fbpx Algoritmi per studiare le interazioni proteiche di SARS-CoV-2 | Scienza in rete

Gaetano Tartaglia: algoritmi per studiare SARS-CoV-2

Primary tabs

Un team di scienziati dell'Istituto Italiano di Tecnologia sta studiando le interazioni che il virus stabilisce con le molecole all'interno della cellula ospite per capirne meglio i meccanismi biologici e individuare possibili farmaci.

Crediti immagine: Nucleic Acids Research, 2020.

Tempo di lettura: 6 mins

L’unico compito di un virus è quello di replicarsi. Ma, per farlo, deve trovarsi in un ambiente speciale: la cellula. L’intruso dovrà quindi essere in grado di ingannarla per avere la sua “ospitalità”. Il gruppo di ricerca coordinato da Gian Gaetano Tartaglia, responsabile del laboratorio RNA System Biology Lab dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova e docente del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza Università di Roma, ha investigato i meccanismi molecolari responsabili della replicazione del SARS-CoV-2 all’interno delle cellule umane, utili alla comprensione dei principi di diffusione di Covid-19.

Lo studio, frutto di una collaborazione tra IIT, la Sapienza, Nanyang Technological University (NTU) di Singapore e il Centre for Genomic Regulation (CRG) di Barcellona, è stato pubblicato su Nucleic Acids Research alla fine del 2020 e sta avendo un seguito [1].

«Come sappiamo, SARS-Cov-2 vive in un involucro proteico circondato da spine dette spike. Il loro ruolo è quello di agganciarsi al ricettore cellulare, ACE2, in maniera tale da permettere a una parte del virus di entrare nella cellula, dove avviene la replicazione», spiega Tartaglia. «Una volta replicatosi, esce dalla cellula per trovarne un’altra a cui agganciarsi e ripetere il processo». Diversamente da altri virus come HIV, è stato osservato che SARS-CoV-2 è in grado di produrre autonomamente alcuni elementi utili per la replicazione; tuttavia, per produrre nuove copie di se stesso, deve comunque “rubare” altre proteine al suo ospite. E, oltre ad appropriarsi delle proteine della cellula che sono utili al processo di riproduzione, il virus deve poter bloccare quelle che invece servono alla cellula per difendersi. Quindi, entrando, il virus comincia a selezionare le proteine di cui necessita e quelle da inibire.

«I virus reclutano gli elementi che gli servono per riprodursi. Non sappiamo ancora bene quali siano e in quale ordine vengano reclutati, non solo per quanto riguarda SARS-CoV-2 ma anche per molti altri virus. Se lo sapessimo, potremmo bloccare questa interazione tramite una molecola appositamente costruita, ovvero uno specifico farmaco antivirale. Quindi, le prime domande che ci poniamo sono: quali proteine che risultano vitali per il virus? E in che ordine vengono reclutate?», spiega Tartaglia. «Oltre a questo, per poter sopravvivere e svolgere la sua funzione, il virus deve essere capace di difendersi da quelle proteine che, invece, hanno il compito di presidiare la cellula dal suo attacco. In altre parole, deve renderle inerti: una volta agganciati quegli elementi a lui favorevoli, fa in modo di attrarre quelli che difendono la cellula e intrappolarli in alcune sue particolari strutture».

Sappiamo ancora pochissimo sul funzionamento di questi meccanismi. Negli ultimi dieci anni, il team di Tartaglia ha lavorato, sia sul piano computazionale che sperimentale, sulle interazioni delle proteine umane con specifici RNA. Nel 2019, Tartaglia ha infatti ricevuto un finanziamento dall’European Research Council (ERC) per il progetto ASTRA, dedicato allo studio delle terapie a RNA per le malattie neurodegenerative. Ma, con l’inizio della pandemia, il suo gruppo di ricerca ha sfruttato tutti gli strumenti di cui erano già in possesso per lo studio delle interazioni del SARS-CoV-2. Diversi dottorandi hanno partecipato con entusiasmo al lavoro, sia teorici, come Andrea Vandelli, che sperimentali, come Jakob Rupert.

«Abbiamo sviluppato gli algoritmi utilizzati già anni fa non tanto per studiare i virus ma in generale per studiare l’RNA e le proteine», precisa Tartaglia. «In altri termini, erano strumenti che avevamo già pronti. Con l’inizio della pandemia, abbiamo deciso di metterli a disposizione di altri gruppi di ricerca sperimentale, dando loro modo di approfondire la conoscenza di quelle interazioni che si pensa siano importanti per la replicazione del virus. Contemporaneamente, anche noi abbiamo iniziato a fare esperimenti sulla base delle previsioni date dagli algoritmi, con lo scopo di ottenere altre conferme».

