fbpx Se il virus è un bersaglio mobile, affinare la mira e bombardare a tappeto | Scienza in rete

Se il virus è un bersaglio mobile, affinare la mira e bombardare a tappeto

Primary tabs

Un modello chimerico umano-murino è stato impiegato per testare l'efficacia del pro-farmaco EIDD-2801, già usato contro il virus influenzale, che si è rivelato in grado di ridurre la replicazione virale. Aver comprovato la sua efficacia nel modello chimerico è un passo importante nel percorso della sua valutazione, ma bisogna ricordare che nel modello sono assenti le prime vie aeree (sito di replicazione precoce del virus) e che bisogna attendere i risultati degli studi di fase II e III, attualmente in corso, per verificare la sicurezza del farmaco e il suo dosaggio efficace. Va poi considerato come le varianti potrebbero influenzare la risposta a farmaci e vaccini del virus.

Crediti immagine: Space invaders, modificato da Scienza in rete.

Tempo di lettura: 6 mins

Come è ormai noto, il serbatoio dei coronavirus è la famiglia (estesissima) dei chirotteri, che comprende mammiferi volanti delle più varie pezzature, dai 2 grammi del pipistrello "calabrone" agli 1,6 chili dei pipistrelli tropicali con l'apertura alare che supera il metro e mezzo. I virus possono avere un ospite intermedio che facilita la loro trasmissione alla specie umana, ma possono anche farne a meno: lo ha provato un gruppo di scienziati dell'Università della Carolina del Nord, in uno studio peer reviewed in pre-print su Nature.

I ricercatori hanno utilizzato una piattaforma sperimentale creata da Angela Whal dell'International Center for the Advancement of Translational Science della stessa università e chiamata lung-only mice (LoM): si tratta di un organismo umano-murino composto da cellule originate dalle due specie (in gergo, chimerico), ottenuto innestando sottocute nel dorso di topi immunosoppressi tessuto polmonare umano (composto da cellule epiteliali, endoteliali e mesenchimali, tutte coinvolte nella patogenesi di Covid-19 e nell'immunità). Il "topo umanizzato" ha i requisiti idonei agli studi pre-clinici dei farmaci e dei vaccini per contrastare la pandemia; in più, per studiare in vivo le immunità innata e adattativa cellulare umane contro i patogeni, il team ha creato un secondo modello murino, chiamato BLT-L dalle iniziali dei tessuti umani innestati nei topi immuno-soppressi (bone, liver, thymus e lung), che ve le riproducono.

L'inoculo dei nuovi coronavirus albergati nei pipistrelli in topi LoM ha dimostrato che essi possono trasmettersi direttamente all'uomo, senza necessità di adattamento in ospiti intermedi. Sulle cellule epiteliali del tessuto polmonare "importato" l'enzima umano di conversione dell'angiotensina 2 (ACE2) funge da recettore per la subunità S1 della proteina del capside virale spike (S); l'intervento della serina proteasi transmembrana 2 (TMPRSS2) effettua il priming della subunità S2 e ne cambia la conformazione da chiusa ad aperta, consentendo alla particella virale di penetrare la membrana cellulare. Dopo di ciò, il virus comincia un'attiva replicazione virale, seguita dai reperti istopatologici tipici dei pazienti Covid-19, causati sia dal danno virale diretto sia dalla sovra-regolazione dei geni che codificano per la risposta infiammatoria.

Una volta stabilito che nei topi umanizzati trasmissione e replicazione virale mimavano quelle umane, la piattaforma LoM è stata utilizzata per provare l'efficacia sull'infezione da SARS-CoV-2 di un principio attivo biologico già noto, perché usato contro il virus influenzale. Si tratta del pro-farmaco EIDD-2801 (noto anche come molnupiravir o MK-4482) dell'analogo ribonucleosidico β-D-N4-idrossicitidina (NHC) che, in vitro, inibisce l'infezione da coronavirus delle colture di cellule epiteliali delle vie aeree umane incorporandosi nell'RNA virale e determinandovi errori durante la replicazione, che diventa inefficace. In vivo, la somministrazione di molnupiravir nei topi aveva già dimostrato di ridurre replicazione e patogenicità di SARS-CoV e MERS-CoV e, in furetti infettati con SARS-CoV-2 per via intranasale, il farmaco bis in die diminuiva la carica virale nel tratto respiratorio superiore ed evitava il contagio degli animali non infetti.

Ora, lo studio di Nature prova che, somministrato ai topi umanizzati ogni 12 ore per due giorni, a partire (in via terapeutica) da 24/48 ore dopo l'inoculo di SARS-CoV-2 o (in via preventiva) da 12 ore prima di esso, EIDD-2801/molnupiravir diminuisce in misura determinante (> 90%) la replicazione virale. Il farmaco ha il grande vantaggio di essere somministrato per via orale (e non per infusione come plasma, anticorpi monoclonali e remdesivir) e, quindi, di essere maneggevole e utilizzabile facilmente in sedi extraospedaliere; di qui l'importanza di verificarne l'utilità contro un nemico che si rivela sempre più infido.

