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Storia di una raganella, come l'espansione ha influenzato due popolazioni

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Due studi recenti indagano le differenze nello stato di stress ossidativo e nella variazione di lunghezza dei telomeri in due diverse popolazioni di raganella sarda, per capire quali tratti possano aver influenzato l’espansione della specie 10.000 anni fa (o esserne stati influenzati). In altre parole, di come un momento transitorio abbia modificato le caratteristiche intraspecifiche oggi esistenti. I risultati sono stati sorprendenti: la popolazione di “colonizzatori”, infatti, presenta livelli più alti dei marcatori di stress ossidativo, ma anche telomeri che si allungano nel tempo, un tratto finora osservato solo in poche specie.

Crediti immagine: Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 3.0

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A volte, la storia delle dinamiche di popolazione degli animali può essere alla base di differenze fisiologiche inattese. E a volte, per arrivarci bisogna ricostruire la storia di queste popolazioni fin dal passato più remoto. È quello che sta facendo già da diversi anni un gruppo di ricercatori dell’Università della Tuscia, che fin dal 2011 ha portato avanti una serie di studi sulla raganella sarda (Hyla sarda), una specie endemica della Corsica, della Sardegna e dell’arcipelago toscano. I loro studi, che avevano permesso di ricostruirne i movimenti del passato e in particolare l’espansione che ha portato la raganella dalla Sardegna alla Corsica durante il tardo Pleistocene, si stanno ora concentrando sulle differenze tra le popolazioni. In altre parole: fra due popolazioni della stessa specie rimaste tra loro separate, quali differenze si osservano? Possono essere influenzate, o aver influenzato, un cambiamento di areale avvenuto migliaia di anni fa?

Una specie, due popolazioni. Ma quali differenze?

«Il complesso sardo-corso è un’area di studio molto interessante, sia perché rappresenta un hotspot di biodiversità del Mediterraneo sia perché è come un piccolo continente in miniatura, con la parte settentrionale, cioè la Corsica, che durante le glaciazioni ha avuto un marcatissimo cambiamento climatico, al contrario della parte meridionale», spiega Daniele Canestrelli, ecologo molecolare ed evolutivo dell’Università della Tuscia. «Alcuni anni fa, abbiamo scoperto che la raganella sarda è riuscita a raggiungere la Corsica dalla Sardegna circa 10.000 anni fa, sfruttando un temporaneo ampliamento della linea di costa, nel tardo Pleistocene, nell’attuale stretto di San Bonifacio. Questo ci ha offerto un importante modello di studio, perché ciò che è avvenuto alle popolazioni durante la fase di espansione è poi stato “congelato” dalla chiusura dello stretto, che non ha consentito agli individui di raggiungere in tempi successivi la Corsica».

Quindi, i ricercatori hanno iniziato una serie d’indagini sulla diversità intraspecifica delle due popolazioni di Hyla sarda, confrontando quelle rimaste in Sardegna con quelle arrivate in Corsica. Inizialmente, le indagini si sono concentrate su tratti fenotipici collegati alle abilità dispersive. Per esempio, il salto è un’importante modalità di locomozione per la raganella, ed è possibile ipotizzare che durante il percorso di espansione vi sia stata una pressione selettiva che ha portato i migliori “saltatori” a essere anche i migliori dispersori. Viceversa, un carattere sessuale secondario come il canto che i maschi usano per attirare la femmina può essere selezionato in modo negativo tra i colonizzatori, perché aumenta il rischio di essere predati. In una popolazione stabile, infatti, questo rischio è ripartito tra tutti i “cantatori”, ma è maggiore per un individuo al margine di un’area di espansione.

Ma ancora più interessante è andare a vedere come la variazione geografica possa influenzare tratti e meccanismi biologici che, a loro volta, sono influenzati e influenzano diversi altri fattori. I ricercatori ne hanno indagati due in particolare, entrambi noti per essere anche correlati all’invecchiamento cellulare. Il primo è lo stress ossidativo, ossia quell’insieme di alterazioni e danni dovuti all’esposizione ad agenti ossidanti e influenzato per esempio dall’investimento metabolico per la riproduzione, nonché dal sistema immunitario, e che a sua volta può avere effetti importanti sulla fitness dell’individuo. Il secondo è la variazione della lunghezza dei telomeri, le estremità terminali dei cromosomi che ne preservano l’integrità, noti per accorciarsi da una replicazione cellulare all’altra.

