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A che punto siamo col 5G?

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Stazione radio base. Credits: Pixabay. Licenza: licenza Pixabay.

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Mercoledì il segretario di stato americano Mike Pompeo è arrivato a Roma e ha incontrato il primo ministro Giuseppe Conte e il ministro degli esteri Luigi Di Maio. Al centro dei due colloqui la posizione italiana sull'impiego di componenti elettroniche del colosso cinese Huawei nella costruzione della rete di telecomunicazioni mobile di ultima generazione. Conte e Di Maio hanno rassicurato Pompeo: l'Italia si allineerà all'Unione Europea, mettendo al centro delle sue scelte la sicurezza nazionale e comunitaria.

A luglio la Commissione Europea aveva richiamato gli Stati membri a diversificare i fornitori della filiera 5G, pochi giorni dopo l'annuncio del governo inglese che ha imposto il divieto di utilizzo della tecnologia Huawei nella parte core della rete e un limite del 35% sul suo impiego nelle parti periferiche.

Intanto diversi Paesi europei stanno lanciando la rete 5G servendosi di componenti della svedese Ericcson che commercializza stazioni radio base già abilitate per la trasmissione 5G dal 2015. Tuttavia uno studio ha recentemente stimato che un bando alle componenti Huawei comporterebbe in Italia un aumento dei costi di costruzione della rete del 19%, ovvero quasi 300 milioni di euro in più ogni anno per dieci anni (lo studio, bisogna dirlo, è stato realizzato dalla società Oxford Economics su commissione di Huawei stessa).

Il bando a Huawei si inserisce in un dibattito più ampio sui rischi che la quinta generazione di comunicazioni mobili avrà in termini di sicurezza, sia personale che collettiva. Le Monde ha raccolto le voci che sembrano circolare maggiormente sul 5G classificandole in 'vero', 'falso' e 'non si sa'. Molte di queste riguardano gli effetti sulla salute umana, l'argomento che senz'altro desta la maggiore preoccupazione tra i cittadini. I quesiti a cui Le Monde prova a dare una risposta possono essere raggruppati in tre categorie: rischi per la salute, rischi per la sicurezza e rischi per l'ambiente, tra cui spicca quello per l'accuratezza delle previsioni meteorologiche.

I tre rischi

I rischi per la sicurezza. Per raggiungere velocità di trasmissione fino a 10 Gbps, tempi di latenza dell'ordine del millisecondo e connettere fino a 1 milione di dispositivi per chilometro quadrato, la rete 5G sfrutterà una nuova infrastruttura di rete che sarà gestita grazie a un impiego di software molto più massivo rispetto a quanto succede con l'attuale 4G. Proprio la sua maggiore dipendenza dal software, rende il 5G più vulnerabile a potenziali intrusioni e attacchi hacker ed è servita in parte come pretesto per l'amministrazione USA nella sua crociata contro Huawei, culminata con la messa al bando delle sue componenti per la costruzione della rete 5G sul proprio territorio ma anche con l'imposizione alle aziende americane fornitrici di Huawei di interrompere i loro rapporti commerciali con l'azienda cinese. Alla base dei sospetti del Governo USA ci sarebbero dei presunti legami di Huawei col Partito Comunista Cinese che, tuttavia, non sono mai stati dimostrati.

Strumenti normativi per evitare il bando a Huawei. In Italia il bando a Huawei non è ancora esplicito, anche se a settembre 2019 l'appena insediato governo Conte-bis aveva esercitato il cosiddetto golden power su contratti e acquisti di cinque compagnie telefoniche. Si tratta di una norma nata nel 2012 che permette allo Stato di intervenire per proteggere aziende e comparti ritenuti strategici dalle incursioni di operatori stranieri, e che a marzo del 2019 era stato esteso anche alle reti di quinta generazione. Nel luglio scorso l'Unione Europea aveva accolto lo strumento del golden power italiano con favore, ritenendolo un passo importante nell'implementazione della cassetta degli attrezzi su 5G e cybersicurezza, pubblicata a gennaio di quest'anno.

Rischi per la salute. I timori di effetti dannosi delle onde a radiofrequenza utilizzate dal 5G sulla salute umana sono alla base della resistenza che i cittadini e le amministrazioni locali hanno mostrato in diversi Paesi del mondo. Sono ancora oltre 400 i comuni italiani che hanno emesso ordinanze stop 5G nonostante queste siano state dichiarate illegali dal decreto semplificazioni del luglio scorso. Non solo. Con la diffusione del nuovo coronavirus, la diffidenza verso il 5G è andata in risonanza con altre teorie del complotto e con il diffondersi dei contagi a livello globale, in primavera si è andata diffondendo anche la convinzione che il 5G potesse trasportare nell'aria il virus.

