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Facciamo il punto sulle foreste con Giorgio Vacchiano

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Le foreste regolano gli ecosistemi, proteggono la biodiversità, sono fondamentali per il ciclo del carbonio, da cui la nostra esistenza dipende. Eppure la deforestazione e la frammentazione degli habitat continuano, anche se hanno subito un lieve rallentamento. Parole d’ordine per il futuro sono: gestione sostenibile, ripristino e protezione.

Crediti foto: J. Menke -Pexels

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Dal  1990 ad oggi oltre 420 milioni di ettari di foresta sono andati persi nel mondo a causa della deforestazione. Questa la stima della FAO, pubblicata nel rapporto “Global Forest resource assessment”. Con il termine deforestazione si intende la trasformazione permanente di una foresta in un altro tipo di habitat, o  in generale una perdita significativa e permanente della copertura arborea. Complessivamente, il tasso di deforestazione è diminuito nell’ultimo decennio, la FAO stima infatti un declino di 7,8 milioni di ettari l’anno tra 1990 e 2000 contro i 4,7 milioni anno persi tra 2010 e 2020. Ma ovviamente non è così per tutte le regioni del mondo, ad esempio in Africa il tasso di deforestazione è aumentato progressivamente, e attualmente si stima per il 2010-2020 un consumo di 3,9 milioni di ettari  all’anno.

Secondo il report fresco di pubblicazione“Fronti di deforestazione” del WWF international, gli attuali fronti di deforestazione (ovvero le aree da cui è probabile si estenda la deforestazione) sono 24, e si concentrano nelle aree tropicali e subtropicali, precisamente: 9 in Sud America, 8 in Africa e 7 in Asia e Oceania. La crescita della popolazione umana, lo sviluppo tecnologico ed economico e, ovviamente, le politiche locali e internazionali sono tutti fattori che in modo più o meno indiretto influenzano la gestione del territorio. Poi, in concreto, si disbosca per fare spazio a terreni agricoli o destinati alla zootecnia, per estrarre risorse minerarie e per sviluppare le infrastrutture viarie e gli insediamenti. Negli ultimi anni, il Cerrado brasiliano ha perso oltre il 30% della copertura forestale e la minaccia principale è legata alla produzione di soia, usata prevalentemente come foraggio per il bestiame. In Amazzonia la foresta viene distrutta soprattutto per far posto agli allevamenti, ma crescono anche le attività agricole, gli impianti idroelettrici e la speculazione che porta all’acquisizione di pascoli che in sostanza non vengono utilizzati. In Africa, invece, la deforestazione è causata soprattutto dall’aumento di piccoli produttori di caffè, cacao, olio di palma, mais e bestiame, che in parte esportano i prodotti, in parte soddisfano una crescente domanda interna al continente. In Asia, invece, sono le piantagioni di palma da olio a dare impulso alla perdita delle foreste.

Isole povere

Non è solo la deforestazione che preoccupa ma anche la frammentazione, che è un preludio della perdita delle foreste e del loro valore ecosistemico1. La frammentazione scompone la foresta in tante piccole porzioni, isole separate tra loro, incapaci di sostenere la biodiversità di un ecosistema intatto. Cambiano il sequestro di anidride carbonica, la disponibilità di acqua, le condizioni climatiche e microclimatiche, la circolazione dei venti perché sono alterati i confini delle foreste, che ovviamente non sono più quelli dettati dal clima e dalle caratteristiche dell’ambiente. Ma non solo: aumenta anche la vulnerabilità agli incendi: «nelle foreste alterate cambia il regime dei fuochi, con ricadute sia sull’uomo, in termini di pericolosità, che sul clima come emissione di carbonio. Nelle foreste pesantemente modificate entra più luce, quindi si secca di più il sottobosco coi raggi del sole e quindi la foresta brucia più facilmente» spiega Giorgio Vacchiano ricercatore presso il Dipartimento di scienze agrarie e ambientali dell’Università di Milano e autore del libro “La resilienza del bosco”. «Diversi studi nel sud della foresta amazzonica dimostrano che deforestazione, degrado e siccità si rinforzano a vicenda. La deforestazione peggiora la siccità perché togliendo gli alberi peggiora il bilancio idrico, il suolo è meno coperto, l’acqua evapora più velocemente.  Al contempo, la siccità favorisce la deforestazione perché rende più facile la propagazione degli incendi, che sono appiccati dall’uomo per liberare aree da destinare ad agricoltura o pascolo, e se la foresta è secca il fuoco può estendersi fino a aree dove intenzionalmente non si voleva andasse». Questo è vero non solo per l’Amazzonia, ovviamente, ad esempio uno studio pubblicato su Nature Communications2 indica che in Indonesia solo il 4% delle foreste conserva la resistenza agli incendi.

