali bisogni urgenti, organismi di finanziamento pubblico, associazioni private e riviste scientifiche hanno assicurato risposte rapide per progetti e pubblicazioni di ricerche. L'urgenza di capire la pandemia è stata sicuramente positiva e ha dato l'opportunità di condurre rapidamente nuovi studi e la revisione di articoli scientifici. Ciò ha tuttavia portato a una straordinaria disponibilità di risultati, che sono in qualche modo incoerenti tra regioni, paesi e comunità. Noi riconosciamo l'urgente necessità di comprendere la pandemia di COVID-19 e il contributo dei fattori ambientali, sociali e di popolazione. Tuttavia, come comunità di epidemiologi ambientali e ricercatori di sanità pubblica, siamo preoccupati che la rapidità di pubblicazione e la revisione tra pari durante la pandemia ha reso possibile la pubblicizzazione di numerosi studi semplici da realizzare, ma inadeguati per affrontare la complessità della pandemia, i suoi driver e i sui complessi impatti. Esempi recenti dimostrano che tali studi sono stati oggetto di grande attenzione da parte dei media e del pubblico generale, ma non si può nascondere che possano aver contribuito ad aumentare il rumore di fondo piuttosto che costruire solide prove epidemiologiche [1]. Elemento ancora più importante, ciò rischia di disinformare sulla scienza e la politiche da adottare, e potrebbe disorientare l'opinione pubblica da questioni cruciali come la salute ambientale globale.

Tra le complesse influenze ambientali sull'insorgenza e sulla diffusione dell'infezione da SARS-COV-2 e la malattia COVID-19, quelle legate ai cambiamenti climatici sono di primaria importanza, ma essendo indirette, sono più difficili da documentare, analogamente ad altre infezioni collegate al clima (come colera, malattie ed Ebola). È in gioco una vasta gamma di fattori che possono modificare ovvero precludere, limitare o amplificare gli effetti e che sono legati a altri fattori e processi, tra cui le caratteristiche degli ospiti, dei vettori e degli stessi agenti patogeni, le condizioni ecologiche e sociali prevalenti, oltre a fattori coesistenti (locali e globali) nei contesti sociali, economici, comportamentali e ambientali [2]. Precedenti studi sull’associazione tra malattie infettive e condizioni climatiche hanno preso in considerazione questi fattori [3]. Il ruolo di altri potenziali determinanti ambientali di COVID-19, incluso l'inquinamento atmosferico, potrebbero così diventare più chiari in un contesto epidemiologico più organico e comprensivo a livello globale.

Per affrontare compiutamente questa pandemia avremo bisogno di una buona comprensione dei suoi determinanti principali, e quindi avremo la necessità di condurre osservazioni sistematiche a livello globale, regionale e comunitario di molti aspetti della COVID-19. Desideriamo quindi raccomandare indagini epidemiologiche basate su dati multilivello affidabili e rappresentativi su determinanti ambientali e sociali, e su dati confermati sulla COVID-19, in grado di fornire prove scientifiche robuste [4]. Numerosi studi recentemente pubblicati, che hanno adottato disegni di tipo ecologico o comunque semplificati, hanno fornito elementi utili per esplorare o generare ipotesi sulla relazione tra ambiente e COVID-19. Ora sono necessari nuovi studi epidemiologici ambientali che mirino a chiarire l’inferenza causale che porta alla pandemia. C’è bisogno di studi con risoluzione spaziale e temporale appropriata che controllino gli effetti degli interventi comportamentali, sociali e comunitari fattori socioeconomici ed effetti combinati sulla popolazione, nonché determinanti ambientali multipli. E ,ancora più importante, gli studi epidemiologici attuali e futuri dovrebbero tenere conto delle differenze e dell’accuratezza della definizione di caso e di decesso COVID-19 [5], della tempistica e il ritardo nella segnalazione [6], dell'evoluzione delle fasi della pandemia e delle differenze nella disponibilità dei dati, entro e tra regioni, paesi e comunità. Inoltre, questi studi devono affrontare questioni di trasparenza per consentire la riproducibilità, compresa la chiara segnalazione dell'origine dei dati e delle caratteristiche dei modelli utilizzati [7].

