fbpx Clima e Covid-19: irraggiamento solare e temperatura fra i fattori climatici più influenti | Scienza in rete

Clima e Covid-19: irraggiamento solare e temperatura i fattori più influenti

Sono stati pubblicati diversi studi che indagavano la relazione tra diffusione di SARS-CoV-2 e clima, ma i risultati sono discordanti. In un recente lavoro pubblicato su Scientific Reports, i ricercatori hanno cercato di superare le limitazioni, concludendo che l'irraggiamento solare rappresenta il fattore climatico più influente nella diffusione del virus, seguito da temperatura, umidità, precipitazioni. Tuttavia, anche i fattori demografici svolgono un ruolo rilevante (così come altri fattori non direttamente valutati nello studio, come la severità e il rispetto delle misure di distanziamento sociale e l’intensità degli scambi commerciali), tanto da annullare l’effetto protettivo dei fattori climatici nei paesi con condizioni meteorologiche favorevoli.

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L’epidemia di Covid-19 ha sconvolto la vita delle persone, le dinamiche sociali e l’economia dei paesi. Per contenere la diffusione del virus, gli Stati sono stati costretti a prendere delle misure restrittive. Al fine di calibrare la risposta e ridurre l’impatto sulle libertà individuali, si è cercato di comprendere quali fossero i fattori determinanti la diffusione del SARS-CoV-2. Tra questi, uno importante sembrava essere la temperatura.

Sono stati pubblicati diversi articoli scientifici sul tema, ma i risultati ottenuti erano discordanti. Per alcuni, la temperatura svolgeva un ruolo determinante, per altri, era invece l’umidità il fattore con l’impatto maggiore; per altri ancora il vento. Inoltre, il peso che ciascun fattore aveva sulla diffusione del virus variava enormemente tra un lavoro e l’altro. Infine, l’aumento del contagio osservato durante l’estate in Stati Uniti, Brasile e India, ha reso evidente la complessità di questo rapporto. La discordanza tra i lavori pubblicati era dovuta a limitazioni intrinseche dei metodi adottati e a valutazioni geoclimatiche parziali.

Il nostro recente lavoro, pubblicato sulla rivista Scientific Reports, è stato progettato per superare questi limiti e ha concluso che l'irraggiamento solare è il fattore climatico più influente, seguito da temperatura, umidità, precipitazioni e, con un impatto minimo, dalla pressione atmosferica e dal vento. Tuttavia, abbiamo osservato che anche i fattori demografici svolgono un ruolo rilevante così come altri fattori non direttamente valutati nello studio, come la severità e il rispetto delle misure di distanziamento sociale e l’intensità degli scambi commerciali. L’influenza di questi fattori sembra tale da annullare l’effetto protettivo dei fattori climatici nei paesi con condizioni meteorologiche favorevoli.

Il nostro interesse verso questi temi è maturato all’interno dell’associazione Agorà Scienze Biomediche, una no-profit nata a Foggia nel 2002 e che si propone di individuare gli studenti più promettenti offrire loro l’ambiente ideale e gli strumenti adeguati per lo sviluppo delle proprie potenzialità. Il fine ultimo è quello di farne dei bravi ricercatori, dotati di un alto profilo professionale ma anche umano.

I limiti delle analisi esistenti

La domanda da cui siamo partiti è: perché i risultati dei 43 studi pubblicati sul rapporto tra clima ed epidemia di SARS-CoV-2 sono discordanti? Un’analisi accurata di quegli studi ci ha permesso di formulare una serie di ipotesi (la tabella 1 pubblicata nei materiali supplementari del nostro lavoro riporta la sintesi di questa analisi e si può scaricare qui).

La prima riguarda i dati epidemici e le variabili prese in considerazione. Molti studi, infatti, si sono concentrati su un numero limitato di paesi, hanno utilizzato un periodo di osservazione troppo breve (da due a otto settimane) e hanno valutato un numero ristretto di variabili climatiche (la gran parte, da una a tre).

In secondo luogo, in alcuni casi i dati relativi ai contagi in diversi paesi e regioni non sono stati allineati secondo la fase epidemica. In altre parole l’epidemia ha impiegato un certo tempo a muoversi geograficamente. Per esempio, la prima ondata in Italia è arrivata a inizio marzo, nel Regno Unito due o tre settimane dopo. Per poter valutare l’effetto del clima sulla diffusione dell’infezione è importante, quindi, utilizzare una scala di tempo relativa che allinei i paesi presi in considerazione per la data di inizio dell’epidemia. Il terzo aspetto che molti studi hanno mancato di valutare correttamente è la disomogeneità delle condizioni climatiche all’interno dei paesi, che spesso variano notevolmente da regione a regione. Per cui, se la raccolta dei dati viene limitata a un solo punto (per esempio la capitale), il dato non è rappresentativo. È necessario considerare più punti di raccolta all'interno di uno stesso stato. Inoltre, nel descrivere le condizioni climatiche è fondamentale tenere conto delle dipendenze fra le variabili climatiche, cosa che in alcuni casi non è stata fatta compiutamente. Infine, è importante considerare il ritardo (lag interval) che esiste tra data di diagnosi e data di inizio dei sintomi per poter valutare correttamente il rapporto di associazione tra variabili climatiche e insorgenza della malattia.