Con la frammentazione si altera la composizione e la ricchezza delle specie che la foresta intatta sostiene (su Scienza in rete ne abbiamo parlato qui). Questo è vero per le specie animali, dagli invertebrati ai grandi mammiferi, ma vale anche per le piante: «in una foresta frammentata anche i semi e il polline circolano più difficilmente. Man mano che la foresta si riproduce viene meno la possibilità di far circolare quei tratti di adattabilità genetica che possono servire per affrontare qualsiasi evento avverso nel futuro, a partire dalla crisi climatica fino ai parassiti. Magari l’effetto non è immediato ma a lungo termine la foresta è molto più vulnerabile» spiega Vacchiano. Senza contare che piante e animali sono spesso legati da relazioni mutualistiche in cui la pianta fornisce nutrimento e habitat, e l’animale favorisce la riproduzione, con l’impollinazione o il trasporto dei semi (zoocoria). La frammentazione altera queste relazioni piante-animali3, con effetti sulla composizione stessa delle comunità floristiche.

E non va dimenticato il legame tra salute e integrità degli ecosistemi: «le foreste più degradate sono collegate alla diffusione di alcune zoonosi, se ne è parlato molto questo anno, con la pandemia di Covid. Ad esempio, nelle foreste dove si entra con mezzi meccanici pesanti, il suolo si compatta, si creano delle pozzanghere dove le zanzare possono deporre le larve e moltiplicarsi molto meglio che nel suolo di una foresta intatta, dove l’acqua percola in profondità. E quindi nelle foreste tropicali malattie come la dengue, la chikungunya, la malaria, portate dalle zanzare, si diffondono e sono favorite dal degrado della foresta» racconta Vacchiano.

Quanto sono naturali le foreste?

Il report della FAO stima che le foreste attualmente ricoprano complessivamente un’area di circa 4 miliardi di ettari, circa il 30% della superficie terrestre. Più della metà di queste foreste si trovano in cinque Paesi: Russia, Brasile, Canada, USA e Cina. Ma quanto sono naturali queste foreste? Secondo un articolo recentemente pubblicato su Nature Communication4 solo il 40% delle foreste si può effettivamente definire integro, ovvero libero da modificazioni antropiche nella sua struttura, funzionamento e composizione. Gli autori dello studio hanno sviluppato un indice di integrità delle foreste, mettendo insieme i dati di copertura vegetale con le azioni umane e la distanza dai punti impattati. La mappa prodotta (consultabile qui) indica che la presenza delle attività umane è pervasiva e varia molto nelle diverse aree. Il 91% delle foreste subisce una forma di utilizzo, dalla più leggera alla più intensa. Le foreste con una maggiore integrità sono quelle circumpolari: il nord di Russia, Canada e Alaska. Riguardo alle zone tropicali, rimangono foreste intatte in Sud America (in Guyana, Cile e Brasile) e in Africa centrale (Congo e Gabon). Più della metà delle foreste intatte si trova all’interno delle aree protette (il 58% circa), che ospitano più di un quarto delle foreste con il grado più elevato di integrità.

«La stima dell’integrità delle foreste attraverso un modello dipende dalla definizione che diamo di integro. Nell’articolo di Nature solo le foreste che non subiscono nessuna modifica possono essere considerate intatte. Uno studio simile5 pubblicato due anni fa definiva invece non integre le foreste in cui l’azione dell’uomo va oltre il range di naturale variabilità delle foreste. Impatti minimi, come il taglio di un singolo albero, sono assorbibili dalla foresta e non si altera la sua funzione. Si pone un problema più ideologico: possiamo avere una visione binaria, cioè la foresta funziona meglio se non c’è alcuna presenza umana, o una visione più sfumata, ovvero dipende da cosa l’uomo fa. È un dibattito aperto» commenta Vacchiano. «Quando confrontano il grado di integrità delle foreste con la distribuzione delle aree protette nel mondo, gli autori dichiarano che le foreste più intatte si trovano nelle aree a protezione integrale, ma anche in quelle aree affidate alla gestione delle comunità indigene. Questa non è una novità: le aree protette in cui la gestione è affidata alle comunità locali sono uno scrigno di biodiversità, funzionano molto bene, spesso molto più di quelle gestite dai governi e soggette a una esclusione totale delle attività dell’uomo. Ma non è che le comunità indigene non utilizzino le piante per scopi alimentari e medicinali… nella foresta ci abitano e ne impiegano le risorse. È  il modo in cui lo fanno che cambia tutto» prosegue Vacchiano.

