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Il meccanismo di Antikythera

Il meccanismo di Antikythera, risalente al secondo secolo a.C., è stato oggetto di un recente studio condotto da un gruppo di ricercatori della University College London e pubblicato su Scientific Reports. Il calcolatore rappresenta uno dei primi passi verso la meccanizzazione della scienza. Era dotato di un sofisticato sistema di ingranaggi e ruote dentate e veniva azionato a mano. Grazie agli studi effettuati nel corso degli anni, si è capito che il meccanismo veniva usato per predire le eclissi, il moto della Luna, la posizione del Sole e dei cinque pianeti conosciuti all’epoca, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno.

Immagine: il meccanismo di Antikythera, di Marsyas.

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Il 21 marzo scorso l'immagine astronomica del giorno proveniva dalla collezione del Museo Archeologico Nazionale di Atene: si trattava di uno dei frammenti del meccanismo di Antikythera, un antico calcolatore astronomico. Il meccanismo in bronzo, risalente al secondo secolo a.C., è stato infatti oggetto di un recente studio condotto da un gruppo di ricercatori della University College London e pubblicato sulla rivista Scientific Reports.

Lo studio ha mostrato che il meccanismo di Antikythera è uno strumento complesso, dove si uniscono astronomia, matematica e abilità tecnologiche, e ha per la prima volta formulato un’interpretazione per l’intero meccanismo. I lavori precedenti si erano infatti concentrati sulla parte posteriore, mentre la parte frontale era rimasta in gran parte irrisolta. Per giungere a queste conclusioni, i ricercatori hanno sviluppato un modello che permette di spiegare i dati a disposizione sui frammenti e mostra la ricchezza delle iscrizioni frontali. Nel 2016, sulla parte anteriore sono stati scoperti due numeri legati ai cicli di Venere e Saturno che i ricercatori della University College London hanno interpretato ricorrendo a un procedimento matematico chiamato processo di Parmenide.

Nel 1901 alcuni pescatori di spugne trovarono il meccanismo nei pressi dell'isola greca di Antikythera tra i resti di un relitto di una nave insieme a bronzi, anfore, gioielli e ceramiche. Si pensa che la nave sia affondata a causa di una tempesta nel primo secolo a.C. mentre navigava verso Roma.

Il calcolatore rappresenta uno dei primi passi verso la meccanizzazione della scienza. Era dotato di un sofisticato sistema di ingranaggi e ruote dentate e veniva azionato a mano. Grazie agli studi effettuati nel corso degli anni, si è capito che il meccanismo veniva usato per predire le eclissi, il moto della Luna, la posizione del Sole e dei cinque pianeti conosciuti all’epoca, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno. Probabilmente era contenuto in una cornice in legno e complessivamente era lungo 30 centimetri, largo 20 centimetri e spesso 10 centimetri. Sopravvive solo un terzo del meccanismo, diviso in ottantadue frammenti di dimensioni diverse. I frammenti più grandi sono indicati con le lettere da A a G, mentre quelli minori con i numeri da uno a settantacinque.

«Studio il meccanismo da circa venti anni e penso proprio che non sia uscito dal mare così frammentato», commenta Tony Freeth, professore della University College London e coordinatore dello studio. «Credo che i pescatori di spugne abbiano raccolto un unico grande blocco, che probabilmente è stato ridotto in più parti nel corso degli anni» e aggiunge «ricostruire il meccanismo di Antikythera è come risolvere un complicato puzzle in tre dimensioni».

Finora erano state formulate ipotesi soprattutto sulla parte posteriore del meccanismo. Nel 2005 i resti erano stati analizzati tramite tomografia computerizzata a raggi X riuscendo a guardare diverse sezioni dei frammenti e a ricostruire un gran numero di iscrizioni. Tuttavia, la parte anteriore era rimasta in gran parte irrisolta.

Come abbiamo anticipato, nel 2016 sono stati trovati due numeri fra le iscrizioni anteriori di alcuni frammenti: ΥΞΒ, cioè 462, nella parte dedicata a Venere e ΥΜΒ, cioè 442, nella parte di Saturno. Questi due numeri sono legati ai cosiddetti cicli sinodici dei due pianeti, ovvero il tempo necessario perché questi occupino la stessa posizione nel cielo rispetto a un osservatore sulla Terra.

Nell’astronomia babilonese le previsioni sulla posizione di un certo oggetto celeste erano basate sul numero di cicli sinodici compiuti in un determinato numero di anni. Per esempio, la stima più approssimata per Venere prevedeva 5 cicli in 8 anni, mentre la più accurata 720 cicli in 1151 anni. I costruttori del meccanismo di Antikythera devono essersi trovati di fronte a un problema: la stima più accurata non era meccanizzabile con una ruota dentata di dimensioni contenute, poiché 1151 è un numero primo e avrebbe richiesto una ruota con 1151 denti. La scoperta del numero 462 nel 2016 ha dato un indizio su quale sia stata la soluzione a questo problema, ed è stato il punto di partenza del nuovo studio della University College London.

