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Il ritorno contrastato dei grandi carnivori

I grandi carnivori stanno tornando a occupare territori in cui erano ormai estinti in tutta Europa. E se è una buona notizia per la biodiversità e la conservazione della natura, molto resta ancora da fare, perché il fattore umano gioca un ruolo fondamentale nel determinare la presenza e la distribuzione di questi carismatici mammiferi

Crediti immagine: Janko Ferlic - Pexels

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Venerati e temuti, simboli di forza e potere delle antiche casate, ma anche oggetto di persecuzione perché ritenuti animali nocivi e pericolosi: al termine della seconda guerra mondiale, nell’Europa occidentale, i grandi carnivori erano sull’orlo dell’estinzione 1, i pochi superstiti vivevano nelle zone più aspre e inaccessibili alle persone. Piccole, isolate popolazioni, a volte una manciata di individui. Un destino comune in realtà a tantissime altre specie animali, che hanno subito l’intensa antropizzazione dei territori europei. Infatti, anche gli erbivori non se la sono passata molto bene: tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento erano stati decimati, vittime della perdita di habitat e del sovrasfruttamento per la caccia. Oggi, la situazione è decisamente cambiata, le popolazioni di ungulati europei sono numerose, e anche alcuni grandi carnivori stanno tornando a vivere in molte delle aree in cui erano scomparsi. Un ritorno talvolta spontaneo, come nel caso del lupo, talvolta aiutato dall’intervento umano, come per alcune popolazioni reintrodotte di orso e lince.

Natura europea

«Queste specie hanno aumentato la loro presenza dove l’impatto umano è diminuito» afferma Luca Santini, ricercatore presso il dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin” de La Sapienza e coautore di un articolo2 che indaga le cause della recente espansione dei grandi carnivori in Europa negli ultimi 24 anni. Lo studio analizza la distribuzione di lupo, lince e orso bruno dal 1992 al 2015, in relazione con la densità della popolazione umana e le trasformazioni ambientali avvenute negli ultimi venticinque anni, ricavate attraverso i dati satellitari messi a disposizione dall’agenzia spaziale europea. «Il nostro modello supporta l’ ipotesi secondo la quale l’aumento dei grandi carnivori è legato a un abbandono delle zone rurali e alla riconversione di queste aree in naturali o seminaturali» commenta Santini.

Il paesaggio rurale europeo è effettivamente profondamente cambiato. Provate a cercare una foto di un paesaggio collinare dell’Italia all’inizio del secondo dopoguerra, e comparatela con quello attuale. Vedrete campi e pascoli scomparsi, sostituiti dal bosco. Oggi la maggior parte degli abitanti si concentra nelle città, e questo ha offerto nuovi spazi al bosco così come agli animali selvatici. E non si tratta di una situazione solo italiana: non a caso la copertura boschiva europea ha avuto un netto incremento negli ultimi venticinque anni: ben 17 milioni di ettari. A questo si somma una crescente attenzione alle tematiche ambientali: a inizio anni Novanta la direttiva habitat e l’istituzione di Natura 2000, una rete ecologica su scala europea, hanno dato continuo impulso alla creazione di aree soggette a tutela. Eppure, la crescita delle aree protette non è stata un fattore chiave per l’espansione di lupi, orsi e linci. «I grandi carnivori vivono in densità molto basse e si spostano su grandi distanze, l’estensione delle singole aree protette non è idonea a supportare una popolazione, per questo il loro ruolo è marginale» spiega Santini.

21 grammi: il fattore umano

C’è anche un fattore nascosto, alla base della distribuzione dei grandi carnivori europei: «in alcune zone, in cui il modello predice un aumento della probabilità di presenza, la specie non è di fatto presente, e in altri casi è presente laddove le condizioni ambientali non sarebbero ottimali» spiega Luca Santini. «Fondamentalmente, il problema per i grandi carnivori non è tanto la mancanza di un habitat idoneo, ma quello del rapporto con gli esseri umani, quindi un ruolo centrale lo giocano fattori come il bracconaggio o, più in generale, l’attitudine delle persone e l’approccio culturale».

