Claudio Elidoro recensisce la nuova edizione per Carrocci de «L’universo oscuro. Viaggio tra i più grandi misteri del cosmo» di Andrea Cimatti. Nuovi capitoli e nuove illustrazioni per rendere conto dei misteri dell’Universo che in così pochi anni si sono presentati a fisici e astronomi. Cos’altro dobbiamo aspettarci?
Immagine: copertina del libro.
A tre anni di distanza dalla prima uscita in libreria, Andrea Cimatti ha ritenuto opportuno proporre agli appassionati del cosmo una nuova edizione del suo «L’universo oscuro». Una nuova e interessante puntata della sua «sfida personale – come la definisce nella Prefazione – nel cercare di spiegare, e non semplicemente raccontare, ciò che del nostro Universo abbiamo compreso e quanto rimane ancora avvolto nel più completo mistero».
Non si tratta di una semplice ristampa, ma di una puntuale e attenta integrazione delle tematiche già presenti nella prima edizione con approfondimenti importanti, tutti trattati con la consueta chiarezza e il sapiente ricorso a immagini e schemi. L’appassionante viaggio tra i più grandi misteri del cosmo che l’autore ci propone è ancora lo stesso, ma si è arricchito di nuove tappe, di nuovi scorci e di nuovi misteri.
Il continuo annuncio di scoperte sembra raccontarci di una Astronomia in costante e frenetica evoluzione, ma sul versante della nostra conoscenza della «ricetta dell’Universo» si sta praticamente segnando il passo. La nostra conoscenza dei suoi ingredienti più importanti non è mutata e l’aggettivo «oscuri» che gli astronomi hanno appioppato a tali ingredienti è ancora perfettamente valido. Perché, allora, una nuova edizione?
Cimatti lo dice chiaramente fin dall’inizio: «Siamo all’inizio di un decennio che molto probabilmente rivoluzionerà la nostra visione dell’Universo, e in cui nuovi esperimenti e telescopi cercheranno di far luce sui grandi enigmi del Cosmo. Non si può ignorare quanto sta accadendo».
È proprio l’occhio attento alle ultime scoperte che ha indotto l’autore ad approfondire tematiche astronomiche attualissime quali le onde gravitazionali, i buchi neri e gli aloni di materia oscura. Non poteva neppure mancare un accenno al grosso problema che ultimamente sta affliggendo i cosmologi: il valore della costante di Hubble (dal quale dipende la stima dell’età dell’Universo). Proprio quando sembrava che la cosmologia potesse finalmente definire con precisione questo parametro chiave dell’evoluzione dell’Universo, infatti, ci si è trovati tra le mani la patata bollente di valori differenti e non riconciliabili tra loro! Semplici errori strumentali nascosti nelle complesse pieghe delle tecniche osservative impiegate, oppure qualcosa di più profondo e – potenzialmente – devastante per ciò che pensiamo di conoscere del cosmo?
Un Universo oscuro, insomma, che sembra divertirsi a nascondersi ancora di più.
Brani dal libro «L’universo oscuro» di Andrea Cimatti
Dal Capitolo 7 (pp. 125-127)
Ci sono alternative alla materia oscura?
Quanto appreso fino a ora ci lascia sicuramente molto perplessi. È possibile che da un lato ci siano così tante evidenze (indirette) della materia oscura, e che dall’altro sia così difficile rivelarla sperimentalmente e comprenderne la sua natura? In effetti, la situazione appare ormai così strana che alcuni scienziati pensano che dietro quello che noi chiamiamo materia oscura si possa nascondere qualche altro problema ancora più profondo. Se ci pensiamo bene, tutte le evidenze della materia oscura vengono da osservazioni astronomiche, e tutte si basano sull’assunzione della validità assoluta della fisica che conosciamo. Ad esempio, nel caso degli ammassi di galassie, delle galassie a disco e di quelle sferoidali nane, la necessità di invocare materia oscura deriva dall’applicazione delle leggi della dinamica e della gravitazione universale di Newton, che regolano le velocità con cui stelle e galassie si muovono all’interno di un sistema dotato di massa. Discorso analogo per le lenti gravitazionali, dove le loro caratteristiche sono sfruttate per dedurre la massa della materia non visibile assumendo valida la relatività generale di Einstein. E se invece le leggi di Newton e di Einstein non fossero valide universalmente? E se la gravità avesse un comportamento diverso da quello che pensiamo?