Eterogeneità, sostenibilità e resilienza

Anche se ha subito un rallentamento, la deforestazione e la degradazione delle foreste resta un problema importantissimo cui fare fronte. Una strada che viene perseguita è quella di realizzare piantagioni per cercare di mitigare le emissioni di anidride carbonica. Ma è una soluzione davvero efficace? «L’idea di piantare alberi rischia di funzionare bene solo per un obiettivo limitato che è quello di assorbire più carbonio. Se questo è l’unico scopo allora può dare un contributo (ma non è sufficiente per risolvere il problema) a patto che gli alberi siano piantati bene, in condizioni favorevoli per la loro crescita e sopravvivenza. Il problema è che abbiamo anche altri fattori di cui tenere conto: la biodiversità, il circolo della sostanza organica, la vulnerabilità al fuoco: una piantagione che è fatta da alberi tutti uguali, se brucia, brucia tutta. L’eterogeneità è il segreto della resilienza» risponde Giorgio Vacchiano.

«Se una foresta è poco intatta possiamo puntare al ripristino, e quindi l’istituzione di un’area protetta in queste aree è importante proprio per cercare di riportarla ai livelli originali. Per questo è giusto che possa non esserci necessariamente corrispondenza tra l’essere intatto e l’essere protetto. La presenza di luoghi ad alto valore naturalistico è importante ma non dobbiamo fermarci solo a quelli, ma guardare a cosa c’è nel mezzo, a cosa li collega, a come gestirli. Non si può pensare di rendere inaccessibili tutti i boschi per tutelarli, ma è fondamentale capire come raggiungere un equilibrio che ci consenta di utilizzare le risorse in modo sostenibile».  

Il bosco di casa

In Europa la superficie forestale complessiva ammonta a 215 milioni di ettari (7 volte la superficie dell’Italia), ovvero circa il 33% del suolo europeo. È una delle poche regioni in controtendenza, con un aumento della superficie forestale costante negli ultimi 25 anni, e un tasso di incremento di circa 403 milioni di metri cubi all’anno, secondo Forest Europe, ovvero la conferenza ministeriale sulla protezione delle foreste in Europa, un’iniziativa che coinvolge i ministeri di ambiente e foreste di 46 stati europei, della UE e non. L’87% di queste foreste è seminaturale, mentre il 4% è indisturbato.

Malgrado l’aumento della superficie forestale, non mancano le minacce. Almeno il 3% delle foreste europee sono danneggiate in alcune regioni a causa di fuochi, insetti parassiti e densità anomale di ungulati. In generale, si è osservato un trend in crescita di defogliazione degli alberi, che indica un deterioramento di alcune foreste. Un problema importante  è quello della siccità6: «a metà del 2000 ho studiato l’effetto della siccità sulle foreste alpine, colpite da diverse annate secche, a partire dal 2003. Il pino silvestre ne aveva sofferto moltissimo, facendo cambiare la composizione della foresta che si stava impoverendo di pini e arricchendo di specie più mediterranee adatte al caldo e al secco come la roverella. Questo fenomeno sta aumentando. Nel 2018 in Centro Europa, soprattutto in Germania, sono morti centinaia di migliaia di alberi a causa della siccità. Questo ha conseguenze a cascata: un albero sofferente ad esempio, resiste meno agli attacchi degli insetti, è più infiammabile, tollera meno eventi climatici avversi» racconta Vacchiano.

Le foreste entrano a pieno titolo nella strategia europea per la biodiversità 2030, uno dei pilastri del Green Deal Europeo con l’obiettivo, nel prossimo decennio, di potenziare le aree protette, ripristinare gli ecosistemi e migliorare in genere la governance della biodiversità. Conclude Vacchiano: «in un Paese come l’Italia le foreste ad alta integrità sono il 3% ma abbiamo quasi il 40% del territorio coperto da foreste. Quel 3% va delimitato e protetto con più vigore, con la strategia europea della biodiversità dovremo individuare un 10% di foreste da sottoporre a protezione rigida. Il 97% delle foreste italiane non è ad alta integrità, ma non può essere dimenticato come biodiversità, quindi bisogna trovare delle strategie forestali di buon compromesso, con basi scientifiche, in modo di gestirle nel modo più compatibile possibile con i naturali processi della foresta che garantiscono anche la nostra sopravvivenza».

Note
1 Hansen, M. C., et al. (2020) "The fate of tropical forest fragments." Science Advances 6.11: eaax8574.
2 Nikonovas T., et al. (2020) "Near-complete loss of fire-resistant primary tropical forest cover in Sumatra and Kalimantan." Communications Earth & Environment 1.1: 1-8. 
3 Marjakangas, E., et al. (2020) "Fragmented tropical forests lose mutualistic plant–animal interactions ." Diversity and Distributions 26.2: 154-168.
4 Grantham, H. S., et al. (2020) "Anthropogenic modification of forests means only 40% of remaining forests have high ecosystem integrity." Nature communications 11.1: 1-10. 
5 Watson, James EM, et al. (2018) "The exceptional value of intact forest ecosystems." Nature ecology & evolution 2.4: 599-610.
6 Senf, Cornelius, et al. (2020) "Excess forest mortality is consistently linked to drought across Europe." Nature communications 11.1: 1-8.
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