Accogliamo con favore l'interesse per gli aspetti ambientali legati alla pandemia da COVID-19 in tutta la comunità scientifica, e confidiamo che questa crisi rafforzi la necessità di un sistema di informazione e ricerca interdisciplinare, integrato e collaborativo al servizio della salute pubblica. Molte esperienze in tutto il mondo stanno dimostrando che la scienza è stata presa come criterio principale per le decisioni dei responsabili politici nella loro risposta alla pandemia. Pertanto pensiamo che sia cruciale utilizzare questa straordinaria opportunità per la comunità scientifica di informare il processo decisionale nella prospettiva di un futuro sano e sostenibile a livello locale, regionale e globale.

Le opinioni espresse sono quelle degli autori e non necessariamente delle organizzazioni di affiliazione.

 
Affiliazioni autori
1. Institute of Environment, Health and Society, Brunel University London, Uxbridge, United Kingdom
2. Institute of Environmental Assessment and Water Research (IDAEA), Spanish Council for Scientific Research, Barcelona, Spain
3. Centre for Radiation, Chemicals and Environment Hazards, Public Health England, Didcot, United Kingdom
4. Department of Public Health, Environments and Society, London School of Hygiene & Tropical Medicine, London, United Kingdom
5. Unit of Environmental Epidemiology, Institute of Clinical Physiology, National Research Council, Pisa, Italy
6. National Centre for Epidemiology and Population Health, Research School of Population Health, College of Health and Medicine, The Australian National University, Canberra, Australia
7. Department of Epidemiology and Preventive Medicine, School of Public Health and Preventive Medicine, Monash University, Melbourne, Australia
8. Center for Climate Change Adaptation, National Institute for Environmental Studies, Japan ù
9. Department of Global Health Policy, Graduate School of Medicine, The University of Tokyo, Tokyo, Japan
10. Institute of Social and Preventive Medicine, University of Bern, Bern, Switzerland
11. Department of Public Health, Faculty of Health and Medical Sciences, University of Copenhagen, Copenhagen, Denmark
12. Institute of Environmental Science and Research Limited, Christchurch Science Centre, Christchurch, New Zealand
13. Scientific Committee of the International Network of Public Health and Environmental Tracking-INPHET (www.inphet.org)

 

Bibliografia
1. Glasziou PP, Sanders S, Hoffmann T. Waste in covid-19 research. A deluge of poor quality research is sabotaging an effective evidence based response. BMJ 2020;369:m1847 doi: 10.1136/bmj.m1847 (Published 12 May 2020)
2. McMichael AJ, Woodruff RE. Climate Change and Infectious Disease. In: The Social Ecology of infectious Disease. Mayer KH, Pizer HF (Eds). Elsevier, London, 2008.
3. Schneider MC, Machado, G. Environmental and socioeconomic drivers in infectious disease. The Lancet Planetary Health, 2018. 2; E198-E199. DOI:https://doi.org/10.1016/S2542-5196(18)30069-X
4. Pekkanen J, Pearce N. Environmental Epidemiology: Challenges and Opportunities. Environ Health Perspect, 2001;109:1–5.
5. Battegay M, Kuehl R, Tschudin-Sutter S, Hirsch HH, Widmer AF, Neher RA. 2019-Novel Coronavirus (2019-nCoV): estimating the case fatality rate – a word of caution. 2020. Swiss Med Wkly. 2020;150:w20203 4
6. Pearce N, Vandenbroucke JP, VanderWeele TJ, Greenland S. Accurate statistics on COVID-19 are essential for policy guidance and decisions. AJPH, 2020. Editorial. Published online ahead of print, April 23, 2020.
7. Barton MC, Alberti M, Ames D, et al.. Call for transparency of COVID-19 mathematical models. Science, 2020. 10.1126/science.abb6327

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Discovered a New Carbon-Carbon Chemical Bond

A group of researchers from Hokkaido University has provided the first experimental evidence of the existence of a new type of chemical bond: the single-electron covalent bond, theorized by Linus Pauling in 1931 but never verified until now. Using derivatives of hexaarylethane (HPE), the scientists were able to stabilize this unusual bond between two carbon atoms and study it with spectroscopic techniques and X-ray diffraction. This discovery opens new perspectives in understanding bond chemistry and could lead to the development of new materials with innovative applications.

In the cover image: study of the sigma bond with X-ray diffraction. Credits: Yusuke Ishigaki

After nearly a year of review, on September 25, a study was published in Nature that has sparked a lot of discussion, especially among chemists. A group of researchers from Hokkaido University synthesized a molecule that experimentally demonstrated the existence of a new type of chemical bond, something that does not happen very often.