Il rapporto dei grandi carnivori con la società umana è da sempre controverso, in alcuni posti più che in altri, e questo può determinare conflitti molto forti, una avversione che diventa un fattore limitante per l’esistenza di questi animali. I grandi carnivori sono animali che rispondono alla nostra presenza in modo adattativo, modificando il loro comportamento, a volte traendo beneficio dalle attività umane e generando così un conflitto. La risposta dei grandi carnivori alla nostra presenza altera la loro distribuzione e comportamento, e potrebbe modificarne la funzione ecologica3. Animali al vertice della catena alimentare, in contesti antropizzati i grandi carnivori si comportano un po’ come se fossero prede, diventano più notturni e circospetti, modificano i loro spostamenti per starci alla larga. In Scandinavia l’orso si muove prevalentemente di notte durante la stagione venatoria (in Svezia l’orso è una specie cacciabile), e, se incontra una persona, scappa per poi cercare riparo nelle zone di foresta più dense e impenetrabili4. Ma non è solo il pericolo della caccia a condizionarne i movimenti: anche i semplici escursionisti possono alterare la distribuzione e indurre stress nell’animale5.

Barriere invisibili

«Gli orsi hanno mappe cognitive del territorio in cui vivono» spiega l’ecologo Andrea Corradini, che, per il suo dottorato, lavora a un progetto sulla connettività degli habitat per l’orso bruno, realizzato in collaborazione con l’Università degli Studi di Trento, la Fondazione Edmund Mach, e il Parco Nazionale dello Stelvio. «Volevamo capire come l’uomo influenza questa mappa cognitiva. Per farlo, abbiamo estratto i dati dall’app Strava per creare un indice della presenza di escursionisti e ciclisti. Abbiamo comparato questo indice con la presenza di strade e sentieri, e quello che abbiamo visto è che l’orso è ben consapevole di quali sono le zone più intensamente utilizzate dalle persone e le evita 6. Questo comportamento è indipendente dalla personalità dell’animale: abbiamo osservato lo stesso tipo di risposta anche in quegli animali che hanno mostrato un comportamento problematico. Tutti modulano l’utilizzo dello spazio in funzione della presenza umana» spiega Corradini.

Gli sviluppi futuri della ricerca permetteranno di fare dei confronti tra diverse popolazioni europee di orso, per verificare se la sensibilità di questo animale al cosiddetto disturbo antropico è sempre presente, e se in ogni caso va a influenzare la distribuzione. Inoltre sarà importante comprendere se, per evitare le aree più affollate dagli umani, gli orsi utilizzino ambienti sub-ottimali, come ad esempio habitat meno ricchi di risorse alimentari, e i risultati preliminari delle analisi punterebbero già in questa direzione. «Il lockdown è stato una sorta di esperimento naturale, con una drastica riduzione dell’attività umana. Abbiamo visto che non appena sono diminuite le persone, l’orso ha iniziato a utilizzare dei corridoi ecologici che sono sottoutilizzati, ma molto importanti per il collegamento delle popolazioni alpina e dinarica. Questo significa che non ci sono solo le barriere fisiche che limitano gli spostamenti, ma anche barriere psicologiche» racconta Corradini.

Separati o conviventi?

Esistono due modelli concettuali che definiscono il rapporto tra grandi carnivori e umani, secondo un articolo pubblicato su Science nel 2014 a firma di ben ottanta esperti 7. Il primo è l’esempio che viene da Paesi come gli Stati Uniti e anche dall’Africa e Asia: la separazione dalla “wilderness”. Ovvero, spazi naturali anche molto vasti che ospitano i carnivori e poca o nessuna sovrapposizione con la presenza umana. Il secondo è quello europeo, in cui c’è una convivenza dovuta a paesaggi naturali frammentati e che come le tessere di un mosaico vanno a inserirsi in mezzo ad aree antropizzate. Racconta Corradini: «Lo Yellowstone è un’area molto vasta e, anche se ogni anno oltre quattro milioni di persone visitano il Parco, la maggior parte delle attività turistiche avvengono in auto, su strada; in alcune aree è concesso e praticato l’escursionismo, ma non è comparabile alla fruizione della montagna che abbiamo in Europa, perché mancano le infrastrutture. Paradossalmente, lo Yellowstone che per molti naturalisti è un modello ideale di area protetta, ora guarda con interesse alla situazione europea, come un esempio futuro, perché negli Stati alla periferia del Parco, Montana, Idaho e Wyoming, c’è una grossa espansione delle aree urbane, e quindi una potenziale sovrapposizione tra le aree usate dalle persone e dai grandi carnivori».