«La domanda centrale del nostro lavoro è stata: come sono state scelte queste cifre? È stato un vero rompicapo. Inoltre, le informazioni sugli altri pianeti erano illeggibili, ma dovevamo in qualche modo ricostruirle», commenta Freeth, «poi abbiamo trovato una soluzione: un modello matematico detto processo di Parmenide. È stato un duro lavoro, in cui dovevamo conciliare la nostra soluzione con le conoscenze astronomiche del tempo e con i vincoli imposti dalle dimensioni ridotte del meccanismo. Con il modello che abbiamo sviluppato abbiamo cercato di ricostruire i cicli per tutti i pianeti».

Il processo di Parmenide è un processo iterativo che permette di approssimare un numero reale con un intervallo compreso fra due numeri razionali. Il ciclo sinodico di Venere, che sappiamo oggi essere di 1,599 anni, era approssimato con l’intervallo (5,8) o con il più accurato (720,1151). Dividendo l’estremo destro dell’intervallo per quello sinistro si vede come il secondo intervallo restituisca una stima più vicina a quella conosciuta oggi. Ma i costruttori del meccanismo avevano un vincolo, cioè quello di impiegare ruote con al massimo 100 denti e dunque cercavano un intervallo che desse la stima più accurata possibile ma i cui estremi avessero fattori primi tutti inferiori a 100.

L’ipotesi del gruppo di University College London è che sia stato utilizzato il processo di Parmenide per ottenere questo compromesso, partendo dalla stima più rozza per i cicli sinodici dei pianeti e arrivando alla più accurata fra quelle realizzabili meccanicamente.

Il modello sviluppato dal gruppo ha poi permesso di individuare due numeri primi come fattori comuni ai cicli dei pianeti, diciassette per Mercurio e Venere e sette per Marte, Giove e Saturno. I fattori comuni sono importanti per costruire sistemi di ingranaggi e ruote dentate economici, che possono essere utilizzati per tutti i pianeti con lo stesso fattore primo. Con questo procedimento, il modello spiega i cicli di Venere, con l’intervallo (289,462), e di Saturno, con l’intervallo (427,442), e genera in modo quasi univoco le relazioni anche per i pianeti per cui le iscrizioni non sono leggibili.

Nel modello proposto ci sono alcuni elementi determinati a partire dai dati a disposizione e altri introdotti come ipotesi. In particolare, il gruppo si è basato su alcuni principi: uso coerente di tutti i dati a disposizione, coerenza con il contenuto delle iscrizioni presenti sui frammenti, coerenza con le conoscenze astronomiche e tecnologiche del tempo, preferenza per le soluzioni semplici ed economiche.

Il nuovo risultato del gruppo della University College London è l'ultimo passo di un lungo percorso cominciato nel 1905, quando il filologo Albert Rehm si rese conto che il meccanismo era uno strumento astronomico. Nel corso degli anni si sono dedicati allo studio dell’antico calcolatore esperti ed esperte di ambiti diversi, sia umanisti che scienziati e scienziate.

Negli anni Cinquanta, il fisico e storico della scienza Derek De Solla Price ha costruito uno dei primi modelli, facendo alcune ipotesi sulle parti mancanti del meccanismo. Nel 1974, il fisico Charalambos Karakalos ha effettuato la prima radiografia a raggi X dei frammenti più grandi: per la prima volta si riesce a guardare dentro il meccanismo e si individuano le singole componenti. Il primo a costruire un modello funzionante è stato il fisico e storico della scienza Micheal Wright all’inizio degli anni 2000 insieme a Allan Bromley, informatico e storico dell’informatica. Il modello proposto non era del tutto corretto, ma è stato una base fondamentale per gli studi successivi.

Il risultato dello studio ci avvicina un po’ di più a una comprensione quanto più possibile completa del funzionamento del meccanismo e del contesto culturale in cui è nato. Il prossimo passo per il gruppo di University College London sarà quello di dimostrare la validità del modello realizzandolo con tecniche antiche.

«Dalla scoperta del meccanismo di Antikythera e dai primi studi sono passati centoventi anni. È una storia molto lunga, una sorta di strada a zig-zag che ci sta portando verso una comprensione sempre maggiore del meccanismo e dell’idea di cosmo diffusa al tempo in cui è stato costruito» conclude Freeth.


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