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Il lockdown colpisce di più le donne

Secondo un'indagine condotta dal gruppo di ricerca MUSA del Cnr-Irpps, Covid-19 ha impattato negativamente soprattutto sulle donne, sia a livello psicologico che lavorativo (significativo anche l'aumento delle violenze domestiche). Colpiti anche i ragazzini sotto i 12 anni e probabilmente aumentato il tasso di suicidi.

Immagine: Medico foto creata da freepik - it.freepik.com

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Come ci sentiamo in questo tempo sospeso che stiamo vivendo? E come sta cambiando la nostra percezione del mondo?

A partire da fine marzo 2020, il gruppo di ricerca MUSA dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irpps), tramite l’Osservatorio Msa-Covid-19, ha condotto due indagini che mirano a esplorare, analizzare, e proporre previsioni circa gli effetti psicosociali della ridotta interazione sociale e della prolungata convivenza abitativa. Lo studio, che ha originato tre articoli sulla rivista internazionale European Review for Medical and Pharmacological Sciences, riguarda la dimensione interpersonale, psicologica ed economica del distanziamento sociale.

La rilevazione dei dati è stata effettuata attraverso dei questionari anonimi compilabili online, a cui si può accedere dal sito https://www.irpps.cnr.it/eventi/msacovid19/. Il questionario raccoglie in totale circa 50 domande a risposte chiuse: si passa da domande inerenti alla condizione abitativa – del tipo «In questi giorni, con chi vivi a casa?», a cui seguono una serie di possibili risposte, oppure «Numero di persone in casa» da indicare – a domande sulla condizione lavorativa – si deve indicare la propria tipologia di impiego (impiegato, disoccupato, pensionato, studente, ecc.) e la propria modalità lavorativa (lavoro da casa, in presenza, licenziamento, sospensione, ecc.) – fino a domande sulle attività quotidiane, sull’uso di internet e l’iperconnessione, sulla violenza domestica, sulla fiducia sistemica e sugli stati psicologici. Le rilevazioni statistiche sono anonime e il metodo utilizzato è il CAWI (Computer Assisted Web Interviewing), che garantisce l'immediata registrazione dei dati raccolti direttamente sul server del Cnr con l’ausilio del software Lime Survey.

In totale sono state raccolte oltre 140.000 interviste nella prima indagine e circa 5.000 nella seconda (indagine di confronto), con una copertura territoriale che si estende a tutte le regioni di Italia. La terza fase di studio degli effetti psicosociali ed economici conseguenti alla pandemia è stata invece avviata lo scorso 25 novembre, in occasione della Giornata per l'eliminazione della violenza contro le donne.

La ricerca ha evidenziato, in questa fase di costrizione, un’elevata quota di incertezza per il futuro, che riguarda indistintamente tutti, ma in particolare le donne. Gli effetti collaterali del distanziamento sociale sono numerosi e interconnessi. Sotto il profilo emotivo, per esempio, è stato osservato che le emozioni complessivamente dominanti sono la tristezza, la paura, l'ansia e la rabbia, mentre in questa fase la felicità è molto più rara. Ricorrono spesso forme di disagio connesse all’assenza di rapporti con il mondo esterno. Tra questi anche l’aumento di stati depressivi, disturbi di tipo alimentare e abuso di giochi elettronici e di alcool. Il distacco dagli altri bambini, dovuto al distanziamento sociale, sta inoltre creando disagi nel 64,5% dei minori di 12 anni e nel 33,5% emerge un significativo abuso di internet a scopo di gioco.

Sul piano del lavoro, a causa dell’interruzione di molte attività produttive, circa 4 persone su 10 prevedono consistenti perdite economiche, più di una su 10 perderà il lavoro o chiuderà la propria attività e due su 10 andranno in cassa integrazione.

Come emerge dalle indagini svolte, molte scelte individuali (anche semplicemente su come passare il tempo) sono condizionate da una visione stereotipata dei ruoli sociali. In altre parole, si tende ad attribuire ad altri o ad accettare per sé stessi una serie di comportamenti «canonici».

«Il perdurare del lockdown – dichiara Antonio Tintori, ricercatore del Cnr-Irpps – ha rafforzato l’idea stereotipata verso il genere, al punto da determinare una scansione dei compiti domestici a maggiore discapito delle donne e conducendo a ipotizzare che il periodo di incertezza abbia offerto una sorta di modello comportamentale di rifugio. Almeno 3 soggetti su 10 hanno visto l’isolamento forzato come il momento in cui la donna ha potuto riacquistare ‘il suo ruolo naturale di madre e moglie’. È emersa, inoltre, la tendenza a ritenere l’uomo degno di maggiori attenzioni, ad esempio la possibilità di uscire più spesso della donna per sopperire a varie esigenze domestiche. Abbiamo infine notato come tra le due indagini sia aumentata la quota di donne che accettano l’idea stereotipata dei ruoli di genere, così testimoniando la grande forza di persuasione di questi condizionamenti, che nell’attuale momento di crisi si configurano come un rassicurante modello comportamentale anche tra le donne che ne sono vittime». L’indicatore di stereotipia di genere dell’Osservatorio Msa-Covid-19, infatti, attesta al 20% degli uomini e il 10% delle donne un forte condizionamento dalla stereotipia di genere.

