fbpx Il modulo tecnologia/economia al tempo del COVID-19 | Scienza in rete

Il modulo tecnologia/economia al tempo di Covid-19

Primary tabs

L’epidemia di Covid-19 rappresenta una formidabile prova-di-concetto del rapporto tra scienza e tecnologia. Non c’è dubbio che questo rapporto è risultato largamente virtuoso, se pensiamo alla insospettata velocità con cui abbiamo ottenuto una serie di vaccini contro il SARS-CoV-2 efficaci e sicuri. Questo risultato si deve, in larga misura, alle regole e ai controlli imposti dalle due agenzie regolatorie, che hanno vigilato prima di approvare i vaccini per l’uso umano. Ma cosa accade nei paesi non compiutamente democratici, ancorché tecnologicamente avanzati, come la Russia o la Cina? I due vaccini sviluppati in Cina da Sinovac e Sinopharm si sono rilevati molto meno efficaci dei quattro autorizzati da EMA e FDA, mentre lo Sputnik V sviluppato in Russia non è ancora stato approvato in numerosi paesi perché manca la documentazione necessaria a valutarne sicurezza ed efficacia. Tutto questo ci fa riflettere sulla straordinaria importanza della nostra “bioetica”, termine coniato per la prima volta nel 1970 dall’oncologo americano Van Reasselaer Potter, e da lui definita come “una scienza della sopravvivenza che ha la capacità di coniugare conoscenze biologiche e valori umani”, e che deriva primariamente dai concetti morali della filosofia occidentale. Ma, attenzione! L’equilibrio tra modulo tecnologia/economia e bioetica può essere molto fragile anche nei nostri paesi occidentali e può facilmente saltare.

Nell'immagine fiale del vaccino Sputnik V sviluppato dal Centro nazionale di ricerca epidemiologica e microbiologica Gamaleja di Mosca prodotte nello stabilimento della società Biocad a Sanpietroburgo. Credit: IMF/Flickr. Licenza: CC BY-NC-ND 2.0.

Tempo di lettura: 13 mins

Martin Heidegger vedeva giusto sugli “effetti avversi” della tecnocrazia, che sviluppa potenze tecnologiche fuori controllo, ma non quando pensava che tecnologia e scienza fossero sinonimi. Tecnologia e scienza, anche se in potenza interconnesse, sono profondamente diverse.

Nel campo delle scienze biologiche, la ricerca scientifica di base si occupa dei meccanismi molecolari e cellulari alla base dei processi vitali, dal DNA sino al fenotipo (l’insieme dei caratteri fisici di un organismo). La tecnologia si occupa invece delle applicazioni, potenzialmente virtuose e necessarie, di una data scoperta scientifica, per esempio per sviluppare un composto molecolare atto a curare una data patologia.

D’altro canto, la tecnologia può diventare pericolosissima, se dovesse rispondere pedissequamente alle domande economiche e finanziarie del mercato globalizzato. Con l’energia nucleare, si possono fare cose straordinarie, ma si può costruire anche la bomba atomica. Pertanto, quando il modulo tecnologia/economia detta legge, il rischio, sempre più difficile da contrastare, è il superamento delle regole che hanno permesso e che permettono faticosamente il mantenimento della nostra civiltà.

Nei paesi “occidentali”, tale rischio, per quanto riguarda per esempio la salute delle persone, è fortemente limitato dalle regole dettate dalle agenzie regolatorie (come la europea EMA, o la statunitense FDA) e dalle commissioni bioetiche connesse, che controllano tutti i prodotti biologici o sintetici terapeutici, inclusi i vaccini, con metodica, sistematica e trasparente efficienza, prima di dare l’autorizzazione all’uso umano. Quando l’EMA o l’FDA approvano un farmaco, è perché sono state analizzate tutte le varie fasi dello studio: in quante persone è stato efficace, in quante si sono riscontrati effetti collaterali più o meno gravi, lo standard di qualità dei siti di produzione, e così via.

L’epidemia di Covid-19 rappresenta una formidabile prova-di-concetto del rapporto tra scienza e tecnologia. Non c’è dubbio che questo rapporto è risultato largamente virtuoso, se pensiamo alla insospettata velocità con cui abbiamo ottenuto una serie di vaccini contro il SARS-CoV-2 (il virus responsabile di Covid-19), i quali di fatto stanno significativamente limitando la pandemia, dopo nemmeno un anno e mezzo dal suo inizio, e prospettando la possibilità di instaurare la famosa immunità di gregge (varianti permettendo), se verranno distribuiti gratis o a bassissimo costo a livello globale, anche nei paesi più poveri e in fase di industrializzazione.

