fbpx Conservazione della natura e Covid-19: luci e ombre | Scienza in rete

Conservazione della natura e Covid-19: luci e ombre

Primary tabs

La pandemia in atto sta modificando le vite di tutti, inclusi ricercatori e tecnici della conservazione. In che modo le restrizioni dovute alla pandemia e la crisi economica impattano la tutela ambientale? E quali invece le nuove possibilità? Quale scenario per il futuro della biodiversità e dei servizi ecosistemici da cui dipende la nostra stessa esistenza oltre a quella della natura? 

Crediti immagine: Sébastien Goldberg/Unsplash

Tempo di lettura: 10 mins

Il fringuello delle mangrovie, un piccolo passeriforme endemico delle Galapagos, è uno dei famosi “fringuelli di Darwin”, una delle specie che leggenda vuole1 abbia contribuito all’elaborazione della teoria dell’evoluzione. Oggi è tra le specie più rare e rischia l’estinzione nell’immediato futuro: ne sono rimasti un centinaio di individui in due mangrovieti dell’isola Isabela. Al declino ha contribuito la diffusione di due specie aliene invasive: il ratto, che preda uova e nidiacei, e la larva di una mosca brasiliana, Philornis downsi, che parassita i pulcini succhiandone il sangue. Più di un terzo delle nidiate muore a causa di questi parassiti. Per tutelare gli ultimi fringuelli delle mangrovie, dal 2006 c’è un progetto che opera il controllo dei ratti e utilizza antiparassitari sui nidi individuati in natura, insieme al recupero dei nidiacei malati in cattività. Grazie a queste azioni, la popolazione di fringuello delle mangrovie è quasi raddoppiata in sei anni (oggi conta circa 100 esemplari).

Ma nel 2020 tutto è cambiato. Il team di tecnici che porta avanti le azioni di tutela sul campo non ha infatti potuto svolgere nessuna delle attività previste: dopo solo quattro settimane di lavoro, il lockdown ha bloccato tutto. A causa delle restrizioni, il lavoro di campo non potrà essere intrapreso prima dell’inizio del 2021, e i biologi temono che le conseguenze per i giovani fringuelli saranno deleterie, considerato che le prime settimane di monitoraggio avevano consentito di individuare solo 14 coppie riproduttive.

La natura rivive?

La storia del fringuello delle mangrovie non è un caso isolato e per trovare esempi simili non serve nemmeno allontanarsi troppo da casa: un recente studio sugli effetti del lockdown2 sulla fauna italiana (su Scienza in rete ne abbiamo parlato qui) dimostra, con un sondaggio somministrato a 17 Parchi Nazionali e 37 Parchi Regionali di Lombardia e Piemonte, che circa il 75% delle aree protette sono state costrette a interrompere o posticipare le attività di controllo numerico o di eradicazione delle specie invasive durante la primavera. E non solo: anche le attività di monitoraggio di specie vulnerabili o minacciate dal rischio di estinzione ha dovuto forzatamente subire una battuta d’arresto.

Un editoriale3 pubblicato a giugno sulla rivista Biological Conservation fa il punto sulle conseguenze dell’interruzione delle attività di studio e monitoraggio sul campo, necessaria per la tutela degli operatori e per la limitazione del contagio, ma negativa per l’acquisizione dei dati fondamentali per conoscere gli andamenti nel tempo delle popolazioni e per la conservazione. Sono penalizzati sicuramente anche tutti i lavoratori precari della ricerca nel settore, impossibilitati a raccogliere dati per le proprie tesi di dottorato o per i progetti di post-dottorato. E vengono a mancare le opportunità di contratti a tempo determinato per le attività di campo.

