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La copertura sanitaria universale alla prova di Covid-19

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Lo studio Global Burden of Disease 2019 sulla copertura sanitaria è una risorsa per comprendere l’eterogeneità delle sfide sanitarie che la popolazione deve affrontare. Ne abbiamo parlato con Pietro Ferrara, epidemiologo del Centro di studio e di ricerca sulla sanità pubblica dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, che ha collaborato alla sua redazione, anche per capire meglio la situazione italiana e gli effetti che la pandemia di Covid-19 può avere sull'assistenza sanitaria

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L’analisi condotta con lo studio Global Burden of Disease 2019 (GBD) sulla copertura sanitaria universale (Universal Health Coverage, UHT) offre un'utile risorsa per comprendere l’eterogeneità delle sfide sanitarie che deve affrontare la popolazione globale in questo 21° secolo, soprattutto nella attuale situazione di crisi sanitaria rappresentata da Covid-19, un implacabile stress test anche per i paesi più avanzati.1

Storicamente, le stime della copertura sanitaria universale (Universal Health Coverage, UHT) si basavano sui contatti con i singoli servizi sanitari ed erano, nei fatti, ristrette all’analisi di disponibilità e utilizzazione dei servizi, piuttosto incapaci di misurare l’output, ossia la salute prodotta dai vari sistemi. Questo lavoro combina e integra il concetto della copertura efficace (effective coverage), che tiene conto del bisogno, dell’utilizzo e, soprattutto, della qualità dell’intervento sanitario, con il potenziale guadagno di salute che può essere attribuito all’intervento quando questo è effettivamente somministrato.

Lo studio si divide in tre momenti. Sulla scorta delle misure di UHC, utilizzate in diverso modo da Organizzazione mondiale della sanità, Banca mondiale e GBD, sono stati individuati 23 indicatori di copertura sanitaria a cui è stato assegnato un punteggio in base ai dati forniti dai singoli paesi. Gli indicatori così definiti sono poi andati a formare la base per le stime. Per ognuno di loro, è stato quantificato il potenziale guadagno di salute, calcolato come riduzione dell’aspettativa di vita aggiustata per disabilità, una misura di gravità globale delle malattie, espressa in termini di anni di salute persi (sia per disabilità sia per morte) a causa della malattia. La combinazione tra gli indicatori e le rispettive stime di salute guadagnata ha, infine, fornito l’Effective Coverage Index per singolo paese, espresso su una scala da 1 a 100.

Lo stato della copertura sanitaria universale

A livello globale, la performance sull'indice di copertura sanitaria è migliorata da 45,8 (95% UI 44,2-47,5) nel 1990 a 60,3 (58,7-61,9) nel 2019. Il discorso cambia scendendo nel dettaglio delle situazioni nazionali: la copertura effettiva nel 2019 andava dai livelli altissimi (con un indice di 95 o più) del Giappone e dell’Islanda a meno di 25 in Somalia e Repubblica Centrafricana.

Pietro Ferrara, epidemiologo del Centro di studio e di ricerca sulla sanità pubblica dell’Università degli Studi di Milano Bicocca (CESP), collaboratore del GBD 2019, commenta: «Non deve meravigliare il fatto che il ritorno in termini di salute per ogni unità di spesa sanitaria sia maggiore nelle regioni del mondo a più basso indice di sviluppo, dove c’è una primaria necessità di interventi sanitari per il controllo delle malattie trasmissibili. Diverso è il discorso per le regioni ad alto reddito, dove innanzitutto cambiano le caratteristiche della spesa sanitaria. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) sottolinea che c’è maggiore dispersione di spesa nei paesi con una popolazione più anziana (e quindi con malattie croniche, non trasmissibili).2 Una seconda ragione per la quale una spesa più elevata non si riflette in maggiori outcome di salute è data dal controllo politico fatto senza riforme strutturali che flette la curva della spesa sanitaria. Infine, dobbiamo tener conto che la quota di spesa inefficace è maggiore dove la spesa è di base più alta».

