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Enrico Giovannini: ora puntiamo su sostenibilità e resilienza

Pandemia e crisi climatica sono facce della stessa medaglia: l’insostenibilità del nostro modello di sviluppo. L’accordo europeo da 750 miliardi di euro, il Next Generation EU, non serve solo per sollevare le economie dal baratro, ma anche per trasformare le società e indirizzarle su un sentiero di sviluppo sostenibile. Abbiamo parlato di questo e altro con Enrico Giovannini1, portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS).

Immagine: da biografieonline.it, licensa CC BY-NC-ND.

Tempo di lettura: 5 mins

Enrico Giovannini, dal 22 settembre all’8 ottobre si è tenuto il Festival dello Sviluppo Sostenibile – organizzato ogni anno da ASviS – che si è concentrato ovviamente sul post-pandemia. Next Generation EU: per quali progetti usare le risorse europee e quali spunti prendere dal cosiddetto «comitato Colao»?

Anche quest’anno il Festival dello Sviluppo Sostenibile è stato un successo, sia dal punto di vista della partecipazione sia mediatico. È un segnale di aumento di sensibilità e consapevolezza per i temi che riguardano la sostenibilità economica, ambientale e sociale e, nonostante la pandemia e l’impossibilità di svolgere gli eventi in modo tradizionale, sono stati registrati oltre 800 eventi nel calendario della manifestazione in tutta Italia. Sono state decine di migliaia le persone che hanno seguito i nostri eventi, che hanno generato dibattitti sul futuro del Paese e, naturalmente, stimolato riflessioni sulle politiche e sulle azioni per superare la crisi. Il problema è che in Italia siamo poco inclini a pianificare strategie di lungo periodo, mentre il Next Generation EU parla chiaro: per utilizzare le risorse messe a disposizione dall’Unione Europea non basta presentare progetti in linea con il Green New Deal, ma è necessario che le azioni siano coerenti e coordinate anche con le risorse nazionali. Un esempio vale su tutti: non possiamo pretendere di ricevere finanziamenti europei per la transizione ecologica mentre continuiamo a spendere 19 miliardi all’anno in sussidi dannosi per l’ambiente. Sviluppo sostenibile, transizione energetica, digitalizzazione, sono i capisaldi voluti dall’Europa, gli stessi che avevamo proposto nel piano Colao, che mirava a una trasformazione ambientale, economia e sociale del Paese, tenendo ben presenti i vincoli imposti in sede comunitaria.

L’accordo raggiunto a luglio dal Consiglio Europeo prevede che almeno il 30% delle risorse europee sia impiegato per la transizione ecologica. Non sarebbe stato meglio confermare in toto la proposta iniziale della Commissione, per esempio con un Just Transition Fund da circa 40 miliardi?

L’aspetto più rilevante e in qualche modo rivoluzionario rispetto al passato è che l’Unione Europea abbia sancito l’impegno sul tema della giusta transizione. Il problema è che in Italia ancora manca un serio dibattito su come usare i 209 miliardi messi a disposizione dal Next Generation EU e sul quadro complessivo di aiuti, in cui rientrano anche altre risorse comunitarie, come il Mes, il Sure, i fondi strutturali. Il più grande errore che rischiamo di commettere è di non avere una visione di medio e lungo periodo sulla trasformazione che il Paese deve compiere, non sapere cioè che tipo di Italia vogliamo tra dieci anni. Per evitare di sprecare un’occasione storica serve uno sforzo eccezionale per assicurare la coerenza di tutte le politiche pubbliche. In sostanza, tutti i fondi devono essere utilizzati per far fare al Paese un balzo in avanti e renderlo più resiliente, capace di crescere e prosperare, ma anche di reggere agli shock futuri.

Spesso auspica la nascita di un «Istituto di studi sul futuro»: cos’è e perché sarebbe importante?