In Africa, l’impatto della pandemia sulla conservazione potrebbe essere drammatico4: i fondi per la conservazione sono legati a doppio filo con gli introiti delle attività turistiche ed ecoturistiche. L’arresto forzato di tali attività da un lato sottrae posti di lavoro, nonché investimenti per la tutela dell’ambiente, dall’altro riduce il controllo del territorio. E questo porta a un aumento del consumo delle risorse naturali, per esempio il bushmeat, perché, se la popolazione locale si impoverisce, cerca risorse per il proprio sostentamento anche fuori dalla legalità. Conservation International riporta un aumento significativo dei casi di bracconaggio in Kenya dall’inizio dell’epidemia, mentre in Tanzania sono stati uccisi gli elefanti in aree dove non si erano mai registrati casi in precedenza, e un aumento dei casi di bracconaggio è stato registrato un po’ ovunque.

L’effetto non è stato immediato, soprattutto per quanto riguarda il commercio illegale: i maggiori controlli alla frontiera per limitare gli spostamenti e i contagi hanno infatti inizialmente sortito un effetto positivo5 nel contrastare il traffico di avorio e di altri prodotti di derivazione animale. Un report6 dell’ONG Traffic mostra invece con dati alla mano un significativo aumento dei casi di bracconaggio e di traffico di prodotti di derivazione animale in India, in seguito al rilassamento delle prime misure restrittive per gli spostamenti della primavera scorsa.

L’Antropopausa

“Nel mezzo delle difficoltà nascono le opportunità”. Questa frase, attribuita a Einstein, ben si adatta a descrivere un progetto internazionale della Biologging International Society (i biologgers sono sensori satellitari o GPS che vengono applicati agli animali catturati e che forniscono al ricercatore dati precisi sulla localizzazione degli animali), presentato in giugno su Nature Ecology and Evolution7 che ha lo scopo di studiare la reazione degli animali al lockdown (definita dagli scienziati “antropopausa”). «L’iniziativa è nata a partire da un progetto già esistente che mira a valutare il rapporto tra umani e fauna dalla prospettiva degli animali. La maggior parte degli studi esistenti tendono a essere antropocentrici, perché stimolati dalla risoluzione di una situazione di conflitto che crea problemi alle attività antropiche. L’approccio è quello di spostare questo punto di vista cercando di capire come la fauna nel proprio ambiente possa percepire la nostra invasività» spiega Francesca Cagnacci, ricercatrice in ecologia animale presso il Centro Ricerca e Innovazione della Fondazione Edmund Mach e membro coordinatore della COVID-19 Bio-Logging Initiative.

«Che l’essere umano abbia sovrasfruttato e modificato gli ambienti è un dato di fatto, largamente studiato dalla biologia della conservazione. In questo studio invece ci interessa indagare una scala diversa, ovvero una competizione diretta per l’utilizzo di uno stesso spazio, che da un lato è correlata alla perdita di habitat. D’altro canto, soprattutto nel mondo occidentale, è in costante aumento una fruizione da parte dell’uomo degli ambienti naturali e quindi la presenza umana non è più assimilabile alle sole infrastrutture e città, ma anche ai sentieri, agli spazi naturali (ne abbiamo parlato anche qui). La pandemia è una situazione tragica, ma le restrizioni adottate per diminuire il tasso di trasmissione di SARS-CoV-2 hanno creato una condizione sperimentale, cioè una variazione dell’interfaccia tra uomo e fauna. Nell’ambito della società di biologging di cui faccio parte, ho lanciato l’iniziativa di condividere i dati di localizzazione degli animali in corso di acquisizione, perché ritengo che solo da un'integrazione dei dati a livello di comunità scientifica si possa indagare in modo robusto la risposta della fauna a una variazione improvvisa della presenza umana sul territorio. I dati di localizzazione infatti ci dicono cosa hanno fatto gli animali indipendentemente dalla nostra capacità di avvistarli, e quindi forniscono un dato oggettivo», spiega Cagnacci.