Queste domande potrebbero essere lecite. […] [Precedentemente] è stato descritto come la relatività generale abbia superato molti esami e verifiche. Tuttavia, non si è ancora raggiunta la certezza assoluta della sua validità universale su scale spazio-temporali diverse da quelle utilizzate nei test effettuati fino a oggi. Per tali motivi, si è sviluppata un’area di ricerca in cui vengono studiati scenari teorici completamente alternativi in cui la materia oscura non esiste, e dove la forza di gravità agisce in modo diverso da quello che abbiamo finora imparato. Sotto l’ombrello di quella che viene chiamata gravità modificata sono state proposte numerose teorie in cui le equazioni di Einstein (o semplicemente la legge di gravitazione universale di Newton) sono modificate in modo che sulle scale a noi conosciute riproducano le leggi note, ma che possano avere deviazioni quando sono applicate su scale molto grandi come quelle galattiche o cosmologiche.
Ricapitolando
Con l’assunzione che le leggi della fisica da noi conosciute siano universalmente valide, abbiamo esaminato i possibili scenari in cui la materia oscura potrebbe essere composta da materia ordinaria, ovvero dagli atomi e dalle particelle che conosciamo e di cui siamo fatti anche noi stessi. Ma siamo stati costretti a concludere che nessun candidato di questo tipo è in grado di fornire una spiegazione plausibile. Da questo risultato è quindi nata la necessità di invocare l’esistenza di un nuovo tipo di particella non ordinaria, dotata di massa ed elettricamente neutra che possa costituire la materia oscura. Le più svariate ipotesi sono state fatte sulle possibili masse di queste particelle, dai leggerissimi assioni alle wimp, fino alle pesantissime wimpzilla. E parallelamente sono stati sviluppati tre principali approcci sperimentali che mirano a identificare queste particelle sfruttando gli effetti prodotti da collisioni ad altissima velocità all’interno di acceleratori, o sperando nella collisione di una wimp con nuclei di atomi ordinari, o cercando di misurare i fotoni X o gamma previsti nei casi in cui le particelle oscure fossero soggette a processi di annichilazione o decadimento. A oggi però, nessun esperimento ha fornito risultati conclusivi. Tanto che è stato anche proposto che la materia oscura non esista neppure, e che siano invece la legge di gravitazione universale e la relatività generale a dovere essere modificate quando applicate alle grandi scale cosmiche. Vi ricordate come è iniziata tutta questa storia? Da alcuni personaggi che in una notte d’estate restavano incantati dallo spettacolo del cielo stellato e si facevano domande fondamentali su che cosa stessero osservando. A questo punto possiamo dare loro una prima risposta, anche se ancora molto incompleta. Quello che vedono brillare nel cielo non è altro che una piccola parte della materia presente nell’universo, ed è solo quella parte composta dalle particelle di materia ordinaria di cui siamo fatti anche noi. Non possiamo dare altre risposte ai nostri personaggi. A oggi brancoliamo ancora nel buio, un buio pieno di materia, ma oscura.
Dal Capitolo 11 (p. 185)
È il desiderio puro e innato dell’uomo di conoscere ed esplorare che spinge la ricerca scientifica a progredire, e insieme ad essa la nostra cultura e consapevolezza. Non è sufficiente questo? Dobbiamo per forza cercare “applicazioni pratiche” per convincerci dell’importanza della cosiddetta ricerca di base? Non credo proprio. L’errore di fondo consiste nel pensare che quello che non ha immediate applicazioni pratiche sia di fatto inutile e possa rappresentare uno spreco di risorse pubbliche o private. Niente di più sbagliato. E comunque, se proprio si vuole trovare una motivazione “concreta” per giustificare la ricerca di base, faccio un esempio che conosco molto bene. Prendiamo il problema dell’energia oscura. Che cosa ci può essere di più astratto e inutile? Quali ricadute ci potrebbero essere nella vita quotidiana? Apparentemente nessuna, ma in realtà tante. Infatti, il problema dell’energia oscura (un problema da ricerca di base) genera una lunga filiera di attività molto diversificate e anche molto concrete. Si comincia, infatti, dal puro problema scientifico mirato alla pura conoscenza, per poi passare alla progettazione e realizzazione concreta degli esperimenti migliori per risolverlo. Ma gli esperimenti richiedono strumentazione di altissimo livello tecnologico. E questo implica un forte coinvolgimento della ricerca applicata, che studia la fattibilità dell’esperimento e la necessità di ulteriori sviluppi tecnologici per raggiungere l’obiettivo posto dagli scienziati.