«È assolutamente fondamentale trovare una via di coesistenza, bisogna lavorare per arrivare a una condivisione degli habitat con lupi e orsi» afferma Luigi Boitani , professore di Zoologia de La Sapienza, e presidente del gruppo specialistico sui grandi carnivori europei della IUCN (Large Carnivore Initiative for Europe). «La strategia di relegare i grandi carnivori in poche aree protette dove non c’è conflitto con l’uomo non funziona. Questo vale sia per lo status quo che per il futuro. Si prevede che l’espansione di queste specie continuerà, perché tutti i modelli predittivi di uso del suolo indicano che per almeno altre due decadi ci sarà un aumento delle aree marginali e una diminuzione dell’agricoltura di montagna. E quindi continuerà anche l’espansione dei grandi carnivori, in particolare del lupo, che è il più flessibile, si spera che possa verificarsi per l’orso». Le popolazioni di orso hanno una espansione molto più lenta di quella del lupo, perché le giovani femmine tendono a rimanere nell’area in cui sono nate, mentre i maschi si allontanano, ma devono tornare indietro per riprodursi.

«Il tasto dolente è quello della frammentazione amministrativa, l’espansione dei grandi carnivori è un fenomeno di grande scala che non può essere gestito da una singola regione, o lander, o Paese, ma è necessaria una regia unitaria, perché una risposta frammentaria indebolisce l’intera gestione del problema. Questa espansione ha delle lezioni da portare a casa, sia su piccola scala, per come ci confrontiamo con la presenza del singolo lupo o orso, sia di grande scala nella pianificazione della gestione di questi grandi fenomeni» commenta Boitani.

Se è vero che alcune popolazioni di grandi carnivori stanno aumentando in tutta Europa, altre sono ancora piccole e minacciate, come l’orso bruno marsicano, sottospecie endemica dell’Appennino centrale per la quale si auspica un’espansione geografica oltre che numerica. Lo stesso vale per la lince iberica, probabilmente il felino a maggior rischio di estinzione su scala globale. Restano quindi di grande importanza le azioni di tutela e di connettività degli habitat. E se gli spazi sono stretti, in questo mosaico di natura e attività umane, la strada da percorrere, seppur tortuosa è quella di imparare a coesistere. Diceva Aldo Leopold, uno dei padri della biologia della conservazione, dobbiamo provare a vedere la terra come una comunità a cui apparteniamo. Sarà questa una delle sfide dell’Antropocene?

Note
1 Boitani, L. e Linnell J.D.C. 2015. Bringing large mammals back: large carnivores in Europe. in: Rewilding European Landscapes. Springer, pp: 67-84.
2 Cimatti M. et al. 2021. Large carnivore expansion in Europe is associated with human population density and land cover changes. Diversity and Distributions
3 Kuijper, D. P. J. et al. 2016. Paws without claws? Ecological effects of large carnivores in anthropogenic landscapes. Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences
4 Ordiz, Andrés, et al. 2011 Predators or prey? Spatio-temporal discrimination of human-derived risk by brown bears. Oecologia 166.1: 59-67.
5 Ordiz, Andrés, et al. 2021 Effects of Human Disturbance on Terrestrial Apex Predators. Diversity 13.2 : 68.
6 Corradini, A et al. 2021. Effects of cumulated outdoor activity on wildlife habitat use. Biological Conservation, 253, 108818.
7 Chapron, Guillaume, et al. 2014 Recovery of large carnivores in Europe’s modern human-dominated landscapes. Science 346.6216 1517-1519.
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