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La centrale di calcolo del Ministro Speranza riporta indietro l’epidemiologia (e non solo) di oltre 50 anni

Durante la presentazione delle linee programmatiche del Ministero alle Commissioni Sanità di Camera e Senato, il ministro Speranza ha richiamato alla necessità di avere una centrale di calcolo in grado di elaborare una grande quantità di dati, per supportare una governance più efficace del Servizio sanitario nazionale e soprattutto la costruzione di analisi e scenari. Ma quello che serve per analizzare e trasformare i dati in informazioni per le azioni è un'epidemiologia presente, riconosciuta e valorizzata nelle Regioni e nelle Aziende Sanitarie.

Crediti immagine: Pete Birkinshaw/Flickr. Licenza: CC BY 2.0

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Quando sul finire degli anni ’70 fu istituito presso l’Istituto Superiore di Sanità il Laboratorio di Epidemiologia e Biostatistica, il santa sanctorum della nuova struttura (almeno per noi giovani leve) era il Centro di Calcolo.

Uno stanzone in cui era collocato il mitico “mainframe” computer centrale in cui risiedevano le macchine virtuali assegnate ai singoli gruppi di ricerca. Si andava lì con la propria scatola di schede perforate che contenevano le istruzioni per il computer e dovevano essere mantenute in rigoroso ordine (per cui guai a farle cadere per terra). Poi si “lanciavano” programmi che richiedevano tempo per l’esecuzione e il cui risultato veniva poi riportato da una altrettanto enorme e assordante stampante ad aghi che sputava in modulo continuo chilometri di tabulati.

Sono ricordi veramente del secolo scorso, ma ci sono tornati in mente, resi improvvisamente attuali, ascoltando la presentazione fatta il 17 marzo dal Ministro Speranza delle linee programmatiche del Ministero alle Commissioni Sanità di Camera e Senato. In questa occasione, il Ministro ha parlato dei cinque assi della sanità del futuro. Il quarto asse riguarda la digitalizzazione e dintorni. Il seguente passaggio ci ha particolarmente colpito:

Ad oggi esiste presso il Ministero della salute un patrimonio di informazioni sanitarie che viene utilizzato ai fini di governo, monitoraggio, programmazione sanitaria e studi statistici. Ciò che ora serve sempre di più è una centrale di calcolo in grado di elaborare questa grande quantità di dati, per ricavarne informazioni esaustive e puntuali destinate a supportare una governance più efficace del Servizio sanitario nazionale e soprattutto la costruzione di analisi e scenari.

Il passaggio, forse frutto di qualche inconsapevole ghost-writer, richiama alla memoria il mitico gioco (Il tubolario), frutto della fantasia di due epidemiologi (Marco Marchi e Pierluigi Morosini) che costruirono all’inizio degli anni ’80 un geniale Generatore Automatico di Piani Sanitari. In pratica, grazie a un vero e proprio tubo era possibile combinare una serie di “espressioni fatte” per generare milioni (pare sette) di frasi che suonavano bene e non significavano niente.

E questo è il caso del citato passaggio sulla centrale di calcolo, che ci ha riportato indietro di 50 anni. Va ricordato che il cervellone dell’epoca in ISS non fu reso obsoleto solo dal successivo incredibile avanzamento tecnologico, ma soprattutto da un diverso approccio dovuto all’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale che decentrava e articolava le cure primarie nei servizi territoriali e quindi imponeva la creazione e promozione di competenze locali per le attività di sorveglianza e di “intelligenza” epidemiologica.

Per anni la formazione di epidemiologi per la Sanità Pubblica è stata un’attività cardine dell’ISS, che ha così costruito reti di persone competenti che parlano lo stesso linguaggio, in grado di mitigare e mediare anche istanze politiche diverse, sotto la governance degli interlocutori centrali. E anche gli strumenti per sostenere questa epidemiologia, finalizzata all’azione, dovevano essere agili e diffusi.

Il sistema ha funzionato, producendo piani condivisi e azioni di prevenzione coordinate, alimentato dal riconoscimento reciproco di ruoli, funzioni e capacità tra interlocutori centrali e regionali. E l’epidemiologia si è sviluppata in modo autonomo in molte regioni, con strutture dedicate di ambito regionale o multizonale che hanno curato e sviluppato i sistemi informativi regionali e le attività di sorveglianza epidemiologica in grado di effettuare analisi dei dati e report utili per la decisione. Da queste attività sono nate e cresciute le tante competenze dell'epidemiologia italiana, da quella ambientale a quella valutativa.