Aver comprovato la sua efficacia in un modello chimerico murino-umano polmonare è un passo importante nel percorso della sua valutazione; tuttavia, occorre ricordare che in tale modello sono assenti le prime vie aeree (mucosa nasale e orofaringea) che sono siti di replicazione precoce di SARS-CoV-2 e che bisogna, comunque, attendere i risultati degli studi di fase II e III, attualmente in corso, per verificare la sicurezza del farmaco e il suo dosaggio efficace. Va poi considerato che è, ormai, diventato riduttivo (o poco descrittivo) parlare di SARS-CoV-2 nativo (come fa lo studio citato), data la montante prevalenza delle varianti che già lo hanno sostituito in una proporzione superiore al 30%.

Queste varianti sono ancora indicate con nomi geografici, del tutto fuorvianti, che l'OMS sta lavorando per convertire in una nomenclatura sistematica, basata sul tipo di alterazione della proteina spike; anche la sostituzione o la perdita di un singolo aminoacido ha effetti potenzialmente rilevanti sull'affinità con ACE2, sulla patogenicità e sulla risposta a farmaci e vaccini del virus. Il gruppo di lavoro di Anthony Fauci ha commentato su JAMA l'influenza che il comparire di successive varianti può avere nella velocità di trasmissione, nella resistenza del virus all'immunizzazione e nella sua trasformazione da epidemico a endemico. Già la prima variante, apparsa nell'aprile 2020 e chiamata D614G era associata a un'aumentata replicazione nasofaringea e a una più efficiente interazione con ACE2; in ottobre, sono poi state sequenziate in successione la variante cosiddetta inglese (20I/501Y.V1 o B.1.1.7) e la variante "sudafricana" (20H/501Y.V2 o B.1.3.5.1) con ulteriori mutazioni nella proteina spike e una trasmissibilità molto maggiore di quella del virus originale. Rispetto al virus nativo, la variante sudafricana, inoltre, è dieci volte meno neutralizzata dal plasma di guariti e cinque volte meno dal siero di vaccinati e, in studi in vitro, si è dimostrata resistente agli anticorpi monoclonali autorizzati per la terapia in fase precoce, i quali hanno come bersaglio il dominio virale di legame con il recettore ACE2. In tutto o in parte resistenti ai monoclonali sembrano anche la variante "brasiliana" (B11248) isolata in gennaio e la più recente variante identificata in California (20C/S:452R o B1429).

Fortunatamente, i dati finora accumulati dicono che il titolo anticorpale indotto dalla vaccinazione è sufficientemente alto da renderla efficace anche a fronte della diminuzione di efficacia dovuta alle nuove varianti; in sostanza i vaccini mantengono la potenzialità di evitare ricoveri e morte. La situazione, però, impone l'accelerazione della loro somministrazione a tutta la popolazione, la ricerca di vaccini pan-coronavirus per allontanare la minaccia di futuri spillover e di farmaci efficaci e sicuri per le prime fasi delle attuali infezioni. Resterà ancora a lungo fondamentale il mantenimento delle misure di distanziamento fisico e di protezione delle vie respiratorie, anche in considerazione della diminuita affidabilità (ed era già bassa) dei test antigenici rapidi per l'individuazione degli infetti. Questi test, infatti, progettati per riconoscere gli antigeni della proteina spike del virus nativo (quello che circolava nel febbraio 2020) non sempre sono in grado di riconoscere la proteina S modificata delle varianti, come, invece, fanno i tamponi con test molecolari, che amplificano più regioni del genoma virale e che vengono continuamente aggiornati sulle mutazioni descritte e registrate nelle banche internazionali dei dati genetici.

 

Bibliografia
Wahl A et al. SARS-CoV-2 infection is effectively treated and prevented by EIDD-2801. Nature 2021
Wahl A et al. Precision mouse models with expanded tropism for human pathogens. 37, 1163–1173 (2019)
Tang L. Studying human lung infection in mice. Nat Methods 2019; 16: 1203
• Cox RM et al. Therapeutically administered ribonucleoside analogue MK-4482/EIDD-2801 blocks SARS-CoV-2 transmission in ferrets. Nat Microbiol 2021; 6: 11-18
• Mascola JR et al. SARS-CoV-2 viral variants; tackling a moving target. JAMA 2021 Feb 11. Online ahead of print
• Starr TN et al. Prospective mapping of viral mutations that escape antibodies used to treat COVID-19. Science 25 Jan 2021: eabf9302 

 

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Discovered a New Carbon-Carbon Chemical Bond

A group of researchers from Hokkaido University has provided the first experimental evidence of the existence of a new type of chemical bond: the single-electron covalent bond, theorized by Linus Pauling in 1931 but never verified until now. Using derivatives of hexaarylethane (HPE), the scientists were able to stabilize this unusual bond between two carbon atoms and study it with spectroscopic techniques and X-ray diffraction. This discovery opens new perspectives in understanding bond chemistry and could lead to the development of new materials with innovative applications.

In the cover image: study of the sigma bond with X-ray diffraction. Credits: Yusuke Ishigaki

After nearly a year of review, on September 25, a study was published in Nature that has sparked a lot of discussion, especially among chemists. A group of researchers from Hokkaido University synthesized a molecule that experimentally demonstrated the existence of a new type of chemical bond, something that does not happen very often.