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Vaccinare gli adolescenti, ma con giudizio

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La valutazione del rapporto tra benefici e rischi di un vaccino durante un’emergenza sanitaria come quella che stiamo vivendo è estremamente complessa e cambia nel tempo al variare delle condizioni epidemiologiche e delle informazioni che via via vengono raccolte sul campo. Diventano quindi cruciali i criteri d’uso del vaccino: l’identificazione della popolazione target, delle priorità, le caratteristiche e la disponibilità stessa dei diversi vaccini. Questo è particolarmente vero per la popolazione tra i 12 e i 17 anni di età, per cui è stato recentemente approvato l'uso del vaccino Pfizer / BioNTech. Per gli adolescenti il rapporto tra benefici e rischi è infatti ridotto rispetto alla popolazione adulta e anziana, poiché raramente si ammalano o sviluppano forme gravi di Covid-19. L’offerta vaccinale verso gli adolescenti, se davvero la si considera prioritaria, dovrebbe costituire l’elemento essenziale di un piano sociale di welfare per i giovanissimi che compensi la cronica disattenzione che le istituzioni hanno avuto nei loro confronti durante la pandemia.

Nell'immagine: una ragazza riceve il vaccino contro HPV a San Paolo, in Brasile, nel 2014. Credit: Pan American Health Organization / Flickr. Licenza: CC BY-ND 2.0.

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Nei giorni in cui si sono ormai superate le 600 000 dosi quotidiane e l’invito per tutti è a vaccinarsi, vaccinarsi, vaccinarsi, c’è poco spazio per chiedersi se sia questo, davvero, l’approccio più corretto. Eppure, uno sforzo di riflessione potrebbe essere utile, se non altro perché, lo sappiamo, la campagna vaccinale non finirà con l’estate e criteri condivisi sull’offerta dei vaccini nei prossimi mesi potrebbero (dovrebbero?) aiutarci a navigare verso l’auspicabile condizione di endemia che sembra l’esito più favorevole della lotta contro Covid-19.

Ogni vaccino che viene messo in commercio per un uso massivo verso ampie popolazioni e l’intera collettività mondiale, è caratterizzato da un’elevata efficacia e rare reazioni avverse. Queste ultime evidenziate non tanto dagli studi clinici di fase 2 e 3 necessari all’ottenimento dell’autorizzazione, ma soprattutto nella fase quattro, ovvero quella della sorveglianza dopo l’immissione in commercio. La valutazione del rapporto tra benefici e rischi è possibile solo nel tempo con un appropriato monitoraggio dei rischi attribuibili al vaccino o ad altre cause cliniche. La stima di questo rapporto durante un’emergenza sanitaria come quella che stiamo vivendo, in cui è necessario far fronte rapidamente a un’infezione globale dagli esiti drammatici, è estremamente complessa e cambia nel tempo al variare delle condizioni epidemiologiche e delle informazioni che via via vengono raccolte sul campo. Diventano quindi cruciali i criteri d’uso del vaccino: l’identificazione della popolazione target, delle priorità, le caratteristiche e la disponibilità stessa dei diversi vaccini. È sull’insieme di questi aspetti che si stabiliscono le strategie vaccinali e perciò è importante rivalutare i criteri man mano che la campagna di vaccinazione prosegue, per ottimizzarne l’efficacia e garantirne la sicurezza. Perché questo possa accadere è fondamentale monitorare l’effetto della vaccinazione valutando il numero di nuove infezioni osservate e confrontandolo con quelle attese sulla base dei dati di efficacia dei vaccini, il numero di sintomatici e di deceduti, le reazioni avverse e il valore e la durata nel tempo dei titoli anticorpali sviluppati dai vaccinati. Solo alcune nazioni, come Israele, Regno Unito e Australia, o la stessa (vituperata) Cina, hanno pianificato e predisposto per tempo questi sistemi di valutazione. In Italia, quello che sembra essere successo è piuttosto l’adattarsi ai dati disponibili, anche se non sempre (o non più) utili a progettare la prevenzione.