Infatti, durante il lockdown, c’è stato sì un aumento degli avvistamenti, ma in parte era legato da una maggiore attenzione da parte delle persone: per esempio, molti hanno impiegato il tempo in attività di birdwatching, e molte delle specie segnalate erano già in realtà presenti negli ambienti urbani. Il progetto COVID-19 Bio-Logging Initiative, spiega Cagnacci, oggi comprende i dati di monitoraggio di circa 200 specie rappresentative di diverse classi e ambienti e 300 aree di studio distribuite sul globo terrestre. L’intenzione è quella di mantenere la collaborazione aperta non solo limitatamente all’emergenza Covid-19, ma di avere una comunità scientifica che lavori sull’argomento “interfaccia uomo-fauna” sul lungo termine, attraverso l’elaborazione di big-data.

Ma quella del biologging non è l’unica iniziativa. «In parallelo, nell’ambito del gruppo Euromammals, un progetto collaborativo su scala europea di condivisione di dati spaziali dei mammiferi, e in collaborazione con una iniziativa nordamericana analog, abbiamo lanciato COVID-19 Camera trapping. In questo caso si mettono insieme tutti i dati raccolti attraverso fototrappole8, il che ci permette di capire quanto un determinato ambiente viene utilizzato dagli animali in funzione della presenza o assenza umana».

Le analisi sono in corso, ma Cagnacci racconta che dalle primissime esplorazioni dei dati sembrerebbe che la risposta degli animali alla minore presenza umana sul territorio sia stato un maggiore utilizzo delle aree marginali e una modifica dei ritmi circadiani. Quello che è interessante è che, al termine del lockdown, l’elevata frequentazione delle aree naturali da parte delle persone ha suscitato negli animali una risposta molto forte, come se la presenza umana fosse percepita in maniera ancor più forte rispetto a prima. Le ipotesi andranno ovviamente testate dati alla mano.

Una cenerentola che merita attenzione

«Una mancata presenza nelle aree di studio e di conservazione ha creato enormi problemi per la sospensione di progetti che erano in fase di realizzazione. La conservazione deve essere considerata una delle attività di crisi, non deve essere ritenuta in contrapposizione all’aspetto sanitario ma deve essere continuativa, al pari degli studi sanitari, perché abbiamo assoluto bisogno di comprendere questa interfaccia tra umani e fauna. La crisi della biodiversità non va assolutamente ignorata: centinaia di studi mostrano la relazione tra la biodiversità e lo stato di salute non solo dell’ecosistema ma anche nostro, eppure questo aspetto è ancora largamente ignorato e posto in secondo piano, sia a livello di decisioni politiche sia dalla comunità scientifica globale. L’approccio One Health è più che mai necessario. Più sottraiamo spazio alla natura più tiriamo una corda che se si rompe crea disequilibri con conseguenze imprevedibili» afferma Cagnacci.

Con la crisi economica che la pandemia sta prospettando, i fondi dedicati alla ricerca in campo di ecologia animale rischiano di diminuire drasticamente, molte delle misure di emergenza applicate dagli Stati non hanno preso in considerazione affatto questo settore, come riportato in una lettera a Science9, eppure la conservazione della natura è nella agenda di priorità dell’ONU.

Ma la biologia della conservazione ha una difficoltà cronica nel reperimento dei fondi. Un recente articolo pubblicato sul Journal of Environmental Studies and Science, dal titolo provocatorio “Is the conservation scientist becoming an endagered species?”10 (lo studioso della conservazione sta diventando una specie in pericolo di estinzione?) riflette sulle conseguenze dell’attuale meccanismo di funzionamento accademico, il cosidetto publish or perish, pubblica o muori, per discipline come la biologia della conservazione, che avendo un minore bacino di utenza rispetto ad altre hanno anche un minore impatto. Le pubblicazioni accademiche vengono infatti valutate sulla base del numero di citazioni, che costituiscono un indice, l’impact factor, che serve a valutare i ricercatori, e in scala crescente i dipartimenti, almeno per quanto riguarda gli Stati Uniti.