Una delle preoccupazioni per la salute è dovuta al fatto che quando gli operatori telefonici cominceranno a utilizzare la banda a 24 GHz sarà necessario installare un gran numero di nuove antenne, perché le onde a quelle frequenze viaggiano su brevi distanze e sono facilmente assorbite dagli ostacoli, come edifici, foglie o gocce di pioggia. Tuttavia proprio perché dovranno servire porzioni di territorio ristrette, le nuove antenne utilizzeranno potenze inferiori rispetto a quelle a cui siamo esposti ora. Inoltre, grazie alla tecnica del beamforming non diffonderanno radiazione ugualmente in tutte le direzioni, ma solo nella direzione di chi in quel momento sta trasmettendo o ricevendo dati. Ci sono dunque buoni motivi per pensare che la nostra esposizione alla radiazione diminuirà addirittura rispetto a quella attuale, ma la verità è che non ne sappiamo ancora abbastanza. Ne è prova il fatto che la Svizzera a febbraio ha vietato l'utilizzo del beamforming perché l'Ufficio Federale per l’Ambiente ritiene sia ancora poco chiaro il metodo per calcolare l'esposizione in questa particolare configurazione. Questo non vuol dire che in Svizzera il 5G è bloccato, anzi. Il Paese svizzero è all'avanguardia, avendo installato solo nel 2019 oltre 2000 nuove antenne.

Per il resto, le paure sono le stesse che hanno sempre suscitato le radiazioni elettromagnetiche a radiofrequenza. Gran parte del dibattito si concentra sulla presunta connessione tra esposizione alla radiazione e insorgenza di diversi tipi di tumori (principalmente della testa e del collo, ma anche tumori benigni del nervo acustico). Su questa presunta connessione si è pronunciata la IARC, l'agenzia per la ricerca sul cancro europea, nel 2011. Ha assegnato i campi a radiofrequenza alla categoria 2B, quella dei possibili cancerogeni, sostanze per le quali si sospetta cancerogenicità ma non esistono prove scientifiche sufficienti a sostegno di questa ipotesi. Tuttavia, bisogna dire che non è facile condurre studi scientifici per poter stabilire un nesso di causalità tra esposizione alla radiazione elettromagnetica e sviluppo di tumori. La giornalista Julia Belluz di Vox ha approfondito l'argomento in questo articolo. Belluz sottolinea in particolare che non sono possibili gli studi randomizzati controllati, e dunque si ricorre a studi osservazionali di due tipi, di coorte o di caso-controllo. Entrambi hanno dei limiti, soprattutto riguardanti il fatto che i livelli di esposizione (misurati in questo caso dal grado di utilizzo dei cellulari) sono riportati dai partecipanti allo studio o tramite sondaggi periodici (per gli studi di coorte) o retrospettivamente (per gli studi caso-controllo). Per superare i limiti degli studi osservazionali, nel 1999 il National Toxicology Program americano si è imbarcato in uno studio durato quasi vent'anni usando modelli animali, ratti e topi. I suoi risultati, sinteticamente, non trovano un rischio aumentato di sviluppare tumori in conseguenza di un'aumentata esposizione a campi elettromagnetici a radiofrequenza, seppure alcuni segnali contrastanti siano emersi e meritino un approfondimento. Per ora, però, non avendo ottenuto prove di un nesso causa effetto non esistono valori soglia indicati da questi studi.

Per questo motivo, i limiti imposti dalla legge sull'esposizione elettromagnetica non ionizzante (un sinonimo di radiofrequenza) sono derivati dagli studi sugli effetti di breve termine, cioè gli effetti di riscaldamento dei tessuti. Il punto di riferimento per stabilire questi limiti sono le linee guida della International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection (ICNIRP), che sono state aggiornate a marzo di quest'anno. La normativa italiana per ora recepisce le precedenti linee guida, come viene spiegato in dettaglio nel documento conclusivo redatto al termine dell'indagine conoscitiva su 5G e Big Data condotta dalla Commissione IX della Camera tra il 2018 e il 2019. La legge italiana stabilisce due quantità per le frequenze tra 3 e 300 GHz: i limiti di esposizione pari a 20 V/m misurati a 1,5 metri di altezza e mediate su intervalli di 6 minuti e i valori di attenzione pari a 6 V/m da misurare a 1,5 metri di altezza e mediate su 24 ore. I limiti di esposizione sono da rispettare sempre, mentre i valori di attenzione si riferiscono a quegli ambienti in cui sono previste permanenze lunghe. Questo valore di attenzione è 10 volte più basso della soglia di sicurezza indicata da ICNIRP nelle precedenti linee guida allo scopo di proteggersi da eventuali effetti di lungo termine di cui non siamo ancora a conoscenza.

Interferenza con i satelliti per le previsioni meteo. Il rischio a cui nessuno sembra prestare attenzione è molto più concreto di quello sulla salute e riguarda l' accuratezza delle previsioni meteo. L'interferenza tra le comunicazioni mobili nella banda ad altissima frequenza, quella intorno ai 24 GHz, e i satelliti deputati alla raccolta dei dati sul livello di vapore acqueo nell'atmosfera, causerebbe una perdita di precisione nella previsione di eventi meteo estremi, con conseguenze per la sicurezza di intere popolazioni. Nonostante questo, l'ITU ha stabilito alla fine del 2019 un limite di emissioni fuori banda superiore a quello ritenuto sicuro dai meteorologi.