Le stime sulla spesa sanitaria pro capite

Dal punto di vista dell’analisi finanziaria, secondo lo studio, i paesi dovrebbero raggiungere la cifra di 1.398 dollari di spesa sanitaria aggregata pro capite per arrivare a 80 sull'indice di copertura sanitaria effettiva. Ma le proiezioni attuali stimano, per il 2023, ben 3,1 miliardi di individui ancora privi di una copertura sanitaria efficace, con quasi un terzo residente nelle regioni asiatiche meridionali.

«Ci sono diversi ostacoli al raggiungimento dell’obiettivo, la cui tassonomia varia secondo il contesto», continua Ferrara. «Questi vanno ricercati per definire i diversi livelli d’intervento: di comunità, attraverso il coinvolgimento diretto dei destinatari degli interventi proposti dai servizi, questo include programmi di educazione alla salute, screening delle porzioni più vulnerabili della popolazione, focus sull’accettabilità degli interventi, empowerment materno. Salendo a un livello superiore, dove si gioca la vera partita della pianificazione e della programmazione, le iniziative possibili sono tante: ridefinizione dei finanziamenti ai fondi sanitari e riallocazione delle risorse, re-designazione dei setting assistenziali, stime del fabbisogno del personale e provvedimenti di task-shifting, solo per menzionarne alcune». 

Su scala nazionale e di programmazione sanitaria, diventa necessario allineare la sanità alla salute e non viceversa; significa fornire assistenza di qualità sulla base dell’effettiva domanda di salute della popolazione, anche andando a rintracciare i bisogni inespressi o quelli che il cittadino non avverte come tali (come una particolare vaccinazione) con azioni di educazione e promozione della salute. E stimare il bisogno di salute è compito dell’epidemiologia, attraverso analisi e studi come quelli condotti dal GBD.

Il sistema sanitario italiano vanta un alto indice di sviluppo

Per commentare la posizione dell’Italia sono stati raccolti i punti di vista di alcuni membri del GBD italiano, rete coordinata da Lorenzo Monasta, dirigente statistico presso l'IRCCS Materno Infantile “Burlo Garofolo” di Trieste. Il punteggio associato all’Italia nello studio di The Lancet è stato di 89 su 100.

Nella figura si può apprezzare l'atlo indice di copertura sanitaria efficace dell'Italia (89) a fronte di una spesa procapite decisamente più bassa di molti paesi ad economia avanzata (high income countries).

«Un giudizio in linea con tutti i paesi europei e quelli extra-europei a più alto indice di sviluppo. Nel dettaglio, raggiungiamo la sufficienza su quasi tutti gli indicatori, ma pesano i valori più bassi su contraccezione femminile, trattamento di stroke e malattia renale cronica. I valori più alti su vaccinazioni e oncologia», spiega Ferrara. «Il nostro Servizio sanitario nazionale è una delle più grandi conquiste sociali italiane. Ha garantito e garantisce da quattro decadi livelli di assistenza e modalità di erogazione che altri paesi ci hanno invidiato. Tanto che spesso il SSN italiano è stato in cima alle classifiche di valutazione dei sistemi sanitari. Anche quei primi posti in classifica vanno però contestualizzati. Per esempio, la classifica Bloomberg Health Care Efficiency, che ci ha sempre posizionati tra i primi, tiene conto del finanziamento, ma trascura tutto quello che riguarda la qualità dell’assistenza.3 Se andassimo a misurare il finanziamento in funzione dell’aspettativa di vita aggiustata per disabilità (Disability-Adjusted Life Years, DALY) non saremmo più così alti in classifica. Gli effetti sono quelli di cui si accorgono utenti e pazienti: liste di attesa lunghe, disparità e frammentazione dei servizi sanitari e della qualità dell’assistenza tra regioni (e spesso all’interno della stessa regione), carenze strutturali di personale, mancanza di gestione integrata delle patologie croniche, pochi investimenti in innovazione e sviluppo. E l’effetto della pandemia da SARS-CoV-2 rischia di essere devastane, se non corriamo ai ripari già da ora».