«Nelle università italiane, l’assegnazione di fondi è solo in parte in proporzione all’impact factor delle pubblicazioni, nel senso che viene valutata la qualità dei prodotti della ricerca. Ma, per poter confrontare i diversi settori che dal punto di vista bibliometrico non sono comparabili, si lavora per ranking, quindi non solo in numeri assoluti ma nell’ambito del settore» spiega Damiano Preatoni, professore associato presso l’Unità di Analisi e Gestione delle Risorse Ambientali dell’Università dell’Insubria ed editor della rivista scientifica Hystrix. «Il reale problema è che la conservazione non genera un indotto diretto, non è qualcosa di spendibile sul mercato. Inoltre lo studio della fauna, e della biodiversità in genere, è un qualcosa che rende, ma su orizzonti temporali molto lunghi, e gli effetti degli studi non sono immediatamente apprezzabili, specie rispetto ad altre discipline» continua Preatoni.

Insomma, il ritornello nature revives che ha fatto da sottofondo ai primi mesi di pandemia sono un po’ una favola, troppe sono le ombre che anche la pandemia ha generato. Sappiamo dai report della convenzione sulla biodiversità delle Nazioni Unite (vedi qui su Scienza in rete) che la situazione della biodiversità è critica, e che l’attuale sfruttamento delle risorse è sovradimensionato alle capacità del nostro pianeta. Ma sappiamo anche che la conservazione, con la difficoltà nel reperimento dei fondi necessari e il cozzare con le attività produttive di una popolazione umana in costante crescita, funziona se applicata. E il suo funzionamento ci assicura i servizi ecosistemici di cui necessitiamo. Conclude Preatoni «Queste ricerche e le attività di conservazione della natura andrebbero considerate come un investimento sul lungo termine, una sorta di polizza sulla vita». Conservare e studiare la natura ci consente di agire non per tamponare le emergenze ma per prevenirle, e alla fine cosa costa di più?

 

Note
1. Uno dei più clamorosi falsi miti della scienza: Darwin non scrive in nessuna parte de l’Origine delle specie dei fringuelli, eppure è spesso riportato che il naturalista abbia sviluppato la teoria dell’evoluzione proprio distinguendo gli adattamenti della forma del becco dei fringuelli delle Galapagos in base alla dieta
2. Mantenti R et al. The good, the bad and the ugly of COVID-19 lockdown effects on wildlife conservation: insights from the first European locked down country. Biological Conservation, 2020
3. Corlett RT et al. Impacts of the coronavirus pandemic on biodiversity conservation. Biological Conservation, 2020
4. Lindsey P et al. Conserving Africa's wildlands through the COID-19 crisis and beyond. Nature Ecology and Evolution, 2020
5. COVID-19 provides short therm poaching relief for rhinos but breeds long term concerns, International Rhino Foundation
6. Indian wildlife amidst the COVID-19 crisis: an analysis of status of poaching and illegal wildlife trade, Saket Badola, TRAFFIC (2020)
7. Ritz C et al. COVID-19 lockdown allows researchers to quantify the effects of human activity on wildlife. Nature Ecologu and Evolution, 2020
8. Dispositivi che posizionate in ambiente naturale si attivano al passaggio di un animale grazie alla presenza di sensori nell’infrarosso
9. McCleery RA et al. Conservation needs a COVID-19 bailout. Science, 2020
10. Parsons ECM, Cigliano JA. Is the “academic conservation scientist” becoming becaming an andagered species? J Environ Stud Sci, 2020

 

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Why science cannot prove the existence of God

The demonstration of God's existence on scientific and mathematical grounds is a topic that, after captivating thinkers like Anselm and Gödel, reappears in the recent book by Bolloré and Bonnassies. However, the book makes a completely inadequate use of science and falls into the logical error common to all arguments in support of so-called "intelligent design."

In the image: detail from *The Creation of Adam* by Michelangelo. Credits: Wikimedia Commons. License: public domain

The demonstration of God's existence on rational grounds is a subject tackled by intellectual giants, from Anselm of Canterbury to Gödel, including Thomas Aquinas, Descartes, Leibniz, and Kant. However, as is well known, these arguments are not conclusive. It is not surprising, then, that this old problem, evidently poorly posed, periodically resurfaces.