Quanto davvero sta incidendo la pandemia in corso sui livelli di sopravvivenza? Questa domanda è stata oggetto di dibattito fin dall’inizio, quando più di qualcuno (in Italia e all’estero) parlava del Covid-19 come “qualcosa di più di un’influenza”. Poi col tempo ci si è resi conto che quella che stiamo sperimentando è una crisi di mortalità che va al di là di qualunque stagione influenzale (si badi bene: l’influenza resta una seria causa di morte della popolazione anziana ed è da prendere sul serio, ma non incide così tanto). Tuttavia, non è del tutto chiaro quanto realmente questo virus abbia inciso sulla longevità delle popolazioni che ne sono state colpite e anche fare confronti risulta difficile. Infatti, molti attribuiscono il maggior numero di decessi riscontrato in Italia alla sua struttura per età particolarmente anziana rispetto ad altri paesi quali Francia o Germania. In effetti, in presenza di epidemie di dimensione analoga con identici tassi di attacco per età, in presenza di analoghe capacità di risposta dei sistemi sanitari allora l’unico fattore a fare la differenza dovrebbe proprio essere la struttura d’età. In realtà, la struttura per età può spiegare solo parzialmente le differenze di mortalità (Medford, A., & Trias-Llimós, S. 2020). In effetti, se si va a vedere la percentuale della popolazione oltre i 65 anni (tabella 1) si nota che tra le popolazioni più “anziane”, oltre all’Italia ci sono paesi come Giappone, Portogallo e Finlandia, per i quali registriamo una mortalità da Covid-19 molto più bassa. Allo stesso modo popolazioni con un elevato Case fatality rate come Regno Unito e Belgio, hanno una struttura per età molto più giovane.
Tabella 1: Percentuale della popolazione con età maggiore di 65 anni e case fatality rate. Fonte OECD Stat (https://stats.oecd.org/) e John Hopkins CoronaVirus Research Centre (https://coronavirus.jhu.edu/data/mortality).
Perché guardare l’aspettativa di vita
In questo contesto misurare quale sarà la perdita in termini di speranza di vita alla nascita che sperimenteremo quest’anno è utile per due motivi:
- La speranza di vita alla nascita è un indicatore noto a tutti, anche ai non addetti ai lavori e di cui conosciamo il valore anche per gli anni del passato recente e remoto. Un confronto temporale permette di capire l’intensità della crisi di mortalità che stiamo sperimentando in questi mesi
- La speranza di vita è un indicatore della longevità di una popolazione che non è influenzato dalla struttura per età: è costruito proprio per poter confrontare i livelli di longevità di paesi con strutture per età anche molto diverse.
Il problema è che per calcolare tale indicatore dovremmo conoscere i decessi per età (per tutte le cause, non solo per Covid-19) fino al 31 dicembre 2020. Ovviamente quest’informazione ce l’avremo completa tra qualche mese, ma abbiamo comunque a disposizione i dati parziali forniti da ISTAT a livello comunale (si veda https://www.istat.it/it/archivio/240401) e quelli forniti dallo Human Mortality Database (www.mortality.org) per svariati paesi europei ed extra-europei. Questi dati, sebbene non facciano riferimento alla mortalità specifica per Covid-19, e quindi siano il risultato di effetti diretti ma anche indiretti dell’epidemia, ci permettono di capire la portata della crisi in atto anche a livello locale. Abbiamo capito, ad esempio, i livelli drammatici della mortalità raggiunti dalla provincia di Bergamo durante la prima ondata (Ghislandi et al, 2020). Con questi dati parziali è possibile formulare delle previsioni dei decessi che avverranno fino a fine anno e quindi prevedere il valore della speranza di vita alla nascita. Già in Spagna (Trias-Llimos et al. 2020) si è provato a stimare il calo di speranza di vita nel 2020, ottenendo una previsione di 0,8 anni in meno (per donne e uomini) rispetto all’anno precedente. Allo stesso modo in Inghilterra (Aburto et al 2020) si stima un calo della speranza di vita di 1,2 anni per gli uomini e di 0,9 per le donne. Potrà sembrare poco ma come vedremo anche in seguito nel secondo dopoguerra non si è mai visto un calo di tale portata.