Il nostro approccio

Partendo da queste considerazioni, abbiamo condotto un'analisi su scala mondiale, prendendo in esame tutte le principali variabili climatiche e considerando più punti di prelievo delle variabili per ciascuno stato (in rapporto alla sua estensione geografica). Inoltre, abbiamo preso in osservazione un periodo di 16 settimane e abbiamo calcolato sia il lag interval che l’interdipendenza delle variabili. Per le analisi è stata impiegata lo Structural Equation Modeling (SEM), una tecnica di analisi statistica utilizzata per testare le relazioni tra le variabili, indagare le ipotesi causali, e stimare l’intensità dei nessi ipotizzati.

Applicata per la prima volta negli anni Settanta nel campo delle scienze sociali con variabili che non potevano essere direttamente osservate o misurate (variabili latenti), la SEM si è poi diffusa nella comunità scientifica, grazie alla sua flessibilità e all’approccio rigoroso. Questa tecnica permette di considerare più variabili dipendenti contemporaneamente e di analizzarne i rapporti causali. Inoltre consente di indagare variabili non direttamente misurabili. La flessibilità e le potenzialità di questa analisi sono state la chiave per la valutazione dei fattori climatici e del loro ruolo nella diffusione del SARS-CoV-2, permettendo di superare i limiti degli studi precedenti.

I risultati sono sintetizzati nella figura sopra, in cui mostriamo il peso con cui le diverse variabili influenzano la diffusione del contagio. Si vede che i fattori climatici (“Climate”) influenzano in modo significativo la diffusione del SARS-CoV-2 (“Incidence” e “Prevalence”). Tra le variabili indagate, l'irraggiamento solare è il più influente, seguito da temperatura, umidità, precipitazioni e, con un impatto minimo, dalla pressione atmosferica e dal vento.

Tuttavia, sono rilevanti anche i fattori demografici (“Population density”) e, indirettamente, il distanziamento sociale. L’impatto di quest’ultimo sulla diffusione delle infezioni si intuisce dall’alto livello di correlazione osservato fra i cosiddetti “residui” di incidenza e prevalenza (indicati con ε1 e ε2), che sono una misura della variabilità temporale di incidenza e prevalenza non spiegata dalle altre variabili prese in considerazione, sia climatiche che demografiche. La severità delle misure restrittive imposte, il rispetto verso di esse da parte della popolazione, l’intensità degli scambi commerciali, hanno un’importanza tale da superare l'effetto protettivo del clima, come è successo in Brasile, India e Stati Uniti, dove in periodi con buona irradiazione solare e temperature elevate si è osservato ugualmente un alto tasso di diffusione dell’epidemia.

Com’è nato questo lavoro

«All’inizio era solo un modo per tenerci impegnati durante il primo lockdown», racconta Nicholas Calà, 20 anni e uno degli autori dello studio. «Dopo aver messo a fuoco la domanda di ricerca, abbiamo cominciato a raccogliere e organizzare i dati, gestendo campioni molto grandi», aggiunge. Per la fase di analisi statistica è stata coinvolta Alessandra Spada, statistica e ricercatrice dell’Università di Foggia, oltre a due ragazzi cresciuti nell’Agorà e che, dopo la laurea in medicina, muovono i primi passi nel mondo della ricerca. Si tratta di Francesco Antonio Tucci, visiting student presso l’Erasmus University Medical Center di Rotterdam, e Aldo Ummarino, studente di dottorato alla Humanitas University di Milano.

«Tutte le sere alle 19:30 avevamo appuntamento online per confrontarci sull’andamento del lavoro e, ottenuti i risultati, abbiamo deciso di sottoporli per pubblicazione alla rivista Scientific Reports», continua Calà e conclude «lo scambio con i referee è durato mesi , ma alla fine, il 30 marzo di quest’anno è arrivato il messaggio dell’editore che avevamo tanto atteso “siamo lieti di farvi sapere che il vostro articolo è stato accettato per la pubblicazione”».

 


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