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La lunga notte della ragione

All'inizio degli anni 2000 imperversava il fronte No OGM. Il 13 febbraio 2001, millecinquecento scienziati italiani si diedero virtualmente appuntamento alla Camera dei Deputati: era il traguardo delle discussioni sul manifesto pubblicato a novembre 2000 e sostenuto dal premio Nobel Renato Dulbecco, che denunciava l’azione di messa al bando dell’uso delle tecnologie del DNA ricombinante. Perché gli scienziati insorsero contro il Governo? Perché non c’era un solo capitolo del mondo della ricerca di cui si potessero dire soddisfatti.

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Il 13 febbraio 2001 circa millecinquecento scienziati italiani si diedero virtualmente appuntamento alla Camera dei Deputati, anche se fisicamente presenti erano un centinaio. Nessuno prima si era mai reso conto che i ricercatori italiani avessero una voce e anche delle idee su come si governa un'economia fondata sulla conoscenza; né che fossero furibondi al punto di mordere la stessa mano pubblica che gli elemosinava briciole di finanziamenti e continue umiliazioni. Fu così che la protesta guadagnò le prime pagine di tutti i quotidiani e l’apertura del TG1 delle 20, entrando fra i temi delle campagne per le elezioni politiche del maggio seguente.

L’iniziativa era il traguardo delle discussioni pubbliche intorno a un manifesto pubblicato a inizi novembre 2000 e sostenuto dal premio Nobel Renato Dulbecco, che denunciava l’azione, guidata dal neoministro Pecoraro Scanio, di messa al bando dell’uso delle tecnologie del DNA ricombinante dai laboratori genetica applicata al miglioramento delle piante e degli animali domestici. Le discussioni avevano reso la comunità scientifica consapevole che quella era solo la goccia che faceva traboccare il vaso. Ed era il momento, data l’imminenza delle elezioni politiche, di sollevare la questione di fondo, cioè lo stato miserevole in cui versava la ricerca scientifica. Nel merito, la scintilla erano le tesi pseudoscientifiche dell’allora ministro dell’Agricoltura, che mentre vietava alla ricerca scientifica pubblica di studiare, di capire, di valutare le potenzialità degli Ogm, dichiarava che avrebbe sostenuto i metodi biodinamici: riti magici ed esoterici che usa rimpinzare di vegetali corna, teschi o vesciche urinarie di animali per concentrare le energie cosmiche.

C’erano tutti i pezzi da novanta, in presenza o con lo spirito, a Palazzo San Macuto, da Garattini a Boncinelli, da Rita Levi-Montalcini (in realtà anche nella veste di inviata dal governo per tenere sotto controllo la situazione) a Tullio Regge, da Dulbecco a Umberto Veronesi, Riccardo Cortese, eccetera, oltre a tanti ministri in carica. Alcuni politici transitavano per vedere dal vivo gli scienziati, quasi fossero in libera uscita dallo zoo. Molti dei più prestigiosi scienziati partecipi di quell’evento daranno poi vita a un'iniziativa molto meglio strutturata e duratura come il Gruppo 2003. Peraltro, l’Accademia Nazionale dei Lincei, a differenza delle accademie scientifiche equivalenti nel mondo, non riusciva a esprimere una posizione in merito, soprattutto perché le classi di scienze morali interpretavano il principio di precauzione in una forma estrema, per cui in assenza di prove che non c’erano rischi ci si doveva astenere dal fare qualunque cosa.

Perché fisici, medici, agronomi, biologi o nutrizionisti (c’era anche il bravo e simpatico Carlo Cannella) insorsero contro il Governo presieduto da Giuliano Amato (tra l’altro un governo per il quale molti di loro votavano)? Perché non c’era un solo capitolo del mondo della ricerca di cui si potessero dire soddisfatti: scarsa considerazione nelle scelte di politiche della ricerca, penuria di fondi, nessun investimento in borse di dottorato, carenza di assunzioni di giovani ricercatori, strutture fatiscenti e attrezzature superate, burocrazia tanto assillante quanto persecutoria, assenza di valutazioni e reclutamenti competitivi e trasparenti, intrusioni di politici nelle scelte gestionali o nelle promozioni di carriera, e così via. Da allora davvero poco è cambiato, e qualcosa semmai è pure peggiorato.