Ettore Beghi, capo laboratorio malattie neurologiche all'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS di Milano, denuncia il fatto che «in Italia la ricerca è agli ultimi posti tra le priorità del paese. Devono essere erogati più investimenti per i ricercatori italiani per far sì che le nuove generazioni non abbandonino la nazione. Covid-19 può essere un’opportunità per il paese per l’incremento di fondi da assegnare alla scienza».

Di parere analogo Matilde Leonardi, dirigente medico neurologo presso la Direzione Scientifica della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, ove dirige anche il Coma Research Centre-CRC. «Sono molto ammirata della capacità scientifica che abbiamo in questo paese. Noi italiani siamo bravi, e anche attenti. I dati parlano e sono essenziali nella definizione di una strategia di salute pubblica efficace».

Carlo La Vecchia, professore di statistica medica ed epidemiologia, dipartimento di Scienze Cliniche e Salute di Comunità presso l’Università degli Studi di Milano, sottolinea come l’Italia, oltre ad avere una copertura sanitaria molto buona, vanti anche un’attesa di vita tra le più lunghe al mondo, non solo per l’assistenza sanitaria ma anche per abitudini di vita. «L’Italia è un paese che merita di essere giudicato positivamente in termini di assistenza sanitaria. Se vogliamo guardare a Covid-19, la reazione dell’Italia non è stata all’altezza della valutazione che ha avuto nello studio GBD (89), mentre la Germania, per esempio, che ha avuto un valore inferiore, di 86, è il paese che ha reagito molto meglio rispetto all’Italia, ma anche nei confronti di altri paesi europei. Pertanto, questi punteggi danno un’idea generale di come può funzionare l’assistenza sanitaria in una situazione non di allarme, poi, quali siano i sistemi che reagiscono meglio a situazioni emergenziali è effettivamente difficile da stimare». 

Gli effetti della pandemia sull’assistenza sanitaria

Secondo il rapporto Goalkeepers della Fondazione Gates4, la pandemia sta portando indietro di molti anni la salute globale. Secondo l’IHME, nel 2020, la copertura sanitaria sta regredendo alla situazione che avevamo negli anni Novanta. I governi spostano le risorse per cercare di gestire l’emergenza e le persone riducono drasticamente il ricorso all’assistenza sanitaria per contenere il rischio d’infezione: elementi costitutivi di una catastrofe sanitaria globale.

«Abbiamo visto gli effetti di Covid-19 sin dalla prima settimana», commenta Ferrara. «Da subito ci siano resi conto dell’impatto che l’epidemia ha avuto sull’assistenza sanitaria, in termini di ritardo assistenziale o mancata assistenza, soprattutto per le malattie croniche e le multimorbilità. Pagano lo scotto maggiore le fasce di popolazione sopra i 65 anni, dove si ritrovano condizione cliniche complesse e che assorbono normalmente i due terzi delle risorse. Se prima alcuni cambi di paradigma erano necessari, adesso l’implementazione di modelli diversi di gestione sanitaria è indispensabile e non più rimandabile. Dobbiamo curare il paziente, che si trova a convivere con più patologie e non una singola condizione clinica. La sfida del prossimo futuro del sistema sanitario viene dalla possibilità di ristrutturare la rete di cura, con setting intermedi e domiciliari che prendano in carico il paziente nel tempo, riducendo il carico assistenziale ospedaliero. La cosiddetta transitional care, che ha mostrato di produrre benefici al paziente e risparmi per il servizio sanitario stesso. Ma per fare tutto questo c’è bisogno di risorse, investimenti e pianificazione. E di volontà politica».

Matilde Leonardi guarda alla pandemia in termini di disruption of services e commenta: «Non credo che siamo tornati indietro, questo sarebbe anche ingeneroso nei confronti di quei paesi che invece hanno messo al servizio, anche in questa pandemia, tutte le conoscenze acquisite. Ci siamo trovati non preparati rispetto a un fenomeno completamente nuovo, che stiamo imparando ad affrontare avvalendoci di strumenti e conoscenze che vent’anni fa non avevamo, pensiamo per esempio alla telemedicina». 