I ricercatori hanno ottenuto due risultati principali. Il primo, come spiegato precedentemente, mostra che la replicazione del virus è causata dalle interazioni di alcune proteine umane con specifiche aree del genoma di SARS-CoV-2, la cui interruzione può fermare l’infezione. Il secondo risultato dell’algoritmo, invece, mostra che un certo numero di proteine di SARS-CoV-2 sono presenti anche in altri virus, una somiglianza che potrebbe aiutare a identificare farmaci efficaci contro Covid-19 tra i composti antivirali già esistenti. Come spiega Tartaglia, «Molte proteine della cellula con cui il virus interagisce (sia che servano all’attivazione del processo di replicazione, sia che servano a bloccarlo) si trovano anche in meccanismi di interazione con altri virus; altre, invece, sono specifiche dell’interazione con il coronavirus. L’obiettivo è quindi sapere cosa sia generale, per capire la biologia del virus, e cosa sia specifico di SARS-CoV-2, per comprenderne la sua efficacia. Una classe di proteine che viene spesso reclutata, per esempio, è l’elicasi, che ha il ruolo di cambiare la struttura dell’RNA virale in modo da poter dare inizio alla costruzione di copie. Si tratta di una classe molto nota, che riscontriamo in diversi agenti patogeni». Conoscere il virus nei suoi dettagli e comprenderne i meccanismi che stanno alla base della sua replicazione potrebbe consentire di trovare la soluzione al problema.

«È ciò su cui tutt’ora stiamo lavorando, cioè capire quali elementi proteici della cellula il SARS-CoV-2 sceglie e in che modo li sceglie», spiega Tartaglia. «Una volta capito questo, saremo in grado di creare una molecola che renda meno efficiente la replicazione del virus. Come tutti ricorderanno, all’inizio della pandemia sono stati fatti vari tentativi al buio, come l’utilizzo di alcuni farmaci normalmente utilizzati contro HIV (lopinavir e ritornavi, poi rivelatisi inefficaci, ndr)».

In queste ultime settimane abbiamo sentito parlare di varianti del virus, riscontrate in varie parti del mondo e originate da diverse mutazioni del virus che avvengono naturalmente. Il gruppo di ricerca di Tartaglia sta lavorando anche su questo: «Abbiamo cominciato a prendere una lista di varianti, in particolare sei, incluse quella inglese (B.1.1.7) e quella brasiliana (B.1.128.1), tenendo comunque conto che vengono prodotte velocemente (nel giro di poche settimane ce ne saranno altre, data l’elevata velocità di diffusione). Anche in questo caso, prima creiamo dei modelli teorici e poi li applichiamo agli studi sperimentali per capire come cambia il virus».

Ma cosa comporta l’evoluzione di un virus? Ci saranno più contagi? Ci saranno più morti? Pare che una delle mutazioni della variante inglese (N501Y) aumenti di 2,5 volte l’affinità della proteina spike rispetto al recettore ACE2, facendo sì che il virus si agganci più facilmente alla cellula. «Un virus ha come scopo primo quello di riprodursi il più possibile, non di sopprimere la cellula ospitante, anche perché senza questa morirebbe», spiega Tartaglia. «Una variante di successo, quindi, deve aumentare la capacità del virus di replicarsi, ma per farlo deve evitare che la cellula muoia. È quindi possibile che, variando, il virus aumenti la sua contagiosità, ma nel tempo, dopo una fase di adattamento nell'ospite, diventi meno aggressivo».

 

Riferimenti
1. Structural analysis of SARS-CoV-2 genome and predictions of the human interactome - Andrea Vandelli, Michele Monti, Edoardo Milanetti, Alexandros Armaos, Jakob Rupert, Elsa Zacco, Elias Bechara, Riccardo Delli Ponti and Gian Gaetano Tartaglia - Nucleic Acids Research, 2020. DOI: 10.1093/nar/gkaa864 https://academic.oup.com/nar/advance-article/doi/10.1093/nar/gkaa864/592...

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Neanderthal genes made Covid more severe

A primitive man with a spear, blazer and briefcase

The Origin study from the Mario Negri Institute has identified genetic variants from Neanderthals in the DNA of those who had the most severe form of the disease.

Image credits: Crawford Jolly/Unsplash

A small group of genes that we inherited from the Neanderthal man - and from his romantic relationships with our sapiens ancestors - exposes us today to the risk of developing severe Covid. This is the unique conclusion of the Origin study by the Mario Negri Institute, presented yesterday in Milan and published in the journal iScience.