Esempio illuminante in questo senso è l’applicazione della scoperta scientifica dei meccanismi di trascrizione mediati dall’RNA e della possibilità di modificare l’RNA messaggero in alcuni nucleosidi che vengono sostituiti da altri nucleosidi sintetici, per lo sviluppo di un vaccino straordinario contro COVID-19, denominato per l’appunto vaccino a mRNA, che traduce la proteina immunogenica spike di SARS-CoV-2. Si tratta di un’applicazione rivoluzionaria che promette la generazione e la produzione velocissima di molti altri vaccini, inclusi quelli contro possibili varianti del virus, che “scappano” ai vaccini correnti, o quelli anti-tumorali.

Oltre ai vaccini a mRNA, ne sono stati sviluppati altri contro SARS-CoV-2 basati su altre tecnologie, come quella che usa adenovirus resi incompetenti per la replicazione per “trasportare” la sequenza genetica che codifica per la proteina spike. Finora sono tre i vaccini approvati da EMA e FDS, quelli prodotti da BionTech-Pfizer, Moderna, e Johnson&Johnson, mentre il vaccino di AstraZeneca è per ora autorizzato solo da EMA. Tutti si sono dimostrati molto efficaci e sicuri. Questo risultato si deve, in larga misura, alle regole e ai controlli imposti dalle due agenzie regolatorie, che hanno vigilato prima di approvare i vaccini per l’uso umano.

Ma cosa accade nei paesi non compiutamente democratici, ancorché tecnologicamente avanzati, come la Russia o la Cina? Un paio di anni fa, ha fatto molto scalpore il caso di uno scienziato cinese che ha modificato a livello embrionale, tramite la tecnologia del gene editing, il gene codificante per il CCR5, un recettore espresso sulle cellule del sistema immunitario, il quale fisiologicamente permette la loro migrazione nei tessuti infiammati, ma che l’HIV, il virus responsabile dell’AIDS, usa come porta d’ingresso per infettarle e distruggerle. Lo scopo era far nascere una progenie umana con il CCR5 mutato (a livello del sito riconosciuto dall’HIV) e che, quindi, potesse essere resistente all’infezione da HIV, sulla base dell’evidenza che i soggetti esprimenti spontaneamente tale CCR5 mutato sono più resistenti all’infezione. Anche se questo scopo può teoricamente sembrare virtuoso, lo studio è stato fatto senza l’approvazione di agenzie regolatorie come le nostre, e senza una piena dimostrazione delle controindicazioni di una tale strategia: quali sarebbero le conseguenze a livello immunitario della delezione del CCR5 necessario per la migrazione di monociti e linfociti in un sito infiammatorio per combattere il potenziale patogeno che l’ha innescato? Questo è un tipico comportamento non etico, che difficilmente potrebbe verificarsi in Occidente per i motivi prima descritti. La comunità scientifica internazionale non ha idea di come sia andato a finire il lavoro cinese, o addirittura che fine abbia fatto lo stesso scienziato cinese, che è risultato impossibile intervistare.

In analogia, pensiamo, oggi ad alcuni vaccini contro SARS-CoV-2 prodotti in Russia (Sputnik V, vaccino che usa la tecnologia dei vettori virali) o in Cina (Sinovac o Sinopharm, vaccini costituiti dal SARS-CoV-2 completo inattivato), che sono stati autorizzati e impiegati in moltissimi paesi nel mondo senza i dettagliatissimi esami imposti da enti regolatori come l’EMA o l’FDA. Alla fine, nessuno dei due vaccini cinesi si è mostrato altamente protettivo, in quanto la loro efficacia è pari a poco più del 50% nel prevenire l’infezione, al contrario dei vaccini in uso da noi, la cui efficacia è pari all’80-95% a secondo del vaccino. Il comitato di esperti sui vaccini dell'OMS, ha concesso, recentemente, il via libera al Sinovac, in quanto si è mostrato sicuro e capace di impedire la morte con un’efficacia di circa il 100% in studi che prendono in considerazione soggetti di età inferiore ai 60 anni. Inoltre è facile da stoccare e dunque potrebbe risultare particolarmente adatto a paesi con poche risorse. D’altro canto, dal momento che non è stato possibile valutare ancora l'efficacia di Sinovac o Sinopharm per le persone di età superiore ai 60 anni, gli individui che più facilmente vanno incontro a patologie gravi e morte, è ragionevole pensare che i nostri enti regolatori aspetteranno i dati della vaccinazione in questa popolazione per approvarlo.