...e l’Italia?
Come si posiziona dunque l’Italia rispetto agli altri paesi? Purtroppo non è facile dirlo: i dati sulla mortalità per tutte le cause fornite dall’ISTAT si fermano – per ora – al 30 settembre, cioè all’inizio della “seconda ondata”, pertanto riusciamo solo a vedere gli effetti della prima, mentre per altri paesi quali Germania, Francia, Spagna, Inghilterra abbiamo i dati aggiornati fino a novembre. Se proviamo a fare una previsione, assumendo che per le settimane mancanti la mortalità sarà come nelle analoghe settimane del 2019, otteniamo quanto riportato in figura 1: solo la Germania non mostra un calo della speranza di vita, mentre per gli altri paesi vediamo diminuzioni che vanno da 6 mesi (Francia) fino a 1 anno e mezzo (Spagna) passando per 1 anno e tre mesi (Inghilterra e Galles) e 1 anno e 1 mese (Italia). I dati Istat ci permettono di fare calcoli simili per ogni singola provincia, particolarmente utile visto che la prima ondata ha colpito in modo particolare solo alcune zone dell’Italia. Infatti, focalizzandosi su alcune provincie del Nord Italia il quadro diventa ben più drammatico, come si può vedere nella tabella 2: a Cremona e Bergamo si arriva ad un calo di 4 o 5 anni, a Lodi e a Piacenza a tre, cali che sono paragonabili a quelli che troviamo negli anni delle due guerre mondiali. Per vedere una mappa completa del calo di speranza di vita si veda qui (link https://www.neodemos.info/2020/11/20/lo-sapevata-che/).
Tabella 2: Speranza di vita osservata (2018) e speranza di vita prevista (2020) nelle provincie più colpite. Fonte: Istat.
Ricordiamo però che il dato italiano è ancora precedente agli effetti della seconda ondata e quindi 1 anno e un mese non può che essere una sottostima, dell’effettivo calo della speranza di vita che registreremo. Se, per esempio, ipotizzassimo che il livello di mortalità nelle settimane mancanti fosse equivalente a quello registrato nella prima ondata (e sembra abbastanza ragionevole pensarlo) allora il calo di speranza di vita sarebbe pari a 2 anni e 3 mesi! Per rendere l’idea, un calo di tale portata bisogna andare negli anni delle guerre mondiali: ad esempio il calo di speranza di vita alla nascita fu di circa un anno e mezzo nel 1940 e 3 anni e mezzo nel 1941. Un bilancio, pesantissimo, insomma che l’anzianità della popolazione non può certo spiegare.
Figura 1: Speranza di vita alla nascita osservata (2010-2019) e prevista (2020) in alcuni paesi europei. Fonte: Human Mortality Database (elaborazioni dell'autore)
Note
Aburto J.M., Kashyap R., Schöley J., Angus C., Ermisch J., Mills M. C., Dowd J. B. (2020) Estimating the burden of COVID-19 pandemic on mortality, life expectancy and lifespan inequality in England and Wales: A population-level analysis. medRxiv 2020.07.16.20155077; doi: https://doi.org/10.1101/2020.07.16.20155077
Ghislandi S., Muttarak R., Sauerberg M., Scotti B. (2020). News from the front: Estimation of excess mortality and life expectancy in the major epicenters of the COVID-19 pandemic in Italy medRxiv 2020.04.29.20084335; doi: https://doi.org/10.1101/2020.04.29.20084335
Medford, A., & Trias-Llimós, S. (2020, April 1). Population age structure only partially explains the large number of COVID-19 deaths at the oldest ages. https://doi.org/10.31219/osf.io/kb2z
Trias-Llimós S, Riffe T, Bilal U (2020). Monitoring life expectancy levels during the COVID-19 pandemic: Example of the unequal impactof the first waveon Spanish regions. PLoSONE 15(11):e0241952.https://doi.org/10.1371/journal.pone.0241952