Mentre tutti i paesi sono stati concordi su quali fossero le popolazioni a cui dare massima priorità, anziani e personale sanitario, sule altre popolazioni i criteri sono stati molto disomogenei. Spesso, anche all’interno delle singole nazioni, si è faticato a convergere su una strategia comune, come è successo in Italia, con le Regioni sparpagliate su criteri organizzativi e di offerta diversi che sfiorano e a volte superano il confine della diseguaglianza. Inoltre, l’effetto della campagna vaccinale non è stato sempre ottimale, come è facile capire se si considera il fatto che in alcune Regioni manca alla vaccinazione fino il 20% della popolazione anziana e solo la metà ha completato il ciclo.

In questo scenario, è stato recentemente approvato l’uso del vaccino di Pfizer/BioNTech anche per la popolazione tra 12 e 17 anni di età, prima dall’agenzia americana FDA e poi dall’europea EMA (seguita subito dopo dall’italiana AIFA). La decisione è arrivata a seguito dei risultati di uno studio clinico di fase 3 condotto con 2260 adolescenti (1131 vaccinati secondo gli stessi criteri applicati agli adulti) . Tra breve si concluderanno altri studi sulla stessa popolazione per il vaccino di Moderna, mentre sono in corso sperimentazioni di fase 3 a partire dai sei mesi d’età anche con altri vaccini. Tuttavia, l’autorizzazione all’uso rimane solo il primo passo, mentre la decisione su se, come e quando utilizzare il vaccino rimane di competenza dei responsabili della campagna vaccinale. Una scelta.

Vaccinare gli adolescenti?

Gli adolescenti e i bambini raramente si ammalano di Covid-19, la sintomatologia è nella maggioranza dei casi lieve, gli esiti a distanza, come per gli adulti, da monitorare nel tempo. In alcuni rari casi è stata osservata una malattia infiammatoria sistemica simile alla sindrome Kawasaki, la Mis-C (Multi Organ Inflammatory Syndrome Covid), in grado di manifestare una grave sintomatologia, ma che sinora è stata curata con successo. Circa la trasmissibilità dell’infezione tra coetanei, conviventi e contatti, i limiti del tracciamento e le diverse strategie di contrasto, sia a livello nazionale che locale, lasciano ancora molte incertezze.

Sulla base di queste conoscenze, devono essere valutati i benefici della vaccinazione per questa classe di età, che possono essere distinti in: diretti individuali, diretti complessivi e indiretti verso la popolazione generale.. I benefici diretti complessivi dipenderanno principalmente dall'incidenza dell'infezione da SARS-CoV-2, come accade per il resto della popolazione, insieme alla prevalenza di condizioni sottostanti che aumentano il rischio di Covid-19 grave in questa fascia di età. I benefici diretti individuali dovrebbero essere limitati rispetto ai gruppi di età più avanzata. Il beneficio complessivo per la popolazione generale degli adolescenti vaccinati sarà proporzionale alla trasmissione di SARS-CoV-2 all'interno di questa fascia di età e tra le altre fasce. Nel complesso, i benefici sembrano essere inferiori rispetto a quelli stimati per adulti e anziani.

Circa i rischi che il vaccino causi eventi avversi, in Israele sono stati segnalati 257 casi di miocardite in 5 milioni di ragazzi 12-17enni vaccinati, 50 casi per milione, molti, quindi, rispetto ai casi di trombocitopenia segnalati negli adulti dopo la vaccinazione con vettore virale (1 per milione) che tanta ansia hanno scatenato nelle scorse settimane. Tuttavia, si tratta di un tasso prossimo all’atteso nella popolazione generale pediatrica e l’infezione è comunque curabile e con un buon esito. In sostanza, quindi, il denominatore del rapporto tra rischi e benefici per il vaccino, è nullo perché l’incidenza delle reazioni gravi è prossima a quella attesa nella popolazione non vaccinata, come del resto accade anche per le altre fasce d’età. La vaccinazione anti-Covid-19 negli adolescenti sembra quindi essere sinora valutabile solo in termini di benefici nel ridurre o evitare i sintomi e le sequele gravi e, in qualche misura ancora non facile da quantificare, nel limitare la trasmissione nella comunità, in particolare verso le fasce di popolazione a rischio (circa l’efficacia verso le nuove varianti e la durata della copertura nel tempo c’è invece ancora bisogno di evidenze).

Come conseguenza, il rapporto tra benefici e rischi previsto dalla vaccinazione contro il Covid-19 degli adolescenti è ridotto rispetto ai gruppi di età più avanzata. Per questo prima di pianificare la vaccinazione di massa di questo gruppo di età dovrebbe essere attentamente valutata la situazione epidemiologica e il suo possibile trend, così come la copertura vaccinale nei gruppi di età più avanzata. Sono questi i criteri che hanno guidato finora la definizione delle priorità nell’offerta vaccinale.