Lo stesso vale per lo Sputnik V sviluppato dal Centro nazionale di ricerca epidemiologica e microbiologica Gamaleja di Mosca che, nonostante abbia pubblicato un lavoro sulla prestigiosa rivista The Lancet all’inizio di quest’anno riportando un’efficacia nel prevenire l’infezione superiore all’85%, non ha ancora consegnato a EMA le documentazioni necessarie per permettergli di esaminare tutte le fasi dello studio clinico e di valutare efficacia ed eventuali eventi collaterali. Il vaccino è stato bloccato per gli stessi motivi in paesi come Brasile, Slovacchia e Repubblica Ceca. In diversi di questi paesi Sputnik V non è stato autorizzato addirittura per la presenza di adenovirus replicanti. Ancora una volta un comportamento azzardato, e principalmente basato sul principio del modulo tecnologia/economia non controllato che impone le proprie leggi dettate dal mercato e dalla politica, ignorando i controlli da parte degli enti regolatori competenti.

Tutto questo ci fa riflettere sulla straordinaria importanza della nostra “bioetica”, termine coniato per la prima volta nel 1970 dall’oncologo americano Van Reasselaer Potter, e da lui definita come “una scienza della sopravvivenza che ha la capacità di coniugare conoscenze biologiche e valori umani”, e che deriva primariamente dai concetti morali della filosofia occidentale. Ma, attenzione! L’equilibrio tra modulo tecnologia/economia e bioetica può essere molto fragile anche nei nostri paesi occidentali e può facilmente saltare, se non si osservano costantemente le leggi della bioetica con rigorosa determinazione. Ricordiamo che alcuni nostri politici, pochi mesi fa, invocavano sconsideratamente l’autorizzazione all’uso di Sputnik V nel nostro paese, facendo riferimento a una lentezza “sospetta” dell’EMA nell’iter autorizzativo, quando non era l’EMA a rallentare, ma il Centro Gamaleja a non aver mai fornito i dati e la documentazione necessari. E sperando che non sia vera la notizia che SARS-CoV-2 sia stato effettivamente selezionato in alcuni laboratori di virologia di Wuhan, in Cina, rilanciata recentemente da alcuni scienziati americani. Personalmente, sarei portato a non credere alla tesi “virus prodotto in laboratorio”, in accordo a quanto pubblicato da 27 eminenti scienziati occidentali su The Lancet nel marzo del 2020. Ma il punto fondamentale è che, nonostante pochi mesi fa un team di scienziati internazionali convocato dall'OMS per indagare sulle origini di SARS-CoV-2 a Wuhan abbia concluso che una fuga di materiali dal Wuhan Institute of Virology fosse molto improbabile, rimangono dei dubbi, che i funzionari cinesi sono riluttanti a dipanare fornendo i dati critici richiesti. Tali comportamenti, incluso quello riportato sopra per lo Sputnik V, sarebbero profondamente anti-scientifici, perché contro un requisito fondamentale della scienza, cioè la trasparenza. La scienza è completa se si traduce in un beneficio per l’umanità e non asservita a regimi con scopi spesso militari o, comunque, soggetta a un palese controllo da parte di governi non democratici.