Parafrasando Richard Horton, direttore di The Lancet, Covid-19 è un'emergenza sanitaria acuta che va a impiantarsi su una situazione di cronicità, largamaente ignorata. Le malattie non trasmissibili hanno svolto un ruolo fondamentale nel decretare oltre un milione di decessi causati da Covid-19 e continueranno a plasmare la salute in ogni paese dopo che la pandemia si sarà placata. Mentre ci occupiamo di come rigenerare i nostri sistemi sanitari sulla scia del Covid-19, questo studio sul GBD offre un mezzo per puntare dove il bisogno è maggiore e per chiarire come differisce da paese a paese.5

«Per anni si è creduto che le politiche per la salute riguardassero esclusivamente il finanziamento e l’erogazione degli interventi di salute», commenta Ferrara. «Ma la salute di un individuo e di una popolazione è influenzata da diversi fattori, di cui i determinanti sociali sono i primi interpreti. La vulnerabilità è proprio il minimo comune denominatore delle disuguaglianze sociali. Sono vulnerabili gli anziani più isolati, i poveri, i migranti, chi vive ai margini della società; tutti a proprio modo più esposti alla malattia e, soprattutto, a un minore accesso ai servizi sanitari. Dobbiamo intercettare i vulnerabili e ridurre il gradiente sociale attraverso un impegno non solo sanitario, ma politico in senso lato, assicurando l’istruzione, l’implementazione di politiche del lavoro e della sicurezza sul lavoro, di risolvere l’esclusione sociale delle zone periferiche, evitare le dipendenze e favorire la sicurezza alimentare e nutrizionale. Parallelamente, va garantito che tutti possano curarsi allo stesso modo. Ricordo sempre, come hanno scritto Sakolsatayadorn e Chan, che la copertura sanitaria universale è uno dei maggiori equalizzatori sociali che la politica può fornire».6 

Il momento particolare che stiamo vivendo offre una riflessione sul concetto stesso di copertura sanitaria universale. Nessuno dei suoi metodi di stima, né passati né quello proposto dal GBD, include una misura della capacità di risposta alle epidemie. Eppure Covid-19 ha dimostrato che i servizi sanitari sono chiamati sia a evitare i casi di malattia e morte dovuti all’infezione sia a sostenere una normale assistenza sanitaria di qualità per le altre condizioni cliniche, durante e dopo l’emergenza. La resilienza dei sistemi sanitari è riconosciuta come una proprietà intrinseca dei sistemi stessi e, siccome un indice di copertura sanitaria è anche una misura di resilienza, è auspicabile che alla sua quantificazione concorrano anche indicatori di capacità di risposta alle epidemie, come la presenza di strutture di individuazione e segnalazione di focolai epidemici o la capacità di riconversione delle strutture per far fronte alle epidemie.

Note 
1. Measuring universal health coverage based on an index of effective coverage of health services in 204 countries and territories, 1990–2019: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2019 August 2020. Guidato dall'Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME), il GBD è lo studio epidemiologico osservazionale più completo oggi disponibile. Pubblicato sin dal 2010 dalla rivista The Lancet, l’edizione del 2020 esamina le tendenze dal 1990 al 2019, riporta dati sulla mortalità e morbilità in 204 paesi e territori, 369 malattie e lesioni e 87 fattori di rischio. Monitorando i progressi all'interno e tra i paesi, fornisce uno strumento importante per informare medici, ricercatori e responsabili politici, per promuovere la responsabilità e migliorare la vita in tutto il mondo.
2. OECD Economic Policy Papers 2013;6.
3. Bloomberg Health Care Efficiency.
4. 2020 Goalkeepers Report
5. IHME
6. Sakolsatayadorn P et al. Bull World Health Organ 2017;95(2):86

 


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