Come si legge nel recente rapporto dello European Center for Disease Prevention and Control (ECDC):

come per altri gruppi di età anche gli adolescenti ad alto rischio di forme gravi di Covid-19 devono essere vaccinati. La vaccinazione anti-Covid-19 verso tutti gli adolescenti dovrebbe essere contemplata nel contesto più ampio della strategia di prevenzione per l'intera popolazione, la situazione epidemiologica dell’infezione e delle sue varianti, lo stato di copertura della popolazione e le priorità. Estendere la vaccinazione Covid-19 a gruppi di popolazione con un rischio individuale inferiore di malattia grave implica che la disponibilità e l’accesso dei vaccini sia tale da garantire equità nel loro uso.

Che l’accento non sia solo sul vaccino

Più in generale l’opportunità di vaccinare gli adolescenti, e tra breve anche i bambini, pone alcune riflessioni circa le modalità di comunicazione in questi mesi e sulla cronica disattenzione posta verso questa particolare popolazione nel nostro paese.

I bambini in età scolare e gli adolescenti rappresentano una delle categorie più colpite da disturbi psicologici causati dalla pandemia. Le scuole sono state le prime a chiudere e tra le ultime a riaprire: l’attività scolastica e il percorso educativo non sono stati considerati attività essenziali. Giustificare oggi la vaccinazione dei giovani per garantire una riapertura del prossimo anno scolastico in sicurezza dovrebbe prevedere quanto meno un maggior coinvolgimento degli stessi studenti, per esempio vaccinandoli in questi mesi estivi a scuola e accompagnando le sedute vaccinali con brevi approfondimenti sui temi della prevenzione.

Nei mesi della pandemia troppo spesso i più giovani sono stati indicati come responsabili di comportamenti a rischio e si è completamente trascurato qualsiasi tentativo di attivarli come modelli di comportamenti virtuosi, quando è noto da tempo che nella promozione della salute il gruppo dei “pari” può giocare un ruolo determinante. Perché non investire, ora su questo? Coinvolgere i giovani a cui si propone una vaccinazione dal profilo rischio/beneficio quanto meno in divenire, informandoli correttamente e puntando ad averli alleati e non passivi, sarebbe davvero qualcosa di nuovo.

Dopo l’isolamento a cui anche gli adolescenti sono stati costretti e l’esasperata dipendenza dagli strumenti della comunicazione digitale, sarebbero necessari interventi di ricostruzione del vissuto che aiutino a contrastare ansia e i disturbi del sonno e dell’alimentazione e l’aumento degli episodi di autolesionismo. Dopo il distanziamento subito, l’avvicinamento non dovrebbe essere additato come il rischio di contrarre o trasferire un’infezione, perché “i ragazzi sono naturalmente dei diffusori di contagio”, come capita ancora di leggere. Al contrario, l’offerta vaccinale verso gli adolescenti, se davvero la si considera prioritaria, dovrebbe costituire l’elemento essenziale di un piano sociale di welfare per i giovani in cui la vaccinazione (non solo anti-Covid-19, ma anche, per esempio, l’anti-HPV che da anni registra una copertura ancora lontana dal target previsto) può essere parte della voce prevenzione. Lasciare che i ragazzi affrontino la deprivazione del proprio quotidiano, relazionale e affettivo, nel periodo cruciale di transizione dall’infanzia alla vita adulta, prospettare il recupero della scuola solo come spazio fisico e non come spazio di pensiero critico per l’emancipazione dalle idee degli adulti, attribuire alla vaccinazione anti-Covid-19 verso i più giovani effetti ed efficacia nel contrasto alla pandemia ancora da dimostrare, si traduce nei fatti in incapacità, disattenzione e inerzia nel garantire i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. E tutto questo si riflette, purtroppo, nella logica che sembra emergere dall’attuale evoluzione della campagna vaccinale. Al contrario, operare per aiutare davvero i più giovani e non solo per metterli in sicurezza, come si va dicendo, implica attivare processi di socializzazione e di interazione sociale a tutt’oggi inesistenti (anche) nei piani vaccinali.


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