D’altro canto, va prestata molta attenzione a non generalizzare. Alcuni mass-media hanno recentemente riportato grande preoccupazione, spesso in maniera allarmistica e con un basso profilo di conoscenza, sulla possibilità che i virus possano essere manipolati o generati in molti laboratori sparsi nel mondo. È molto importante fare chiarezza su questo punto che può suscitare rigurgiti autoritari che potrebbero minare la libertà della scienza con ritorni a insensate moratorie anche nei nostri paesi. È accettato e risaputo che diversi laboratori nel mondo possiedono la tecnologia per alterare virus cosiddetti wild-type più o meno innocui e trasformarli in varianti più virulente. Questi modelli sperimentali, definiti gain of function (guadagno di funzione) o loss of function (perdita di funzione), ottimizzati oggi dalla tecnologia del CRISPR-Cas9 gene editing, trovano impiego in molti campi della biomedicina, per esempio in oncologia, dove hanno un ruolo decisivo nello studio dello sviluppo e della progressione tumorale, anche al fine di identificare potenziali bersagli terapeutici. In virologia, essi hanno lo scopo di studiare i meccanismi di trasmissione e infettività di patogeni molto aggressivi per poi trovare sistemi in silico o biologici per neutralizzarli, da traslare in chiave terapeutica. Tali esperimenti vengono eseguiti in strutture con livelli di biosicurezza altissimi e sotto il costante e ferreo controllo delle agenzie regolatorie appropriate nei nostri paesi, in cui sono comunque in corso studi sempre più solidi che permetteranno l’uso di sistemi alternativi in virologia. Diversa la situazione in altri regimi non sottoposti agli stessi check and balance da parte degli enti regolatori competenti e dell’opinione pubblica. Quindi la liceità di alcune preoccupazioni, valida in alcuni paesi, diventa inappropriata e controproducente per la libertà della scienza nei paesi in cui i controlli e la bioetica sono al centro dei comportamenti scientifici. Un altro aspetto, del tutto differente, è l’uso del modulo tecnologia/economia da parte delle grandi industrie farmaceutiche. Non vi è dubbio che, in questo caso, il modulo tecnologia/economia sia stato virtuoso e il profitto diventi inevitabile e sacrosanto, in particolare quando vengono generati prodotti eccellenti, a una velocità straordinaria e con grandi rischi, come i vaccini anti-SARS-CoV-2 di Pfizer, Moderna, AstraZeneca, Johnson&Johnson, ecc. La sinergia tra gli enormi investimenti impiegati per inventiva, produzione e logistica, da parte di tali industrie, e gli altrettanto consistenti fondi statali investiti dai paesi occidentali (in primis gli Stati Uniti, poi Unione Europea e Regno Unito), ha permesso la produzione dei vaccini a tempo di record, con i vantaggi sociali, sanitari ed economici che sono sotto gli occhi di tutti. Quali sarebbero state le conseguenze sanitarie ed economiche, nel senso di morbilità, cure e ospedalizzazione, per non parlare del risvolto prettamente umano delle sofferenze e del numero di morti, se non avessimo avuto velocemente vaccini così efficienti? I dollari stimati, che sarebbero stati spesi per i danni della pandemia in assenza di vaccino su cinque anni, sarebbero stati diversi logaritmi superiori a quelli impiegati per la produzione e la gestione dei vaccini attuali.

Poche settimane fa, si è parlato di una “questione morale” riguardo la recente, e giustamente autorizzata, estensione delle vaccinazioni anti-SARS-CoV-2 ai ragazzi di 12-15 anni. Ci si è chiesto se sia giusto vaccinare i ragazzi dei paesi ricchi, che molto difficilmente vanno incontro a sequele gravi e ancora più raramente a morte in caso di infezione, invece di favorire le vaccinazioni delle popolazioni più fragili dei paesi in via di sviluppo, in cui le campagne di vaccinazione stentano a partire per mancanza di denaro? È un’obiezione sicuramente nobile, ma siamo sicuri che sia questo il modo migliore per approcciare il problema o è solo un eccesso di cautela che sopperisce a chiare carenze etiche? Voglio dire che il modo più corretto dovrebbe seguire, in un mondo ideale, strade più coerenti con i presupposti etici. La sfida torna a essere se siamo disposti “noi ricchi” a creare incentivi perché le industrie farmaceutiche si mettano a produrre i vaccini che servono per tutte le popolazioni dei paesi più poveri, e perché le industrie farmaceutiche, dal canto loro, possano produrre vaccini sempre più efficienti e stabili e siano disposte a revocare alcuni brevetti dei vaccini già diffusi. Questa sarebbe l’unica maniera per cercare di contenere l’epidemia di Covid-19, che altrimenti potrebbe risorgere a causa della selezione di nuove varianti, le quali a loro volta si diffonderebbero anche nei paesi più ricchi. Se non si fa questo, non ne usciamo. La rinuncia alle vaccinazioni per gli individui più giovani a favore di quelli fragili dei paesi più poveri, in cui la pandemia Covid-19 continua imperterrita la sua diffusione, sarebbe un ripiego, anche se nobile, che non risolverebbe comunque il problema nella totalità, e potrebbe favorire il rischio di potenziali focolai di infezione nelle scuole in cui giovani non vaccinati dovranno recarsi dal prossimo autunno.

Camilla Canepa, una diciottenne di Sestri Levante, è morta per una trombosi al seno cavernoso dopo essere stata operata per la rimozione del trombo e la riduzione della pressione intracranica, dopo circa dieci giorni dalla prima dose del vaccino di AstraZeneca il 25 maggio. Il paradosso di morire per un atto indirizzato alla sopravvivenza è difficile da sopportare, soprattutto quando viene colpita una giovanissima vita. Questo è il momento di esprimere il dolore profondo per la sua morte e il sentito cordoglio ai suoi genitori.