Risultati inattesi e nuove strade d’indagine

In due diversi studi, entrambi pubblicati a fine anno e svolti in collaborazione con colleghi del Museo di Storia Naturale di Parigi, i ricercatori hanno mostrato come, in effetti, confrontando la popolazione di raganella sarda con quella corsa, si possano osservare differenze significative sotto entrambi questi aspetti. «Abbiamo tenuto gli animali in condizioni controllate per un anno per vedere se popolazioni diverse, all’interno di una stessa specie della quale conosciamo le caratteristiche e sappiamo che la principale differenza riguarda l’origine, presentassero dinamiche molecolari simili o meno», spiega Canestrelli. «Da una parte, i risultati sono stati quelli che ci attendevamo: abbiamo infatti osservato un incremento fisiologico dei marcatori correlati allo stress ossidativo nelle raganelle corse, un elemento che potrebbe rappresentare una sorta di eredità dei processi biogeografici del passato. È come se i progenitori delle raganelle, durante l’espansione in Corsica, avessero investito più nella dispersione che nei processi che contrastano all’invecchiamento cellulare».

Ma, seguendo questa logica, i risultati della seconda parte dello studio risultano decisamente inattesi. Infatti, ci si potrebbe aspettare anche che le popolazioni corse abbiano, insieme a un più marcato stress ossidativo nel tempo, anche un più veloce accorciamento dei telomeri. Invece non solo non è così ma, dai dati raccolti dai ricercatori, emerge addirittura un allungamento delle estremità dei cromosomi. «E si tratta di un incremento cospicuo: a un anno di distanza, i telomeri delle raganelle corse sono del 30 per cento più lunghi rispetto all’inizio dell’esperimento», specifica Canestrelli. È esattamente il contrario di quanto sappiamo per la maggior parte delle specie, compresa la nostra, perché la lunghezza dei telomeri di norma diminuisce con l’età (fatta eccezione per le cellule tumorali e alcuni particolari tipi cellulari, come quelli della linea germinale).

Ciò che emerge da questi lavori apre la strada a diverse ipotesi e linee di ricerca. Intanto, come si concilia la presenza di due tratti correlati all’invecchiamento cellulare così contrastanti quali un aumento di stress ossidativo e l’aumento di lunghezza dei telomeri? Come si può spiegare in base alla dinamica delle popolazioni? «Siamo nel regno delle ipotesi, e infatti ora stiamo portando avanti una serie di studi per chiarire questi meccanismi», spiega Canestrelli. «Una possibilità, per esempio, potrebbe essere che le pressioni selettive al momento dell’espansione d’areale abbiano causato un aumento nella plasticità del macchinario molecolare che porta a un aumento della variazione dei telomeri. Questa è un’ipotesi particolarmente intrigante dal punto di vista evolutivo, perché corrisponde a dire che, durante una fase della storia di popolazione, viene selezionato un certo meccanismo (quello che determina un aumento dello stress ossidativo), e nella fase immediatamente successiva è selezionato un meccanismo compensatorio (l’allungamento dei telomeri), che in parte attenua i meccanismi - e gli effetti - del primo».

Anche al di là delle possibili spiegazioni dei meccanismi molecolari, comunque, queste due ricerche evidenziano l’importanza, negli studi evolutivi, di lavorare sulle popolazioni e non solo sulle specie. «L’evoluzione agisce sulle popolazioni naturali selezionando le varianti: questo è noto da tempo e non è certo una novità dire che sia importante considerare le popolazioni», commenta Canestrelli. «Siamo però stati a lungo attanagliati da quello che qualcuno ha chiamato “la tirannia della media”, cioè dalla tendenza di descrivere l’unità funzionale, la specie, come un valore medio, come se gli individui fossero ben rappresentati dall’“individuo medio”. Ciò che questi studi mettono in evidenza è quindi che l’individuo medio non è quello che ha contribuito necessariamente di più nel corso dell’espansione, e che probabilmente non è neppure mai nato. In altre parole, l’unità di analisi più appropriata non è la specie ma la popolazione, se non addirittura l’individuo».

 


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