Un istituto pubblico di studi sul futuro avrebbe il compito di analizzare gli scenari e individuare i rischi. La pandemia è un esempio di shock prevedibile i cui effetti non ci avrebbero colti così impreparati, vulnerabili e fragili. Così come anche le opportunità che potrebbero determinarsi in seguito a un drastico cambiamento. Diversi Paesi dispongono di un ente del genere e su questi esempi nel 2018 avevamo proposto [come ASviS, ndr] un emendamento alla legge di Bilancio per istituirlo, ma ci fu risposto che non era un’idea interessante. La speranza è che l’Italia impari da questa crisi, perché se è vero che il futuro è sempre uno solo è anche vero che questo si modifica in base alle scelte fatte nel presente. Negli ultimi mesi, proprio per alimentare il dibattito su questi temi, l’ASviS ha creato Futuranetwork.eu, una piattaforma online che raccoglie proprio studi e documentazioni sui temi rilevanti per gli anni a venire, liberamente consultabile da parte di tutti.

Che ruolo può giocare la finanza sostenibile nella transizione ecologica? I green bonds sono uno strumento promettente?

I green bonds rappresentano uno strumento efficace per la raccolta di fondi a sostegno del processo di transizione, basti pensare che dei 750 miliardi del Next Generation EU, il 30% sarà proprio finanziato dalle «obbligazioni verdi», come dichiarato dal Commissario europeo all’economia Paolo Gentiloni durante l’evento conclusivo del Festival dello Sviluppo Sostenibile. Bisogna però ricordare che l’intero settore della finanza, cruciale per il raggiungimento dei 17 Obiettivi dell’Agenda 2030, si stava riorientando verso investimenti sostenibili già prima delle pandemia. Lo dimostra, per esempio, la decisione presa a fine 2019 dalla Banca Europea per gli Investimenti, la quale non finanzierà più progetti legati alle fonti fossili. Il Consiglio di amministrazione della Banca ha infatti concordato una nuova politica di prestiti energetici, confermando la crescente ambizione per l'azione climatica e la sostenibilità in generale. Non credo che la pandemia abbia fatto dimenticare al mondo finanziario i rischi derivanti dal business as usual, che ci condurrà inevitabilmente a nuovi e peggiori shock economici, ambientali e sociali. Bisogna cambiare strada.

In Italia abbiamo bisogno di aggiornare il PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima) con gli obiettivi di riduzione delle emissioni al 2030 almeno del 55% e al 2050 del 100%. Cos’altro devono fare Parlamento e Governo?

Sicuramente il PNIEC italiano va aggiornato il prima possibile per allinearlo agli obiettivi europei al 2030, che prevedono il taglio di almeno il 55% delle emissioni climalteranti rispetto al 1990. Ricordo però che in questi ultimi giorni il Parlamento Ue si è detto favorevole a innalzare questo target al 60%, obiettivo che quindi potrebbe diventare presto più ambizioso. Manca poi una strategia di lungo termine, quella al 2050 sulla neutralità climatica, come invece prevede l’Accordo di Parigi. Un capitolo importante da introdurre nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, proprio per consentire di analizzare politiche messe in campo e obiettivi futuri. Parlamento e Governo italiano devono inoltre attuare al più presto il Piano Nazionale di Adattamento al Cambiamento Climatico, per mettere in sicurezza territori e persone dagli impatti sociali ed economici derivanti dagli eventi estremi. In generale, l’intero sistema Paese deve dotarsi di un apparato di politiche coerenti, col fine ultimo di massimizzare il benessere collettivo, che non può prescindere dal vivere in un ambiente più sano, da un contesto sociale costruttivo e da una governance in grado di attuare una serie di misure ispirate dal concetto di resilienza trasformativa.

 

Note
[1] Enrico Giovannini è il portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), insegna al Dipartimento di Economia e Finanza all’Università di Roma Tor Vergata, è stato Chief Statistician dell’OCSE, presidente dell’ISTAT e Ministro del Lavoro con il Governo Letta. Qui il rapporto dell'ASviS scritto dopo il Festival.
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