I casi di trombosi venosa intracranica o in sede atipica in soggetti vaccinati con vaccini a vettore virale (come AstraZeneca, più usato in Europa, o Johnson&Johnson, molto meno usato), i cui meccanismi patogenetici (probabilmente su base autoimmune) non sono ancora del tutto chiari, sono 1 caso ogni 100.000 prime dosi somministrate e prevalentemente in persone, soprattutto giovani donne, con meno di 60 anni. Il Comitato Tecnico Scientifico del Ministero della Salute aveva, all’inizio di aprile, espresso il parere di somministrare tali vaccini solo agli over 60, nonostante in quel mese il livello di incidenza rendesse il rapporto rischi-benefici favorevole al vaccino anche per i più giovani.

I vaccini a base di vettori virali (in particolare il più usato AstraZeneca) hanno enormemente contribuito a combattere la pandemia e a ridurre drasticamente infezioni e morte (vedi il modello britannico, poi confermato anche in Italia e negli altri paesi dell’Unione Europea), chiaramente dimostrando che i vantaggi erano significativamente superiori agli effetti collaterali. Tuttavia, negli ultimissimi mesi, con la drastica riduzione della circolazione del virus (da sottolineare, grazie anche ad AstraZeneca), il rapporto benefici/effetti indesiderati si è andato significativamente riducendo nei giovani, soprattutto donne (le più colpite per casi di trombosi), ma nonostante questa situazione vi è stato a livello regionale una spinta, anche attraverso l’organizzazione di open-day a estendere l’indicazione ai più giovani. Per questa ragione, dall’11 giugno il Ministero della Salute ha ulteriormente raccomandato AstraZeneca agli over 60, mentre Pfizer e Moderna agli under 60, compresi coloro che avevano fatto la prima dose con AstraZeneca. Capisco profondamente che questo non consolerà la dolorosa perdita di Camilla Canepa, ma è importante che il Governo abbia deciso di riconfermare in modo perentorio la proposta del Comitato.

In questo contesto, l’etica degli scienziati è fondamentale, non soltanto (ovviamente) come sperimentatori, intimamente consapevoli delle regole bioetiche di cui parlavamo sopra, ma anche come divulgatori delle scoperte scientifiche e delle sue correlazioni. Il principio fondamentale degli scienziati-divulgatori, e ancora di più delle istituzioni preposte al monitoraggio e alle linee guida d’uso di tali prodotti, è chiarire e far capire le problematiche scientifiche al pubblico “non-addetto ai lavori” con la massima obiettività e autorevolezza, eliminando personalismi e desiderio di ostentazione, elementi “anetici” per gli scienziati con la “S” maiuscola. Giustissima e lecita la critica costruttiva che va fatta nelle sedi istituzionali appropriate, scientifiche, o accademiche, ma anche attraverso i mass media. Gli “io l’avevo detto” o “non sono stato ascoltato/a” e altre frasi a effetto, in diversi talk show, sono insopportabili e riducono la credibilità degli scienziati e della scienza in generale. La cultura sviluppatasi nel nostro “traballante” mondo occidentale, attraverso una straordinaria e unica intersezione di eventi ambientali, genetici e sociali, originata nel bacino del Mediterraneo e poi diffusasi negli altri paesi occidentali, ha permesso di affrontare enormi calamità di tutti i tipi: epidemie, guerre, dittature sanguinarie. Oggi, deve affrontare una nuova sfida e cioè rispettare l’etica e fermare il modulo tecnologia/economia sfrenato, per renderlo virtuoso e consono alle esigenze necessarie per la sopravvivenza dell’umanità. Il ritorno alle foreste da cui è uscito Homo sapiens è sempre dietro l’angolo.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Neanderthal genes made Covid more severe

A primitive man with a spear, blazer and briefcase

The Origin study from the Mario Negri Institute has identified genetic variants from Neanderthals in the DNA of those who had the most severe form of the disease.

Image credits: Crawford Jolly/Unsplash

A small group of genes that we inherited from the Neanderthal man - and from his romantic relationships with our sapiens ancestors - exposes us today to the risk of developing severe Covid. This is the unique conclusion of the Origin study by the Mario Negri Institute, presented yesterday in Milan and published in the journal iScience.