Il culmine dell’assurdità era la politica sugli Ogm, che era un vaso di Pandora, aperto il quale tutte le magagne furono messe in piazza. Una tradizione di studi che aveva dato i natali, un secolo prima, a uno dei più prestigiosi agronomi mondiali, Nazareno Strampelli, rinnovata poi da GianTommaso Scarascia Mugnozza e i suoi esperimenti di mutagenesi sul grano duro degli anni settanta e che poi aveva prodotto a metà anni Ottanta alcune tra le prime piante transgeniche al mondo, che ospitava alcune della scuole più prestigiose di genetica agraria era messa in liquidazione da aggregati di populisti e sovranisti alimentari. Con slogan che (sintetizzando) coniugano la purezza dei semi con la purezza della razza, dietro la scusa di rischi inesistenti o lo spauracchio del mercato delle produzioni di nicchia. Faceva impressione ascoltare anche da (pochi) ricercatori qualificati nei loro settori, dalla fisica all’epidemiologia ma anche genetisti, riserve di principio o ideologiche, espresse in forme dogmatiche, verso le biotecnologie molecolari applicate al miglioramento delle piante. “Non si sa cosa può succedere”, “ci sono troppi rischi”, “si va a interferire con la natura”, “non servono”, “ci sono i brevetti” e così via. Questi scienziati, che non si è mai capito bene perché abdicassero all’uso della razionalità scientifica e preferissero assecondare pregiudizi, hanno consentito ai pasdaran politici di sostenere che “la scienza è divisa sugli Ogm”, anche se da una parte c’erano cinque gatti scientificamente modesti o incompetenti di biotecnologie e dall’altra migliaia di specialisti di genetica e biologia molecolare.

A guardare quelle vicende vent’anni dopo è facile osservare che ci sono stati solo perdenti e nessun vincitore. Hanno perso gli scienziati a cui è stato vietato di fare ricerca, soprattutto nei laboratori pubblici e così hanno chiuso intere facoltà di biotecnologie facendo smarrire generazioni di studenti. Hanno perso gli agricoltori, in gran parte pronti a coltivare mais Bt (l’unico Ogm autorizzato alla coltivazione in Europa) e che invece sono stati relegati a coltivare vecchie e improduttive varietà che gli hanno causato incalcolabili danni economici, oltre ad averli costretti a irrorare insetticidi con due trattamenti l’anno, evitabili con la varietà di mais Ogm disponibile. Hanno perso gli ambientalisti e i loro soci della catena del cibo di lusso di Slow Food che hanno bloccato la coltivazione di Ogm per la nutrizione umana, ma al prezzo di lasciare nelle mani delle odiate multinazionali il 90% del business della produzione di mangimi. Tanto per fornire qualche numero, l’Italia importa da decenni e consuma ogni giorno diecimila tonnellate al giorno di soia Ogm: tutti i giorni 365 giorni l’anno. Alla fine hanno perso i cittadini italiani, che malgrado una Costituzione che tutela la libertà di ricerca e di impresa nell’interesse del Paese, devono acquistare ogni anno all’estero 1,4 miliardi di euro di soia e quasi un miliardo di mais, in buona parte Ogm, sottraendo questi soldi dalle tasche dei nostri agricoltori. E pensare che nel 2001 l’Italia non importava mais dall’estero: eravamo autosufficienti per la produzione di mais: questi sono i danni che fanno le guerre di religione.

Lo scempio della scienza era comunque stato preparato negli anni. L’Italia aveva subito il referendum sul nucleare, mandato nel tritacarne pubblico senza fornire informazioni reali agli elettori: da allora importiamo energia elettrica generata da reattori nucleari posti sopravvento rispetto al nostro Paese. Gli stessi politici erano andati a dire in televisione che la malattia cosiddetta della mucca pazza era una conseguenza del fatto che stavamo violentando la natura, come di fatto volevano fare i genetisti che cercavano di trapiantare dei geni di un pesce artico nelle fragole. Oggi queste sciocchezze non si ascoltano più, ma almeno negli anni intorno al giro di boa del millennio andavano quotidianamente su giornali e televisioni. Chi si fosse perso queste delizie può ritrovare le fake news sulle mitologiche fragole-pesce (un frutto mai esistito e mai uscito da nessun laboratorio del pianeta) partorite da COOP, da Report, da Mario Capanna o da Beppe Grillo (si può leggere qui, qui, e qui per saperne di più).

E come dimenticare che la ricerca medica usciva dall’umiliazione di aver dovuto fermare le ricerche oncologiche per sperimentare, malgrado non avesse senso farlo e quindi si stesse buttando soldi, la cosiddetta cura Di Bella: un intruglio somministrato con grande empatia da un medico strumentalizzato da conduttori televisivi del calibro di Bruno Vespa e da leader di partito (Gianfranco Fini). Gli scienziati sapevano che alle nuove generazioni che si formavano nei loro laboratori non ci poteva essere altro futuro che la fuga all’estero per poter svolgere un lavoro dignitoso, anche sul piano del compenso, e qualificato. Gli scienziati non volevano essere complici del disastro strategico e del declino culturale, occupazionale e progettuale che la politica stava attuando.