Anche ora il ruolo del livello centrale non è quello di una sorta di grande fratello epidemiologo che elabora per tutti, ma quello di promuovere le competenze per utilizzare i dati provenienti dai sistemi informativi sanitari interoperabili, efficienti, tempestivi, facilmente utilizzabili a tutti i livelli, e integrabili con i dati di contesto sociali ed ambientali.

Quello che serve per analizzare e trasformare i dati in informazioni per le azioni è un'epidemiologia presente, riconosciuta e valorizzata nelle Regioni e nelle Aziende Sanitarie. Ed è su questo terreno razionale di condivisione di dati obiettivi che si costruisce il consenso sulle scelte adottate. Ben venga la digitalizzazione se comporterà una maggior accessibilità ai dati di interesse sanitario, che ora è praticamente appannaggio di poche istituzioni e inaccessibili ai più. Forse sfugge a molti che la scienza si muove per conferme e riproducibilità delle osservazioni fatte che diventano così evidenze. Ma se non è possibile ripercorrere e riprodurre le stesse analisi, il confronto scientifico e la produzione di evidenze è impossibile.

Colpisce peraltro il fatto che la proposta del Ministro del Centro di Calcolo venga fatta in questa fase in cui la pandemia è ancora il punto di partenza di tutti i ragionamenti sulla sanità del futuro e quando la gestione centralizzata dei dati ha rivelato tutte le sue debolezze e il conseguimento del consenso così difficile.

In primo luogo, la gestione centralizzata viene vissuta come strumento di controllo esterno e non come strumento di governo condiviso. La scarsa affidabilità dei dati regionali su sui si basa l’indice R(t) così come lo calcola l’Istituto Superiore di Sanità ne è una prova.

Poi vi è una grande rigidità delle elaborazioni su cui si fonda il sistema ufficiale di monitoraggio della pandemia, la tempistica non è adeguata all’assegnazione alle zone di rischio delle Regioni, e le decisioni vengono prese quando i dati sono ormai non adeguati.

Tutto ciò ha determinato grandi difficoltà e ritardi nella filiera delle attività necessarie ad interpretare l’andamento delle epidemie nelle varie realtà regionali e a coglierne le tendenze. E quindi nulla oggi si sa sulle prese in carico domiciliari, nulla si sa sui processi di tracciamento, nulla si sa sui principali fattori di rischio di infezione, né dei focolai epidemici che hanno ampliato la trasmissione locale.

Questo accade perché ciò che il livello centrale di fatto non controlla esce anche dal perimetro di analisi delle Regioni. Il modello del grande fratello epidemiologo è stato inaugurato con il monitoraggio della pandemia e dopo un anno di emergenza dovrebbe essere completamente smontato per rientrare nei ranghi di un’organizzazione esistente nelle sue articolazioni. A livello regionale questa organizzazione va manutenuta e irrobustita e non certo smantellata.

La risposta coordinata all’emergenza si costruisce sulle capacità degli operatori locali e non si può improvvisare. La pandemia è definita in tutti i documenti ufficiali come “emergenza epidemiologica” , ma l’epidemiologia non si fa macinando grandi quantità di dati ma con l’intelligenza di chi sa come valorizzare quello che c’è, come raccogliere con studi ad hoc quello che non c’è e come integrare e rendere informativi i dati analizzati in modo appropriato.

Pandemia a parte, le esperienze di monitoraggio ministeriale tipo “centrale di calcolo” della erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza da parte delle Regioni, sia coi vecchi indicatori della griglia Lea che coi nuovi indicatori del cosiddetto Sistema di Garanzia, vanno considerate in modo assolutamente negativo proprio per la natura “amministrativa” e di controllo e non di governo.

Nel 1980 si tenne a Roma presso l’Istituto Superiore di Sanità il primo Corso di Epidemiologia e Biostatistica per i referenti delle Regioni (la foto di gruppo si trova qui). Dal quella prima esperienza e su quella base si venne a costruire una rete di collaborazioni tra il livello centrale e le realtà regionali che è un modello da riprendere ridando così un ruolo strutturale alla epidemiologia nella carne viva del Servizio Sanitario Nazionale. La parola ”epidemiologia” non compare mai nelle oltre 6000 parole del testo del discorso del Ministro contro le 15 volte di digital (tra digitale e digitalizzazione). Diamo per buona la assoluta buona fede del Ministro Speranza cui chiediamo un segnale in controtendenza con quello che ha detto e che, temiamo, qualcuno gli ha fatto dire.

In coda ricordiamo commossi la figura di Pierluigi Morosini della cui genialità il tubolario è una delle tante testimonianze.

 


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