Ma dai dati raccolti sono emersi altri elementi. La ricerca rileva, infatti, che la scarsa cultura, la religiosità e l'orientamento politico di destra sono fattori che contribuiscono a una visione stereotipata di genere. È stato anche osservato che questa idea di ruoli naturali di genere è tendenzialmente più presente nel Mezzogiorno e cresce all'aumentare dell'età. Che cosa provoca tutto questo? Le convinzioni dettate da una visione condizionata dei ruoli sociali, stanno talvolta alla base di episodi di violenza: lo stereotipo si trasforma in pregiudizio, che a sua volta diventa discriminazione e poi violenza.

«Nella primavera 2020, durante il lockdown – spiega Antonio Tintori – la convivenza forzata tra partner ha riguardato quasi il 60% degli intervistati a livello nazionale. Tra questi, oltre il 15% ha vissuto con figli piccoli e circa il 50% con figli con età pari o superiore a 12 anni. La convivenza è avvenuta nel 15% dei casi in un piccolo appartamento (circa 50/70 mq). I dati hanno dimostrato che l’allungarsi del periodo di confinamento può causare un incremento dei casi di violenza domestica, anche in presenza di minori: nella prima indagine, circa il 3,4% dei genitori ha dichiarato che i propri figli hanno assistito alle loro liti, percentuale che sale al 5,7% con la seconda indagine. La convivenza forzata, inoltre, ha generato preoccupazione tra i partner rispetto alla stabilità della coppia nel 6% dei casi nel primo periodo di osservazione, nell’8% nella seconda indagine».

Dalla prima alla seconda indagine è stato infatti osservato un aumento della percezione del rischio di violenza di coppia. In particolare, si assiste a un aumento di circa il 6% di percezione del rischio di violenza psicologica dell'uomo sulla donna (dal 17,9% della prima indagine al 24,1% della seconda) e un aumento di più del 2% della percezione del rischio di violenza psicologica della donna sull'uomo (dal 10,5% al 12,8%); è stato poi rilevato un incremento del 5% di percezione del rischio di violenza fisica dell'uomo sulla donna (da 15,8% a 20,8%) e di circa l'1% della donna sull'uomo (da 4,2% a 5,1%).

L'analisi CNR documenta un aumento della percezione del rischio di violenza, non del fenomeno in sé (si tratta infatti di dati autoriferiti, dato che però indica una possibile enfatizzazione delle criticità dovuta alla convivenza forzata dal distanziamento sociale. L'isolamento protratto e non cercato può generare noia, frustrazione e un generale rilassamento delle norme e abitudini acquisite.

L'improvviso aumento di suicidi, documentato in Giappone negli ultimi mesi, ha riacceso l'interesse anche sul possibile legame fra aumento di suicidi e situazioni socialmente stressanti, che potrà essere indagato quando i dati più aggiornati sui suicidi saranno a disposizione anche in altri Paesi (le ultime rilevazioni ISTAT in Italia si riferiscono al 2016).

La ricerca del Cnr-Irpps suggerisce in sostanza un quadro di sofferenza sociale dovuto anche all'aggravarsi delle condizioni economiche di molte famiglie, come emerge ad esempio nel recente rapporto di Caritas. «I numerosi questionari su Covid-19 condotti in questo periodo danno segnali di un aumento di situazioni di stress che vanno inquadrati nei limiti di queste ricerche, spesso frutto di fenomeni auto-riferiti su campioni di popolazione non rappresentativi e frutto di autoselezione» commenta Giovanni de Girolamo, che guida la Psichiatria epidemiologica e valutativa dell'IRCCS Fatebenefratelli di Brescia e autore di numerose ricerche sul tema. «Va segnalato per esempio che uno studio longitudinale condotto in Germania su un campione di circa 500 soggetti seguito prima e durante la pandemia, ha mostrato una reazione positiva in termini di salute mentale nella maggioranza dei casi (84%) e un deciso peggioramento solo in una minoranza (8%) di soggetti più vulnerabili. Non mancano tuttavia conferme di alcune conseguenze negative dell'isolamento conseguente a Covid-19, come ad esempio il triplicarsi di chiamate al numero verde 1522 contro le violenze domestiche e lo stalking nel periodo marzo-ottobre 2020. Servono studi approfonditi per chiarire le conseguenze sulla salute mentale e i fenomeni di resilienza durante la risposta alla pandemia, così come una consapevolezza diffusa dei possibili danni sociali e psicologici che il protrarsi della pandemia può provocare».

 


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