A valle dell’incontro a Palazzo San Macuto sulla scienza italiana è precipitata una valanga di interferenze politico-ideologiche. Dal referendum sulla procreazione assistita (una legge demolita in tribunale da Filomena Gallo dell’Associazione Luca Coscioni) allo scandalo del protocollo Stamina in cui uno psicologo ha iniettato pozioni inquinate in bambini appesi alla vita per un filo in cambio di ricche parcelle e mettendo a rischio l’esistenza stessa del Servizio Sanitario Nazionale. Senza scordare gli episodi in cui la Scienza è stata portata alla sbarra nei tribunali con la sentenza di primo grado (sei anni di reclusione) per tutta la commissione Grandi Rischi per non aver comunicato certezze alla popolazione per il terremoto dell’Aquila; o come nel caso degli scienziati pugliesi indagati per anni per aver scoperto la verità, ossia che gli ulivi pugliesi muoiono per colpa di un batterio patogeno da quarantena: Xylella fastidiosa. Un paese contro la razionalità, come si evince persino dalla straripante presenza di virologi oggi in televisione, che alimentano la confusione invece di aiutare a comprendere il valore e dell’utilità della scienza per far intravedere un futuro di sviluppo tecnologico e industriale del nostro Paese. Dopo un anno di pandemia ci sentiamo ancora fornire i dati giorno per giorno, quando tutti hanno capito che tamponi e indice Rt del weekend sono profondamente diversi da quelli dei giorni feriali. Un esempio fra tanti del fatto che la statistica non riesce a fare breccia nella mentalità di chi si occupa della cronaca quotidiana e che la trasparenza dei dati che riguardano tutti noi cittadini, non appartiene alla cultura civile degli enti pubblici di questo paese.

Anche le polemiche sull’uso delle tecnologie del genome editing per migliorare le piante, riducendo l’uso di fungicidi e aiutandole ad adattarsi ai cambiamenti climatici aumentando la biodiversità, puzzano di ideologia stantia del secolo scorso. Ancora una volta Greenpeace e Slow Food trattano l’editing con CRISPR/Cas9 alla stregua degli Ogm che usavano tecnologie molecolari per così dire primitive benché efficaci e controllate, ancora una volta usano immagini di persone bardate come i nostri fanti durante la guerra di trincea, addobbati con maschere antigas, senza capire che abbiamo cambiato secolo e millennio. Senza leggere che l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) incoraggia l’utilizzo della tecnologia CRISPR per migliorare e adattare le piante ai cambiamenti climatici già accaduti e che saranno sempre più pronunciati in futuro. Chi avversa il genome editing in realtà nega i cambiamenti climatici già accaduti e ripropone l’uso delle varietà di grani antichi, ossia di grani che affrontavano inverni gelidi come non ne vediamo più da anni. Il grani duri e teneri di Nazareno Strampelli di un secolo fa nascevano incrociando frumenti italiani, inglesi, olandesi, giapponesi e tunisini: perché un breeder come lui non ragionava come un contadino dell’Ottocento di cui sono nostalgici i negazionisti del genome editing.

Il Governo che si va delineando ha, finalmente, la priorità della scuola, ma a un certo punto gli anni di scuola terminano, i buoni maestri li stiamo esiliando quasi tutti e si deve progettare un futuro dove le nuove tecnologie saranno le migliori opzioni lavorative e strategiche del terzo millennio. Il Paese manifatturiero ha bisogno di innovazione tecnologica e di liberarsi dalle catene dei rimpianti del passato e dalle paure di scommettere sulle e con le nuove generazioni. È il momento per gli scienziati di elaborare il lutto per la tecnologia degli Ogm e liberare il genome editing senza chiedergli di combattere nuovamente la guerra tra sordi condotta per vent’anni. Gli storici, si incaricheranno un giorno di leggere i fatti accaduti identificando cause e conseguenze, meriti e colpe. Già ora sarebbe auspicabile che le giovani generazioni non si trovassero a dover combattere con mezzi nuovi, vecchie guerre tribali. Meglio puntare sul Nobel 2020 per la Chimica dato a Emanuelle Charpentier e Jennifer Doudna, augurandoci che a vent’anni da Palazzo San Macuto il vecchio continente, dove la scienza è nata e ha prodotto il meglio culturalmente, si dia una svegliata e entri finalmente nel terzo millennio.

 


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