Come funziona il 5G

Cosa ha di nuovo il 5G? L'International Telecommunication Union (ITU) ha individuato tre requisiti fondamentali che la nuova rete 5G dovrà soddisfare. Il primo è la possibilità di connettere simultaneamente alla rete un gran numero di dispositivi concentrati in zone di piccola estensione (fino a 1 milione per chilometro quadrato). Il secondo è la velocità di trasmissione, che deve essere tra i 50 e i 100 Mbps. L'ultimo riguarda la latenza, il tempo di risposta della rete, che dovrà essere tra 1 ms e 4 ms, a seconda del tipo di attività. Queste caratteristiche permetteranno una vera e propria rivoluzione, sia nel settore della comunicazione mobile perché permetterà scambio di dati più veloce e una maggiore copertura del territorio, sia perché consentirà la connessione di oggetti tra loro abilitando il cosiddetto internet delle cose. La bassa latenza, in particolare, sarà fondamentale per il settore dei trasporti (un esempio sono le auto a guida autonoma che devono scambiarsi informazioni sulla loro posizione in tempi sufficientemente brevi a evitare collisioni), ma anche in quello della telemedicina.

Per soddisfare questi tre requisiti il 5G si differenzierà rispetto al predecessore 4G prima di tutto per le frequenze su cui avverrà la comunicazione tra gli utilizzatori e le stazioni radio base, ciascuna al servizio di una singola cella. Mentre il 4G si concentrava nella banda tra 800 e 2600 MHz, il 5G si distribuirà su tre bande, una a 700 MHz, una a 3,6 GHz e una 24 GHz. L'ampiezza di queste tre bande non è uguale, in particolare la banda a 24 GHz ha un'ampiezza senza precedenti pari a 800 MHz. L'ampiezza delle bande è però solo uno degli ingredienti che permetteranno la connessione di un'alta densità di dispositivi (fonte: questo rapporto redatto dall'ufficio parlamentare di scienza e tecnologia britannico a luglio del 2019).

Dirigere il traffico elettromagnetico. Altro elemento fondamentale sarà la gestione del traffico elettromagnetico che si instaurerà tra i dispositivi connessi e le stazioni radio base. Due strumenti utili a questo scopo sono la tecnologia MIMO e il beamforming. MIMO sta per Multiple Input and Multiple Output e consiste nell'utilizzo di più di un'antenna su ciascuna stazione radio base per trasmettere e ricevere segnale simultaneamente da più dispositivi limitando le interferenze. Nel 4G si usa la tecnologia MIMO con 2 o 4 antenne. Per la comunicazione 5G sarà fondamentale il massive MIMO, che impiega decine (fino a 100) antenne per ciascuna stazione radio base. La tecnica del beamforming invece permette di ottenere segnali direzionali, in cui cioè la radiazione elettromagnetica non si diffonde ugualmente in tutte le direzioni, ma è collimata in una specifica direzione. I segnali direzionali si ottengono mettendo in certe configurazioni geometriche le antenne sulla stazione radio base e sfruttando l'interferenza tra i segnali di ciascuna antenna (In questo video di IEEE Spectrum viene schematizzato il funzionamento di una rete mobile 5G).

Una nuova infrastruttura. Per permettere l'utilizzo di queste nuove frequenze in maniera efficiente, impiegando cioè le tecniche del massive MIMO e del beamforming, sarà necessario costruire una nuova rete di telecomunicazioni, aggiornando in parte quella esistente. Questo è vero in particolare per la banda a 24 GHz. Le onde con questa frequenza si propagano su distanze più brevi e vengono assorbite più facilmente dagli ostacoli, come edifici, foglie o gocce di pioggia. Per questo sarà necessario dividere il territorio in unità più piccole, le cosiddette celle, e dotare ciascuna di queste unità di una stazione radio base con antenne multiple. Le stazioni radio base rappresentano però solo una parte della rete di telecomunicazioni, quella che viene chiamata la access network. Le stazioni sono infatti connesse tra loro via cavo (ormai quasi solo fibra ottica) tramite delle centrali di smistamento chiamate mobile switching centers. Cavi e mobile switching centers costituiscono la parte core della rete.

Una gestione basata più sul software che sull'hardware. Oltre che su una nuova infrastruttura di rete, il 5G potrà contare sull'utilizzo massivo di software, che in parte rimpiazzeranno componenti che finora erano state solo fisiche. Questo permetterà di ammodernare la rete con minori interventi e anche di gestirla in modo più efficiente. In particolare sarà cruciale per la nuova generazione di telecomunicazioni l'utilizzo del network slicing, un software che permette di dividere la rete in sotto-reti virtuali, chiamate slice con diverse caratteristiche di velocità, latenza e ampiezza di banda, secondo il tipo di attività che devono ospitare.

 

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